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[Raccomandata
Al Molto Rev.do Sacerdote
Don Giuseppe Adaglio
Ospizio Associazione Missionarî Italiani
a Tiberiade per Cafarnao (Palestina)]
Anime e Anime!
Tortona, il 14 / 2 [1]930
Riservata
Caro Don Adaglio.
La grazia di N. Signore sia sempre con noi!
Dato il perdurare e il poco o nullo miglioramento della malattia di Don Perduca
e il non sentirsi bene anche di Don Sterpi, che non può uscire per la Casa, ho creduto
dover tardare la mia partenza.
Di tua mamma non ho ulteriori notizie, - e le ultime erano che va migliorando.
Ho ricevuto jeri la tua del 7 corr.
È stato qui Pio, e si scagionò, e mi parlò a lungo della consaputa malattia.
Disse che, essendo andato a Gerusalemme, prima di partire si incontrò con Giovanni
Della Fiore, guidatore dell'auto del Patriarca, giovane che chiacchiera molto
e che Don Gemelli chiamava la Gazzetta; quegli subito entrò a parlargli di Renato,
che era stato a curarsi di quel tal male a Gerusalemme, e che la cosa era nota.
Pio entrò poi in una farmacia per prendersi una medicina contro il mal d'occhi,
che egli soffre. E il detto Giovanni Della Fiore lo consigliò a prendere una certa medicina
e di portarla a Renato, sempre mostrandosi a personale conoscenza, con ogni sicurezza,
di ciò che diceva.
Pio mi disse che, trattandosi che Renato non gli aveva detto ancora niente, e di medicina per male vergognoso, rispose che lui non se la sentiva. Allora l'altro gli disse: se tu temi
di offenderlo, allora fa così, digli: questa te la regala Giovanni, io so tutto, e lui lo sa,
e da me non si offende.
Poi andarono in un Caffè, e si incontrarono con certo Centonzi e col Centonzi c'era pure
un suo Cugino, - e essi pure entrarono a parlare con Pio della malattia brutta di Renato,
che già sapevano tutto e si diffusero, e ne parlavano come di cosa nota a molti.
Il Renato era stato a farsi curare a Gerusalemme, pare appena giunto dall'Italia.
Pio mi disse che, dopo due giorni che era a Cafarnao, ti ha chiesto con insistenza
di andare a Gerusalemme, - pare vi si sia trattenuto parecchi giorni. Se è così
vorrebbe dire che, stando in Italia, l'ozio e il demonio lo hanno condotto al male.
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Là a Gerusalemme aveva conosciuto l'Onor.le Barbiellini, il quale poi venne
anche all'Ospizio di Cafarnao; il Barbiellini, seppe a Gerusalemme della malattia,
e, quando poi venne da voi, portò a Renato certa medicina, che Renato disse
(per nascondere la verità) che era contro la malaria.
Pio disse qui: non era una medicina contro la malaria, se fosse stata per la malaria,
ne avrebbe dato anche a me e a Don Adaglio.
Parlando di detta malattia con Pio e di quello che si diceva per Gerusalemme,
Renato gli disse: lascia che dicano quello che vogliono, ma non si sdegnò affatto,
né mostrò di meravigliarsi di quanto a Gerusalemme correva sul suo conto,
né di offendersene.
Il Pio era anche presente quando certo Vinci, addetto ai lavori dell'Ospizio, consigliava Renato di curarsi di detto male per evitare gravi conseguenze.
Pio mi ripeté più volte: «ma lo sa tutta Gerusalemme!»
E di Renato non parlava affatto con mal animo, anzi si mostra spiacentissimo
che
gli sia accaduta tale
la disgrazia di essersi presa tale malattia.
E poi, parlandomi una seconda volta, ho veduto che cercava di attenuare, il che,
in un certo senso, mi ha fatto piacere, molto. Io poi sentivo di non dover interrogare oltre, per quel senso che tu comprendi. Tuttavia ne scrivo perché è doveroso per me, ed è bene che tu sappia, sia pure riservatamente.
Siccome ho sempre udito che mali di quel genere sono infettivi, e che chi ci cade
ne può risentire anche per anni, e quando già si crede guarito, - così ti dico di stare attento
tu e fra Giuseppe sia per le posate, biancheria ecc.
E passo alla seconda parte della tua lettera, dove parli dei provvedimenti presi
contro di te.
Quali sono i provvedimenti così odiosi a tuo riguardo, o figlio mio? L'avverti scritto
di venire a riferire sulla situazione, che si è venuta sempre più aggravando costà,
non è certo un provvedimento che ti disonori. Tu stesso vorrai comprendere
che la situazione è tale che, avanti così non si può andare.
La Provinciale o Generale delle Suore sai, - te lo ho scritto, - che ha mandato
un ultimatum alla Associazione, e che essa si ritiene costretta a ritirare le sue Suore,
piuttosto che andare avanti così.
Il Conte, che mostrò sempre molta stima per te, pur non dividendo tutte le tue idee
su codeste Suore, nel desiderio di vedere se si poteva ancora addivenire ad un modus vivendi o a trovare una pratica soluzione possibile, mi ha proposto di sentirti.
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Io non ci ho veduto nulla di male, anzi ci ho veduto l'animo di un galantuomo,
e ancora una speranza che le cose potessero prendere una buona piega.
È un provvedimento questo? È un disonore per te desiderare di sentirti? Offriti di venire
a riferire personalmente, mentre le altre mandano un ultimatum?
Evvia, caro Don Adaglio! non devi essere così, - credi che ti fai un torto,
e con te, allora, non si potrebbe più ragionare. Nessuno ti può parlare così, ma io,
che Dio sa quanto ti amo in Lui, te lo posso e te lo devo dire. Già altre volte
ho dovuto avvertirti che la tua malattia ti ha reso troppo nero l'occhio tuo, troppo caustico
e a punta; quindi devi vigilare sopra certi tuoi moti, devi moderarti e inzupparti di più
nella carità del signore. Altrimenti finirai di avere sempre l'animo in agitazione
e urtato un po' con questo e un po' con quello; - e non sta bene,
specialmente in un Sacerdote e in un Missionario.
Se al Conte avessi io detto: non voglio che venga a riferirle,
ma che avrebbe pensato lui? E tu che avresti potuto dirmi?
Perché rifiutarti la difesa fatta a te, personalmente?
Perché respingere l'ultima prova di un possibile componimento, l'unica ancora di salvezza per restare ancora in Palestina?
No, caro, non dobbiamo essere ingiusti col Conte né con gli altri della Associazione.
Il rifiutarci poteva, - allora che nessuno sapeva della tua malattia - aver l'aria di una fuga
davanti ai motivi che certo le Suore avranno addotti per giustificare il loro ultimatum.
C'è un proverbio che dice: chi, chiamato, non va, - chi è assente, ha sempre torto.
Certe situazione difficilmente si possono cambiare scrivendo o stando lontano; comunque, a voce e direttamente potevi sempre meglio esporre le tue ragioni,
- non è chi nol veda.
Si trattava poi di prendere una decisione così grave per noi
e anche per l'Associazione; - l'invito che ti venne fatto fu proposta onestissima;
né ancor oggi, riflettendoci, saprei trovarne una migliore. Davanti ad un ultimatum,
se ancora si voleva tentare una via di accomodamento, una soluzione passabile,
una combinazione da poter prender tempo, non c'era che venire.
E tu te la prendi? Forse mi dirai: «potevo scrivere». Ma no, caro mio Don Adaglio,
la lettera è sempre parola quasi morta. E poi, a dirti la verità, se c'è uno che per lettera
può correre pericolo di rompere e non di aggiustare, sei proprio tu, o figlio mio.
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Tu trascendi, cioè facilmente trascorri nello scrivere, e facilmente offendi;
e credi forse di scrivere una gran cosa, mentre, in chi non ti conosce, ti faresti compatire,
e non lascieresti buona impressione, affatto. Le lettere ad es. con certi titoli (maffiosa etc.), con espressioni o punte ironiche etc., - a cui ti lasci portare, ma non aggiustano niente,
o figlio mio, se pure, nella presente situazione, non rovinerebbero tutto con l'Associazione.
Eh! figlio mio, ci vogliono altri modi, e molta calma e serenità,
- se no, anche avendo mille e una ragione, si finisce di passare per avere torto; -
e tu vedi o devi sapere, carissimo mio Don Adaglio, che già cominci a passare,
presso chi non ti conosce, per un carattere un po' incontentabile e col quale
non si può sempre trattare, perché il tuo male ti ha reso, certo, molto sensibile.
Io prego ugualmente il Signore di farti sentire in queste pagine che ti scrivo
tutto l'amore, tutto l'affetto, tutta tutta la bontà che sento per te, - tutta la pena
che sento per te, per quello che hai sofferto e per quello, o figlio mio, che soffri;
io prendo parte alle tue pene, alle tue tribolazioni interiori ed esterne tanto, tanto, tanto:
molto molto più di quanto tu non pensi, di quanto tu non credi.
Quando hai bisogno di sfogarti, scrivi a me, prenditela pure con me
e dimmi tutto ciò che credi, tutto ciò che vuoi; questo tuo stato d'animo passerà,
passera come passerà la malattia; io oramai lo so come è, ma gli altri non lo sanno,
e ti prendono per quello che non sei; e tu non hai colpa, ed essi non ne hanno colpa.
Però age contra, e sforzati, col divino ajuto, di addolcire il tuo carattere
nella carità di Gesù Cristo. Capisco che il tuo stato e modo difficilmente tu lo capisci,
ma fa quello che da padre nel Signore ti dico, e non sbaglierai,
e farai ancora un gran bene.
Non per dire male di alcuno, ma, tanto per citarti un esempio di un nostro fratello
che tu molto conosci; - tu sai quante e quante volte ho difeso anche con voi
il nostro Don Risi, appunto dicendovi: vedete che quel suo modo di trattare
gli proviene, in gran parte, dal non star bene e da un profondo dolore provato nella sua vita. Ma con la gente che figura faceva?
Ed adesso già è diverso, non più irruento come prima, in certi momenti.
Ebbene, come tu sai di Don Risi, che pure non si accorgeva di sé,
- così tu non ti accorgi di te; ma prega, raccomandati alla Madonna, e segui quanto ti dico con tutto l'affetto di padre in Cristo.
Ma per tornare in argomento, e così dar fine a questa già così prolissa lettera,
- restringendo, mio concetto era ed è: che con i buoni modi, si ottiene sempre di più
che con altro modo, che aliena gli animi e indispone, specialmente chi non ci conosce.
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Che tu hai tante e tante doti e risorse, ma devi sforzarti ad avere modi più concilianti,
e farai un grande bene, e riuscirai ad accaparrarti di più gli animi;
bisogna smussare le angolosità e non essere noi angolosi, e tutto ciò in Domino,
e per il bene delle anime. Tutti gli sfoghi li devi fare con me,
che mi resterai sempre quale mi sei, carissimo in Domino.
Se potevi venire o potessi ancora venire. = ora che mi scrivi già che puoi girare
e vai a Caifa e a Gerusalemme, = si potrebbe ancora, = forse = combinare, - magari,
come prima si era detto, ritirandoci cioè al Lago, dove è il Mulino,
- il
che tu stesso avevi deciso
proposto ed era stato accettato dal Conte,
e se ne parlò pure a Torino, presente Fra Giuseppe.
Io ho sempre ritenuto e ritengo che si potrebbe, con un po' di buona volontà
e sia pure, di sacrificio, - trovare ancora un modus vivendi; e ne prego la Madonna.
E tu potrai esporre, me e Don Sterpi presente, tutti i tuoi punti di vista, le tue ragioni, le tue difese: - chiarire di presenza malintesi con la Associazione, equivoci,
sfatare calunnie, e fare meglio comprendere la situazione ed ogni cosa.
E saresti così sicuro, perché tratti la cosa personalmente: tu conosci persone, posti etc.,
e puoi rispondere serenamente, a tutto, perché sei a cognizione di tutto e di tutti.
E così non c'è il pericolo che altri non dica o non faccia cosa sbagliata,
anche con la migliore intenzione di questo mondo; comunque, nessuno meglio di te potrebbe fare, essendo tu a piena e diretta conoscenza di persone, di cose
e della situazione.
È vero che io ho scritto giorni fa al Conte, visto che tu non potevi venere,
che
se le Suore si fossero irrigidite sul loro ultimatum,
dacché tu non potevi venire
me lo facessi sapere tempestivamente, perché noi partiremo prima di esse.
È ciò che, del resto, ho detto e scritto anche costà a voi altri. Ma, venendo, chissà?
Piuttosto che partano le Suore, dando la colpa a noi di essere costrette a dover partire, - partiamo noi prima; questo resta.
E ciò per quanto possa profondamente addolorare me e la Congregazione.
E finirò, finalmente! Prega per me e per i nostri cari malati.
Ti scrivo che sono le 10½ e D. Sterpi sta dicendo Messa.
Il Can.co Perduca, non celebra da 25 giorni. Ho mandato jeri Don De Paoli
da Don Tricerri, che non sta niente bene.
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Don De Paoli sta per ripartire pel Brasile con due fratelli Coadiutori.
Il Signore ti conforti di ogni benedizione .
Tuo aff. in Gesù Cr. e nella Santa Madonna
Sac. Orione d. D. p.
P.S. Quanto a Pio già ho scritto sia al Conte che a Don Gemelli.