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[Al M. Rev.do Don Giuseppe Adaglio

Stazione di Artuf per Rafat

Giaffa di Palestina  Palestina]


 +       Anime e Anime !

        Roma, [San Filippo] 20 febbraio 1923


 Caro Don Adaglio,


 La pace del Signore sia con Voi tutti!

Ero nelle Marche, di dove sono qua giunto all'una di stanotte e.

a Affrettai il mio ritorno perché il 17 corr. era stata qui il Rev.do Don Sacchetti,

Prefetto di codesta Colonia Agricola di Beitgemal, e venni per sentirlo e ringraziarlo

di quanto fa per voi altri, poiché domani egli lascia Roma, per recarsi poi in Germania,

come m'ha detto.

 Sono tanto tanto lieto di avergli potuto a lungo parlare,

e, se saprò l'ora precisa della tua partenza domani,

andrò pure a salutarlo di nuovo alla stazione.

 Egli mi ha date le più consolanti notizie della vostra buona salute, e come mi ha sempre più chiarita la vostra impossibile posizione, finché le cose resteranno come sono.

 Siccome gli ho accennato che qui si è fatto correre insistente la voce

che voi altri sciupate troppo e fate troppo spendere in vittuaria,

egli mi disingannò, e ne fu ben meravigliato.

 Mi disse che avete sempre preso il pane da loro e anche il vino,

e che, infine, gli pare anzi che siate molto mortificati,

perché finite di bere un litro di vino al giorno in tre e un chilo o poco più di pane.

Che vivete in due bugigattoli, e che, per comprarvi un asino

l'amministratore francese del Patriarcato, vi ha fatto aspettare 6 mesi.

 Egli è persuaso che assolutamente non potete né dovete continuare così.

Ho capito che i Salesiani volentieri avrebbero preso o prenderebbero ancora oggi il Rafat, quando il Patriarca facesse loro delle condizioni possibili.

 Ma pare che il Patriarca intenda fare grandi e, forse, impossibili ricavi dal Rafat,

e pare a più d'uno che vi tenga e vi abbia in vero conto di servi.

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 Questo so che a Mgr Cassullo, [Cassulo] Rappresentante della S. Sede in Egitto -

che è della nostra Diocesi di Tortona perché nativo di Silvano d'Orba,

benché non abbia esercitato il ministero in Diocesi perché andò a studiare presso gli Scolopi di Ovada e poi seguì Mgr Mistrangelo a Pontremoli e a Firenze e indi fu Vescovo a

Fabriano, dove sono stato a trovarlo - quando Mgr Cassullo [Cassulo] fu lì in Palestina e

venne in compagnia del Patriarca, passando vicino al Rafat e parlandosi di voi altri, Mgr

Cassullo [Cassulo] interrogò il Patriarca a quali condizioni voi eravate al Rafat.

E il Patriarca Barlassina gli ha risposto testualmente così: «A nessuna condizione: essi

sono dei servi»

Veramente io vi aveva messi nelle sue mani come figli, e riteneva che Egli

fosse un Padre come deve essere sempre un Sacerdote e, più, un Vescovo.

Ma, pazienza sempre, e ci farà da Padre il Signore, il q Quale non va con la umana prudenza o scaltrezza, ma in rettitudine e carità e misericordia.

Vi ho messi e vi rimetto nelle mani della Madonna che è la Madre della Divina

Provvidenza.

 Cari miei figliuoli, siamo contenti di soffrire qualche cosa per l'amore di N. Signore

Gesù Cristo, e in penitenza dei nostri peccati, - specialmente voi educatevi a patire con

Gesù Crocifisso mentre avete il privilegio di trovarvi nei posti dove Nostro Signore nel

dolore, nella umiliazione e sulla Croce ha operata la nostra redenzione.

Per grazia di Dio noi siamo venuti in Palestina in Domino e restiamo col Signore sempre!

 Se dovremo venire via, verremo via in Domino, silenziosamente e perdonando

anzi chiedendo perdono e umiliandoci nell'amore di Dio benedetto.

Né mai faremo troppo per l'amore di Dio.

 E se amiamo davvero la Chiesa, preghiamo specialmente per i Vescovi,

che Iddio li assista e li tenga nel Suo Cuore, e percuota noi,

ma compatisca e conforti i Padri della nostra Fede e delle nostre anime -

 Costantino il Grande (benché non ancora battezzato,

ché, secondo il suo storico Eusebio, solo ricevette il battesimo prima di morire)

era solito dire che: se avesse veduto un Vescovo commettere un turpe peccato

(adulterio, diceva), lo avrebbe coperto col suo mantello.

Impariamo noi Religiosi da un pagano come si devono compatire, amare

e venerare i Vescovi.

 Questo dico per confusione mia, e onde riparare espressioni troppo vivaci

che mi fossero sfuggite in qualche lettera precedente,

e so che mi sono uscite per il mio malo spirito di superbia.

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 Quando questa mia ti giungerà, tu avrai ricevuto un mio letterone

e copia della lettera che Don Sterpi ha spedito al Patriarca,

e questi ti avrà forse già chiamato.

Con tutto il rispetto e la riverenza, ma vedi che se le cose non si mettono a posto bene ora, non si metteranno più.

 Quindi tu comunicherai subito quali sono i patti che il Patriarca intende farci

e le sue disposizioni d'animo, e il tuo parere in proposito.

 Mi vorrai anche dire come è rimasto fra Giuseppe dopo la mia lettera.

 A te, caro Don Adaglio, raccomando la pazienza, la pazienza

e la tolleranza materna, e molta larghezza di cuore.

Inchinati verso i tuoi fratelli come una madre verso i suoi figliuoli

con essi oserei dirti di non ragionare colla testa, ma col cuore.

Anche nel vitto e vestito, vedi che abbiano il necessario e anche qualche cosetta di più.

 Vedi bene che Nostro Signore moltiplicò non solo il pane,

ma anche volle moltiplicare il pesce; a sfamare quelle turbe, per sé, bastava il pane,

ma no, Gesù volle nella sua divina carità moltiplicare anche il pesce.

Andiamo come faceva Gesù: anche perché essi abbiano di che e come mortificarsi.

 Non tolleriamo il peccato di gola, ma non siamo né passiamo per avari.

In certe Case mi fa gran pena sentire lamenti e fin mormorazioni verso i Superiori

perché non di dà, non si provvede, quando si può, a ciò che è necessario

o anche conveniente, pur nella povertà, che ci sia;

oppure si fa aspettare aspettare e non si è mai a tempo, e così si irritano gli animi

e si alienano dalla Congregazione.

 Gesù non è venuto né con la durezza né con l'avarizia,

ma con la dolcezza, con la carità, con la larghezza:

tutto nel Vangelo predica povertà, ma anche larghezza;

del pane moltiplicato se ne avanzano parecchie ceste,

e benché non si sia avanzato del companatico, del pesce,

non c'è una parola nel Vangelo che dica male, di quel popolo

perché avanzò pane e non companatico.

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Io ti supplico, caro mio figliuolo, di fare così.

Leggi e medita frequente ciò che sta scritto al libro Iº Capo XVI dell'Imitazione di Cristo,

dal versicolo Iº al 14mo :

«Quel che l'uomo non può correggere in sé o negli altri,

lo deve sopportare con pazienza e in pazienza, finché Dio non disponga altrimenti.

2 Pensa che forse così è meglio per la tua prova e pazienza

senza la quale i nostri meriti valgono poco.

3 Devi peraltro pregare Dio anche per cotali fastidî,

affinché si degni d'aiutarti, e tu possa pigliarteli in pace

4 Se alcuno, ammonito una o due volte, non si acquieta, non ti mettere con lui

a quistionare; ma lascia fare a Dio, che sa cavare convertire il male in bene;

acciocché sia fatta la sua volontà, ed egli abbia onore in tutti i suoi servi.

5 Studiati d'essere paziente in tutti i difetti altrui, e qualunque debolezza;

perché tu pure ne hai la tua parte, e gli altri le debbono tollerare .

6 Se tu non puoi diventare quale vorresti, dimmi come faresti a ridurre gli altri al tuo genio?

7 Ci piace di veder gli altri perfetti, ma intanto non emendiamo i difetti nostri

8 12  Se tutti fossero perfetti, che avremmo noi da patire dagli altri per amor di Dio?

13 Ma ora Dio ha voluto che sia così acciocché impariamo a portarci scambievolmente

i pesi: ché nessuno è senza difetto, nessuno senza carico, nessuno bastevole a sé,

nessuno per sé sapiente a sufficienza: ma bisogna che facciamo a compatirci,

che ci consoliamo insieme, e così ci aiutiamo e correggiamo.

14 E all'occasione di qualche sinistro si vede meglio di quanta virtù sia un uomo».

 Ma se tu avrai il testo latino, assai più sentirai e assaporerai

questi altissimi e spirituali insegnamenti a soffrire i difetti altrui.

 Il paziente, dice la Scrittura, vale più che il forte.

 Bisogna che c'impegniamo, caro mio Don Adaglio, quanto più possiamo

a portare e a sopportare i difetti dei nostri prossimi,

e in questo penso stia una gran parte dell'amore del prossimo.

E chi più prossimi dei nostri fratelli, con i quali viviamo e conviviamo?

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 «Diliges proximum tuum sicut te ipsum» (Matt. XIX).

Questa è la gran legge della carità di Gesù Cristo;

ma quanto raramente trattiamo il prossimo come noi stessi!

Questo dico a mia confusione e a vostro avvertimento

 Confortiamoci, dunque, animiamoci e consoliamoci, o caro D. Adaglio:

Sopportantes invicem, dice S. Paolo ai Coloss.,

e ai Tessalonicesi: Consolamini invicem! E ai Galati : Alter alterius onera portate.

Onde sempre (e sarà opera di tutti i giorni e di tutte le ore) supplichiamo N. Signore

che ci dia pazienza e tolleranza e carità, e carità paziente più che carità zelante.

Colla pazienza tutto si vince, tutto si vince!

 Il I versicolo del Capitolo «sulla vita monastica»

che è il Cap. XVII del libro I dell'Imitazione dice subito: «ut discas te ipsum frangere».

 Ma finirò, e finisco abbracciando in ispirito di fraterna e di paterna carità te

e tutti gli altri due nostri cari fratelli.

Lo spirito del Signore sia con voi sempre, o miei Cari!

tanto più cari quanto più vi so in angustiis pro Christo.

 Ma, «oh quante e quanto gravi tribolazioni soffrirono gli Apostoli, i Martiri,

i Confessori, i Vergini e tutti quelli che vollero seguitare le vestigia di Cristo!

 Oh che rigida e povera vita non condussero i Santi Padri nell'eremo!

Lavorarono il giorno, e poi di notte attendevano alla preghiera, -

quantunque neppur lavorando cessassero dall'orazione mentale

Spendevano bene tutto il tempo: ogni ora che dessero a Dio pareva corta!

Erano poveri delle cose terrene, ma straricchi di grazia e di virtù.

Al di fuori stentavano, ma dentro erano ristorati dalla grazia e dalla consolazione divina»

 Stavano in vera umiltà, vivevano in semplice obbedienza,

in carità e pazienza camminavano; quindi ogni giorno più s'avanzavano nello spirito

e acquistavano molta grazia presso Dio!

 Sono dati in esempio a tutti i Religiosi: e più debbono essi incitarci a ben avanzare,

che non la moltitudine dei tiepidi a rilassarci»

 Deh, cari miei figliuoli, da questi servi del Signore, impariamo anche noi

 Ti benedico, caro mio D. Adaglio, e con te gli altri, e sto in attesa -

 Amiamo e serviamo davvero Gesù Crocifisso e la Madonna e la Chiesa e le Anime!

 Tuo


         D. Orione  d D P

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[parte di minuta della precedente]:


 Egli è persuaso che assolutamente così non potete né si deve continuare.

 Ho capito che i Salesiani avrebbero preso essi volentieri il Rafat, -

quando col Patriarca avessero potuto combinare.

 So che il Patriarca, essendo stato costì Mgr Cassullo, [Cassulo]

che era prima Vescovo a Fabriano, dopo essere stato con il Cardinale Mistrangelo

Vic. Generale a Firenze, ma che è della nostra Diocesi di Tortona

perché nativo di Silvano o di Castelletto d'Orba che sia, passando sotto il Rafat,

in compagnia del Patriarca, chiese al Patriarca a quali condizioni noi eravamo al Rafat.

E il Patriarca Barlassina gli rispose testualmente così:

«A nessuna condizione: essi sono dei servi».

 Queste parole fecero molta impressione, e mi furono riferite testualmente.

 Mgr Cassullo, [Cassulo] come saprai, è ora in Egitto, Rappresentante della S. Sede.

Io lo conosco bene, e anche jeri mi fermai a Fabriano, dove egli era Vescovo.

La mia fiducia nel Patriarca è molto molto scossa,

ed ho messo voi tutti nelle mani della Madonna.

Cari miei, non si tratta così dei poveri religiosi, che gli si misero nelle braccia come figli;

le persone del mondo non trattano così: ho trovato molta più onestà fuori d'Israele.