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[Raccomandata
Al M. Rev.do Signore
Il Sig.r Don Giuseppe Adaglio
Ospizio Italiano
Tiberiade per Cafarnao
Palestina]
Anime e Anime!
Tortona, il 7 Agosto 1929
festa di S. Gaetano
Caro Don Adaglio,
La grazia e pace di N. Signore siano sempre con noi!
Ieri, finalmente, abbiamo potuto incontrarci il Conte Venerosi ed io, qui;
in verità egli aveva telegrafato da più di 15 giorni di dirgli se mi avrebbe trovato,
ma ero in partenza per Venezia; poi mi offersi di andare io a Torino, ma egli era a Roma,
- e jeri veniva da Roma, dove ci eravamo dato appuntamento, ma aveva dovuto sospendere per andare jeri stesso ai funerali del padre di D. Pensa.
A Roma vado oggi per unirmi ai nostri che da l'altro jeri sera sono riuniti a S. Oreste
in Esercizî Sp.li dettati da un Padre Gesuita.
Avrai ricevuto, tempo fa, una mia con copia della risposta al Patriarca
- che non poté essere affermativa per mancanza di personale: sei giorni fa
ho dovuto inviare sei nel Sud America, quattro Sacerdoti e due fratelli Coadiutori,
- due Sacerdoti pel Brasile, compreso Don Arlotti, e gli altri per l'Uruguay e Argentina, sotto Don Zanocchi.
Sto aspettando Don De Paoli, perché ha la Madre malata di un ulcere al petto,
e si è telegrafato che venga.
Ma, veniamo a noi. Ieri il Conte si trattenne qui quattro ore; io mi sono preparato
con la preghiera, e ho ricevute tutte le tue lettere, anche quelle a Don Sterpi.
Al
punto a cui sono le cose, lì dove siamo non possiamo più stare, se
stanno le Suore; anzi -
mi risulta che già esse stanno per ritirarsi; e allora si direbbe
che, dopo tanti anni,
sono costrette a ritirarsi per noi, - il che non voglio.
Noi non siamo in Terra Santa per scalzare nessuno.
Stare insieme con gli animi tesi così ogni giorno ce ne sarà una,
anche tu fossi Rettore etc.
Tu poi hai scritto a Don Sterpi fin dal 17 / 4
«Un nostro ritiro da Cafarnao sarebbe moralmente più disastroso che quello di Rafat».
E allora?
Ritiriamoci non da Cafarnao, ma dalla Casa dove siamo,
e lasciamola tutta alle Suore: meglio così, sotto ogni riguardo.
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Non perdiamo il nostro tempo in litigî con donne e, peggio, con Suore;
e poi in Oriente, dove tu stesso mi hai detto o Don Gemelli (non ricordo)
che le Suore comandano quasi più di tutti.
Facciamo come c'è nella S. Scrittura; Abramo disse a Lot:
non vi deve essere turbamento tra te e me, tra i miei e i tuoi pastori e pecore:
se tu scegli di andare a destra, e io vado a sinistra; - se tu vai a sinistra, io andrò a destra, ma vi sia pace tra di noi.
A chi vi toglie il mantello, dice il Vangelo, dategli anche il, vestito.
Voi altri, moralmente, sarete sempre i vincitori ritirandovi umilmente
in una casuccia, che restando in una reggia così in discordia, e, peggio,
se le Suore andassero via e rimaneste voi.
Tu già in data 3 Luglio scrivevi: «Io direi: o ritirarci dignitosamente
o, se dobbiamo restare, - lasciare le Suore padrone dell'Ospizio, e noi ritirarci in una casetta, vicino al lago. È una casetta umile, l'Associazione ce la farà aggiustare un poco;
- ma meglio liberi in un'umile casetta, che servi e servi di Suore in una reggia.
Avremo la nostra piccola Cappella e si potrà prendere impegno per il servizio delle Suore di sopra qualora non avessero già il Cappellano».
Ho tenuto presente tutto questo, e ora col Venerosi ho combinato
che egli mandi a far aggiustare un poco detta casetta, e che noi ci saremmo ritirati in essa.
Per ora le Suore hanno un Sacerdote, - egli faccia loro da Cappellano.
Ci vorrà forse un po' di tempo prima di poterci ritirare in quella casetta:
prego nel Signore che, finché restiamo all'Ospizio, si usi da tutti tutta la pazienza
e carità possibile e impossibile perché il disagio non si accresca,
ma, possibilmente, scompaja, e ciò farete per l'amore di Dio benedetto.
Quanto al terreno il Conte mi fece leggere la tua ultima lettera;
egli non accetta quell'affitto che gli fu proposto, perché non è conveniente,
come pure tu gli dici.
Per ora, quindi, si continuerà così. Pare tenda ad avere costà uno solo
dei due nostri giovani, ma questo si vedrà.
Di
affittare il terreno a noi non mi pareve
ci sia fosse molta
disposizione;
penso che i recenti screzî con le Suore abbiano affievolito ancora di più
quel po' di buona disposizione che poteva esserci, se veramente c'era.
Il Venerosi non mi nascose che sia lui che il Barluzzi non rimasero bene dall'abboccamento con te come del resto, tu già mi avevi scritto.
Anche dell'ultima lettera mi diceva: veda, le stesse cose, dette in altra forma, otterrebbero di più o, almeno, farebbero all'animo una impressione migliore,
e
gioverebbero, e invece, quasi, di
che allontanareno.
Veramente, dopo la tua malattia, ho notato anch'io in te una forma forte e, sovente, puntuta; - vedi di togliere ogni amarezza, ogni asprezza, che potrebbero guastare in te l'opera del Signore: una parola e forma dolce suole persuadere, e apre i cuori.
Capisco che la Provvidenza ti ha messo in una posizione difficile,
e in circostanze quotidiane di molte e svariate difficoltà;
e per questo è da qualche tempo che prego per te e sempre nella Messa ti ho presente,
caro Don Adaglio.
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Adesso ti dico che assai ci soffro di vederti andare in quella casuccia,
ma la nostra dimora in terra non è che una tenda; e che dove Gesù Cristo ha tanto patito, che anche da voi si patisca per amore Suo, ci deve dare grande conforto.
I gemiti cavati dal profondo del cuore nella Terra Santa,
e i dolori portati e accettati con silenzio e anima grande e con vivo sacrificio
per l'amore di Gesù Cristo Crocifisso, ti saranno - e non per te solamente
ma anche per la Congregazione - di grande merito presso Nostro Signore.
Non c'è di veramente grande che amare e patire con Gesù Cristo!
Noi dobbiamo aspettare ogni nostro bene, ogni nostra soddisfazione, ogni ricompensa
dalla
Mano di Dio; «è tanto il bene che ci aspetta che ogni pena ci deve
essere è diletto»,
come
diceva S. Francesco d'Assisi; e in tutto ciò che più ripugna al
nostro amor proprio,
e in tutto che ci è di rinnegamento di noi e di umiliazione preghiamo la Madonna
che ci faccia sentire la perfetta letizia nel Santo Amore di Dio!
Morire a noi stessi, e solo vivere in Cristo, e in Gesù Cristo Crocifisso:
«Gesù si ama e si serve in Croce; e chi non lo ama né serve in Croce
non lo ama né serve affatto».
Così diceva il Ven.le P. Ludovico da Casoria.
Dunque animo, caro Don Adaglio!
E per farvi da mangiare in quella casuccia?
Il Conte era molto preoccupato per questo. Scrivimi come potrebbe farsi.
Don Gemelli, Gismondi e il Ch.co Maestro Cantoni sono giunti
e stanno già a Sant'Oreste a fare gli Esercizî Sp.li.
Non so se sia giunto Fra Giuseppe col compagno: vedrò arrivando io là posdomani.
Finisco benedico e confortando in N. Signore te e gli altri che sono costà,
- e assicurandovi delle nostre preghiere.
La pazienza è la perfezione della virtù insieme con la carità: la carità paziente infonda in te e in tutti la pace e il gaudio di compiere la volontà di Dio,
- e le mani della SS. Vergine alleggeriscano i vostri pesi e patimenti,
ed Essa vi dia animo forte nella carità paziente, e confidenza in Dio che vede tutto,
che sa tutto, che tiene conto di tutto, che ricompenserà di tutto!
Ti abbraccio in osculo Christi, e ti benedico tanto!
Tuo aff.mo
Sac. Orione d. D. Pr.
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Non tengo conto dei Chierici sono 21 Sacerdoti già a S. Oreste,
23 li fecero alla Moffa, 4 li finirono al Dante ieri l'altro
gli altri li faranno a Villa Soranzo.
Alla Moffa e al Dante ci furono predicati da due Missionarî di Rho
che fecero molto bene.
Anche il padre di D. Bruno sta male.