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[Al Molto Rev.do Signore

Don Giuseppe Adaglio

dei Figli della Divina Provv.

Stazione di Artuf per Rafat

(Giaffa di Palestina)]


        Anime e Anime !

        [Tortona] XV Nov.bre 1922


 Mio caro Don Adaglio,


 ho ricevuto la tua lettera del 20 Ottobre a Venezia,

la quale, benché fosse come tu sai, mi ha fatto tanto tanto piacere

perché mi portava un po' di vostre notizie.

 Ho ricevuto anche l'altra del 19 Agosto, che pure ho gradito come non ti potrei dire.

Ora ti dirò anche che riconosco di avere fatto male a non scriverti, quantunque

non devo nasconderti che mi trovavo come mi trovo in qualche imbarazzo nel farlo.

 A snebbiare intanto dal tuo amino ogni penosa impressione pel mio silenzio,

devo premettere che io ho ogni piena fiducia in te,

e che anche, sostanzialmente, vedo le cose come tu le vedi.

 Sono edificato del tuo spirito come del tuo lavoro e della vita che fai,

e condivido pienissimamente con te che i Missionarî devono essere di buono spirito,

di lavoro e di capacità.

 Vengo anch'io da paesi di Missione,

e forse di Missione più che non sia la Terra Santa,

e penso che, come gli Apostoli hanno cominciato la vita apostolica

col lasciare tutto per seguire Gesù Cristo, così - e solo così - si diventa veri Missionarî,

e non Missionari di nome, da burla, e mestieranti e trafficanti di quattrini.

 Ritengo, e sento ora più che mai, che l'opera delle Missioni è santissima

ed è una somma grazia di Dio essere chiamato alle Missioni,

ma ho ora anche capito che è opera sommamente ardua e pericolosa,

e che esige nel dare mano a tant'opera che si usi di ogni prudenza

per guardarsi da gravi pericoli spirituali

e per poter raccogliere più copiosi frutti da tanti sacrifici che si fanno e fatiche, -

e che chi vi è chiamato sia, prima, ben provato nella vocazione,

e che vi si prepare prepari con la vera santità della vita.

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 Ho veduto con profondo dolore in Brasile e in Argentina

che gli uomini veramente apostolici sono scarsissimi,

e che se i Missionarî fossero in numero minori e maggiori in virtù, disinteresse

e spirito di sacrificio, si raccoglierebbero messi di anime assai,

oh assai assai più abbondanti!

Molti In certe parti d'America i più sono Missionarî di nome,

e vanno là per sfuggire alla disciplina e vigilanza più vicina dei Vescovi

e per fare l'America, per fare soldi e vivere spesso disonestissimamente.

 Quante volte ho sentito vergogna per quei «Signori Missionarî»,

e quante volte ho pianto!

 Povera Chiesa, povera Chiesa! e povere Anime!

Che grave danno alle anime e alla causa stessa del Vangelo!

 Pochi giorni fa è tornato qui in Diocesi un, così detto, Missionario dall

dell'Argentina, che il quale ha portato più di 200.000 lire!

Danaro fatto da dopo la guerra, perché andò in America dopo,

ed io, che lo vidi là, ti posso dire che era il migliore di tanti parecchi che ne conobbi.

 Preghiamo N. Signore che susciti davv Lui degli uomini veramente apostolici!

 E noi, ora che Iddio ci va aprendo un po' gli occhi e ci dà un po' più di esperienza

facciamo un proposito: di non mandare alle Missioni se non quelli che mostrano

per lunga prova di esservi veramente chiamati da Dio:

se non quelli che sono di provata vocazione missionaria,

e che mostrano vero spirito di umiltà, di fede, di pietà, di mortificazione di obbedienza,

di lavoro, di sacrificio, di zelo.

 Ed ora vengo all'altra alla tua lettera del 19 - 8 - 22

e poi passerò a questa del 20 Ottobre 22.

 E in prima: quando ebbi la tua lettera mi ero già recato a Roma

per parlare al Patriarca Barlassina, come egli ti avrà detto,

e da Lui avevo avuto le migliori notizie di te e degli altri.

E così Don Sterpi, al mio arrivo, mi aveva date le tue informazioni.

 Tu poi le hai completate, e dicendomi

nelle prime due facciate della tua Iª lettera la natura del vostro lavoro:

nella terza e quarta mi hai descritto il Rafat,

e il sistema di coltivazione e i patti di codeste mezzadrie.

Nella 5ª e 6ª facciata mi hai discorso dell'indole di codesti arabi e loro costumi

e nella 7ª entri a parlare di ciò che, a tuo parere, si dovrebbe fare da noi.

 Di questo ne avevi già scritto anche a Don Sterpi, egli me ne ha parlato

e poi vidi anche le tue lettere.

Egli era andato prima del mio arrivo a parlare col Patriarca, e poi ci andai io stesso.

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 Tanto Don Sterpi che io dividiamo condividiamo pienamente il tuo modo di vedere,

ma abbiamo notato che il Patriarca (ci pare) anzi è, per ora, più portato a che voi

non assumiate una conduttura diretta di terreni, ma solo facciate opera di vigilanza.

 A me, almeno, parlò chiaro in questo senso, e anche a Don Sterpi, prima che a me. -

Se poi adesso è cambiato, non so.

 Se tu vedi che è cambiato e disposto a darvi appezzamenti di terreni

a conduttura diretta, io non ho nulla in contrario.

 E passiamo alla parte che tu hai bene definita «molto spinosa e dolorosa»,

la parte del personale.

 Parliamo dunque di fra Giuseppe e della diversità di direttiva tra te e lui.

Di lui e del suo sistema più di far fare che di fare e anche del suo poco o, meglio,

limitato spirito di sacrificio, tu sai, caro Don Adaglio, che io te ne ho chiaramente parlato

quando si trattò dei compagni che ti avrei dato.

Non ti ho nascosto nulla per quanto io conoscevo.

 Quando tu mi scrivevi che potevo mandare un formulario di domande

a cui fra Giuseppe, Gismondi e te avreste dovuto rispondere, =

ti dico che mi parve sarebbe cosa, se non offensiva al tuo riguardo almeno poco delicata

e, per me, affatto superflua, perché io credo a ciò che tu dici, e sento come tu la senti.

 Quando a fra Giuseppe feci la proposta se si sentiva di venire in Terra Santa,

tre cose gli ho premesse, e lui deve ricordarle:

 I Che ci portasse spirito di umiltà, di più fervore e di sacrificio;

 2do che in tutto dipendesse da te e ti secondasse;

 3º che non essendo io stato mai pienamente contento della sua vita religiosa

(non dal lato morale), venisse per iniziare una vita nuova,

e sulla terra dove Gesù ha dato il Sangue non avesse timore di dare tutti i suoi sudori.

 Che gli avrei parlato molto chiaramente mi pare averlo detto anche a te.

Nulla gli ho taciuto della vita di lavoro e di sacrificio che avreste dovuto fare:

che si veniva non in una città o in un Collegio, ma in una Colonia,

e a creare una colonia Agricola e una Missione: a lavorare e non a far lavorare;

io tengo ancora degli appunti, e lui promise con molta serietà

di mettersi meglio che non aveva fatto prima.

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 Gli ho poi (dopo che mi disse con entusiasmo che accettava)

gli ho poi parlato della Madonna SS. e dei meriti che si preparava pel Paradiso.

 A me parve sincero il suo proposito, e che, se voleva, poteva

e avrebbe salute, età e abilità di rendere buoni servizî alla causa della Missione.

 Devo ora poi dirti che il Patriarca mi parlò di lui bene, molto bene,

per cui ricevuta la tua prima lettera, io rimasi un po' perplesso se dovessi richiamarlo

alla disciplina religiosa e alla osservanza delle promesse che mi aveva fatte,

o se dovevo aspettare che mi scrivesse, come tu mi dicevi di av

che già gli avevi consigliato, e che glie lo avresti di nuovo ripetuto.

Invece io, fino ad oggi, nulla ho ricevuto da lui.

 Il Patriarca d'altronde mi aveva esplicitamente detto

che dovevate limitarvi alla sorveglianza, e tu stesso in quella tua lettera dici:

«In questo anno come sorveglianza possiamo dire di aver fatto qualche cosa,

quanto le nostre forze ci permettevano di fare;

però aggiungo (non per superbia, ma per la verità) che io ero sempre in prima fila;

ma come lavoro diretto, non sentendomi io pur troppo le forze di prendere la vanga

e la zappa e tirarmi dietro gli altri; come lavoro diretto la nostra opera è a zero,

anzi peggio di zero» perché meglio sarebbe se non avessimo neppure tentato di lavorare»

 Queste parole sono nella penultima facciata della tua lettera del 19 - 8 - 22.

Da esse apparirebbe dunque che già avevate assunto lavorazioni dirette,

e non più solo di vigilanza, come, in verità, il Patriarca pareva che mi avesse detto

e che volesse, almeno per questi primi anni.

 Comunque io, pur troppo, non metto verun dubbio sul p contegno

e sulla poca voglia di lavorare di fra Giuseppe, per il suo poco spirito di sacrificio,

di che anche prima aveva difetto.

 Nella tua Iª lettera non mi dicevi di richiamarlo; a me però venne in mente più volte,

ma e per la lode che gli aveva data il Patriarca, e per la difficoltà di inviarti altro personale,

non l'ho fatto.

 Avrei potuto scrivere a lui che si mettesse bene e meglio,

e ma forse ho sperato troppo da lui che mi avesse aperto la via, scrivendomi.

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 Quanto a Gismondi non ho notato nella tua Iª gravi lagnanze di lui:

me lo descrivi come tu ed io sapevamo già che era.

 Ora, avanti di passare alla 2ª lettera, sento di dover richiamare me e te

ad una riflessione serena su fra Giuseppe, - non per scagionare fra Giuseppe,

ma per non correre a qualche provvedimento, prima di avere tutto considerato,

e per andare con vero spirito di carità nel Signore,

anche con quelli e più con quelli che ci fanno patire.

 Senti dunque, caro Don Adaglio, tu mi scrivi :

«non sentendomi io pur troppo le forze di prendere la vanga o la zappa etc.»,

ed è cosa che è evidente: tu non lo puoi e, ritengo, non lo devi.

Ma lui, che lo deve, lo potrà fare, all'età che ha già, superiore di qualche anno alla tua?

e con un termometro che sale a 35 gradi in camera (come mi hai scritto)

e fuori di casa, all'ombra, è certo più di 40»

E poi aggiungi che non vi sono piante, «sicché quando si va a sorvegliare i lavori,

non si può stare là tutto il giorno, dopo qualche ora si sente il bisogno di un po' d'ombra,

e bisogna tornarsene a casa».

 È vero che gli arabi lavoreranno ma non ci sarà molto da indulgere a fra Giuseppe,

dato il nostro diverso temperamento fisico e la nostra minore forza di resistenza?

 Vedi un po': lui farà poco, (io lo conosco bene che anche qui

faceva più il fattore che il lavoratore), ma tu non vorrai delle volte un po' troppo?

Non sarà mica il caso di dire che l'ottimo è nemico del bene?

 Perdonami sai, mica che io dubiti di te, o mio buon figliuolo,

ma bisogna che faccia un po' come le Mamme, che cercano sempre di tollerare,

di aggiustare, di pazientare e di rabbonire tra i loro i figli,

pure riconoscendo i torti di qualche figlio.

 Ed ora passerò alla 2ª tua lettera, del 20 Ott. 22 In essa mi dici

 1/ che confermi quanto mi hai scritto nella tua prima

 2/ mi comunichi le tue risoluzioni.

E poi che così, come quest'anno, la Colonia non può andare,

che sono necessarie 4 persone da lavoro: una per l'assistenza ai villani arabi

((e fin qui ci capisco bene perché questo e non altro mi diceva il Patriarca di volere,

benché Don Sterpi ed io fossimo del tuo parere

di cominciare ad avere un po' di terreno nostro, cioè a lavoro diretto))

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Un'altra per la coltura diretta dei campi

(e qui si direbbe dunque che avete già una coltura diretta)

 Una terza per le piante, gli orti e oliveto

 Una quarta per le stalle e il bestiame.

(E anche qui parrebbe che non si tratti più di sorveglianza ma di condutture dirette).

Poi ti limiti a due.

 Ebbene, caro Don Adaglio, non sarà mai che per la terra

che ha bevuto il Sangue di N. Signore io mi rifiuti,

benché anche N. Signore non esigerà che possa dare ciò che non ho.

 Ma una uno buono ce l'ho già sott'occhio, - non gli ho ancora potuto parlare,

ma andrò a Roma entro pochi giorni, e gli parlerò,

e gli leggerò anche la parte delle tue due lettere

che si riferiscono allo spirito, alla vita, al lavoro che si deve fare al Rafat.

Se accetta, mi pare che farà: finora ha dato ottima prova.

 Ne ho abbiamo un altro in Noviziato a Bra, (parlo sempre di persone da lavoro).

Don Cremaschi me ne dice ogni bene e vuole che io lo vesta da eremita:

è delle parti di Cuneo, forte, di 40 anni circa, robustissimo, contadino.

Ma è da troppo poco tempo che è con noi, e amerei quindi provarlo ancora un poco.

Tutti i suoi precedenti però sono buoni.

 Quanto al toglierti fra Giuseppe, non ho nessuna difficoltà di richiamarlo,

però aspetto una tua riconferma al riguardo,

perché non trovo la tua lettera in tutte le sue parti così alta e serena,

come tu stesso forse certo la volevi nella tua intenzione .

 Che se qualcuno di questi due, di cui t'ho scritto, e che mi parrebbero assai adatti

e per ispirito e per volontà di lavorare veramente, e per l'amore di Gesù Cristo

e di fare del bene col loro esempio, - non si sentissero di venire o non lo potessero,

penso che la Divina Provvidenza non lascierà di venirmi venirci in ajuto,

e di suggerirmi qualche altro nostro buon Confratello.

 Mi pare di avere detto e risposto a tutto.

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 In breve: io voglio che i nostri Religiosi (ovunque siano) lavorino e lavorino bene,

e per l'amore di Cristo benedetto, e con questo e per questo santo amore

insegnino più coll'esempio che colle parole a ben lavorare

per compiere il grande precetto di Dio che ha comandato il lavoro, e ce ne diede l'esempio,

e così santificare la vita.

 Però io ti direi di voler concedere ancora a fra Giuseppe un congruo tempo,

ché se poi non farà, allora lo richiamerò.

Ma se tu mi dirai che ritieni inutile questa prova, allora (come sopra ho scritto)

lo richiamerò subito.

 Io gli scriverò in questi giorni, e tu vedrai come prenderà la mia lettera.

 E tu permettimi di animarti e confortarti alla pazienza,

giacché la pazienza ritengo sia la più gran dote di un savio Superiore.

 Parla a fra Giuseppe con apertura di cuore e lealtà,

parla più con amore di fratello e di Sacerdote che con serietà di Superiore:

tenta tutti i mezzi, e sii pronto a tollerare qualche difetto, qualche inconveniente

con illimitata pazienza, caro mio Don Adaglio, con illimitata pazienza.

 Quanto più ti concilierai la carità, quanto più con pazienza

sopporterai le deficienze, i difetti del tuo personale

(molte volte, vedi, non fanno perché non ci arrivano proprio:

vanno fino al positivo: perché non sono suscettibili di elevarsi al comparativo:

vanno fino a 4 oppure a 6, perché non possono salire a 5 né a 7:

e allora bisogna accontentarci e prendere quel poco che danno)

tanto più guadagnerai del loro cuore e li condurrai dove vuoi

o, almeno, fin dove vedi che possono salire,

(e allora bisogna capirli, e non pretendere l'impossibile, né di farli salire di più:

bisogna essere discreti; per questo la discrezione e la prudenza sono doti necessarie

e di prima necessità per un Superiore).

 E allora tanto più presto verrà l'emendazione, se era difetto,

e non era impossibilità o incapacità morale.

 Però non cessare di esortare incessantemente in Domino:

non cessare di mostrare con fraterna e sacerdotale libertà le manchevolezze,

le deficienze, i difetti, e di richiamare al dovere; - e ciò per puro amore di Dio,

senza nessuna asprezza, ma con calma, con fermezza, con fortezza (occorrendo),

con saviezza tranquilla e sempre uguale.

E cerca che l'ultima parola apra sempre il cuore e non lo serri.

 E poi raccomandati alla Madonna SS.

 Capisco che avrai molte difficoltà a superare, ma la SS. Vergine ti ajuterà:

pregala con umile fiducia e con cuore, e anch'io ti ajuterò nella Messa.

 Sta attorno a fra Giuseppe come e più che non faresti con un figlio stesso di tuo padre

e di tua madre, e Iddio ti ricompenserà in Paradiso.

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 A proposito di tuo papà e di tua mamma, essi furono qui

che è poco più d'una settimana: stanno proprio bene e mi sembravano tanto contenti

 Il nostro Don Quadrotta è morto, caro figliuolo mio!

Prega per Lui, pregate per Lui e un po' anche per me.

 Ed ora ti abbraccerò nel Signore,

e in te e con te abbraccio anche Fra Giuseppe e il Ch.co Gismomdo Gismondi

Il Signore vi conforti e vi assista sempre e vi benedica, o cari miei figliuoli!

 Perdonatemi che non vi ho scritto da tanto tempo,

e che Dio mi ajuti a riparare ogni mia mancanza.

 Facciamo tutto per l'amore e nell'amore di Gesù Cristo Signor Nostro

e tutto diventerà facile, leggero, dolce, amabilissimo:

senza l'amore di Dio tutto si fa freddo e stentato e pesante; ma con l'amore di Gesù Cristo

e per l'amore di Gesù Cristo diventa soavissimo e desiderabile, -

e fin la croce diventa un tesoro e un bene senza cui non si può vivere,

e quella che par morte diventa vita e felicità dell'anima!

 Quanto è mai bello amare un po' il Signore!

E quanto è pur bello amarci, confortarci, compatirci, ajutarci tra noi nell'amore fraterno,

che viene da Nostro Signore, che è nostro Dio ed è pure nostro Fratello,

«il Primogenito» di Maria SS., perché noi siamo i secondi secondo geniti!

 E quanto a te personalmente, o mio caro Don Adaglio,

che mi sembri nel tuo spirito tribolato e tentato,

io voglio invocare su di te uno speciale conforto e una speciale benedizione da Dio.

E paternamente ti esorto a ricorrere a Lui, che è il Dio di ogni consolazione,

in ogni tua tribolazione, perché Egli ti dia ajuto e te la rivolga in bene.

 Abbiamo nei Salmi tante e tante sante espressioni che ci aprono il cuore a Dio

nelle ore delle prove e del nostro travaglio:

«Adiuva me, Domine Deus meus» «Complaceat tibi, Domine, ut eruas me» -

 Sono dai Salmi

 Ma il S. Vangelo ci ricorda le divine parole del Signore al Padre celeste

nell'ora più dolorosa dell'abbandono e del sacrificio:

«Nunc anima mea turbata est. Et quid dicam? Pater, salvifica me!...

Pater, clarifica Nomen tuum![»].

 Ma la più alta e divina parola di conforto e insieme di totale abbandono

e invocazione sta nel Pater Noster.

 Meritiamo, pur troppo d'essere e tribolati ed afflitti, ma Fiat voluntas tua!

 Si sa e si sente che la mano onnipotente di Dio, che ci è Padre

non ci abbandonerà nella Sua paterna e divina bontà e Provvidenza,

e basterà a levarci dalla tentazione e a mitigarne l'impeto, se noi umilmente Lo invochiamo,

e a consolarci nelle ore grigie, nei turbamenti dello spirito, nel giorno della tribolazione:

Bonus Dominus et confortans in die tribulationis.

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 Riconfòrtati dunque sempre nel ai piedi del Signore e nella orazione,

e intensifica nei tuoi lo spirito e da vita religiosa,

e tutto il resto, naturalmente, vedrai che verrà da sé.

 Prega, e raccomandati umilmente alla Madre nostra,

e vedrai che il Signore ti sarà vicino.

Ti sarà vicino, e restaurerà tutte le cose tue personali

e le deficienze dei tuoi fratelli sovra misura, se anche essi Lo pregheranno,

e mi sentiranno vorranno sentire, o, meglio, sentiranno il Signore.

 Sta saldo, e in perseveranza: come l'oro nel fuoco, così l'amore e la fede

alla Congregazione si prova nei dolori e nei cimenti.

 Non si turbi il cuor nostro e non tema: Non turbetur cor vestrum, neque formidet:

sii longanime e forte nell'amare, confortare, compatire i tuoi fratelli,

come una madre con i figliuolini suoi

 Sai cosa dice la Scrittura: Che Giacobbe misurava i suoi passi e le sue gambe

non con le gambe di Esaù, ma con i passi e le gambe non solo dei suoi bambini,

ma pure dei suoi agnellini.

 Grande ammaestramento per noi!

Abbi una grande fede nel Signore: una grande fede nella Provvidenza del Signore.

 Se non ti scrivessi, non ti credere abbandonato, o figlio mio: io ti sono vicino sempre;

fra dieci anni capirai tante cose, e allora dirai: guarda, non era così come la pensava!

 Presto dovrò andare in Polonia con Don Alessandro, che venne qui a prendermi,

e portò una somma che si dovrà spendere in Polonia per raccogliere orfani della guerra,

e così riunire un po' quei nostri fratelli

 In verità, vado più per tirare via con me Don Martino Bonch, [Bak]

che ancora s'è abbandonato al vino e vive sospeso.

Egli poi ha in testa parte della Colonia di Monte Mario.

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 Se quindi tu scrivessi, e non ti giungesse subito la risposta,

potrebbe essere per la mia assenza che durerà un mese circa.

 Prima però, e in questi giorni, andrò a Roma, in Calabria e a Messina,

e scriverò a fra Giuseppe e a Gismondi

 Ancora, prima di finire, ti dirò un pensiero che mi passa:

Che impressione farà sul Patriarca la partenza di fra Giuseppe? -

E sarebbe secondo te meglio che prima venissero questi, o che prima venisse lui,

dato che tu ritenga sempre necessaria la sua partenza?

 Finisco pregando la bontà del Signore di convertire in gaudio qualunque tuo affanno,

e poi esorto me e te con le parole onde San Giacomo apre la sua Epistola:

 «Abbiate, fratelli miei, come argomento di vero gaudio le vostre tentazioni

nelle quali urterete; sapendo che lo sperimento della vostra fede produce pazienza»

 Poiché il Padre celeste, o caro mio figliuolo, ci ha mandati non a gaudî temporali,

ma a grandi combattimenti; non ad onori, ma a vilipendi;

non a riposo, ma a faticare e a soffrire e a patire,

e così - e solo così - a riportate molto frutto nella pazienza.

 Ed ora finirò, ed è tempo;.

e Ecco che con questo letterone ho cercato di rifarmi un poco del lungo silenzio

e della lontananza.

 E finirò rivolgendomi ancora a te, ma non a te solo, a te e agli altri:

O miei carissimi figliuoli, ogni mattina sull'altare io mi sento tanto tanto vicino a voi,

e spero che anche voi ogni giorno vi sentirete con Gesù Signor Nostro vicini a me!

 Su via, o miei figli, la vita è breve, la fatica è breve, e il Paradiso ci aspetta!

Su via, o miei cari figliuoli, andiamo avanti insieme! Gesù è con noi!

 Andiamo avanti insieme, cioè d'un volere e d'un amore, insieme!

 Questa è la forza della nostra vita religiosa.

 Per amore di Gesù prendemmo la croce, per amore di Gesù perseveriamo in croce!

 Sarà nostro ajuto chi è nostro Duce, e ci va innanzi.

Deus noster pugnavit pro nobis! Viriliter agite!

 Su, virilmente, o miei Cari, Gesù è con noi!

            V004P241


 Vi abbraccio tutti e ciascuno: Vi comunico una speciale benedizione del S. Padre,

e vi benedico anch'io con tutta l'anima e il cuore mio, e vi lascio nelle mani della Madonna.

 Pregate per me!

 Ricordatevi di Don Quadrotta, ricordatevi di questi nostri fratelli d'Italia

e di quelli del Brasile e dell'Argentina!

Essi stanno bene, e lavorano a guadagnarsi il Paradiso.

Caro Paradiso, caro Paradiso! dove saremo ancora tutti insieme con N Signore

e con la Madonna!

 Vi abbraccio ancora in osculo Christi, e vi sono aff.mo più che padre nel Signore.


       Sac. Orione  della Div. Provvidenza


 Tanti e tanti ossequî a Sua Eccell. Rev.ma il Patriarca.

 E ogni volta che andrete sui luoghi più venerandi della nostra Fede

e del nostro cuore, ricordatevi di me e dei vostri fratelli lontani!