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Casa della Divina Provvidenza
TORTONA
Instaurare omnia in Christo !
Tortona, li 19 Aprile 1920.
Carissimi Figli della Divina Provvidenza,
Benediciamo al Signore nella afflizione e angustia del cuore,
come nella più grande consolazione.
Ecco, o miei figli in Cristo, sono ancora da voi, nel breve giro di pochi mesi,
con un terzo annuncio doloroso.
Vengo col cuore affranto sì, ma rassegnato alla santa volontà di Dio,
e, più che a cercare, sono a voi, o miei figliuoli nel Signore, per darvi conforto.
Ricordiamoci sempre che come senz'acqua non fiorisce la terra,
così l'umile Congregazione nostra non fiorirà senza molte lagrime.
Ieri dunque, a due soli mesi dalla morte di Don Gandini,
ci moriva quì, piissimamente, il nostro caro
Chierico Basilio Viano.
Aveva cominciato a non sentirsi bene da più d'un mese, per mal d'orecchi,
e più volte lo mandai dallo specialista in Alessandria;
e pareva fin star meglio, quando, un quindici giorni fa, s'è messo a letto con febbre,
una febbre gagliarda che lo divorò sino alla fine.
Il Dott. Codevilla, nostro medico, si prodigò per lui, venendo più volte al giorno,
e curandolo con intelletto d'amore.
Abbiamo chiamato anche da Alessandria il Dott. Bertolotti,
nel dubbio la malattia fosse causata da mal d'orecchi;
ma il malato fu invece dichiarato affetto da infiammazione intestinale
con intossicazione generale del sangue.
Il Chier. Camillo Secco, infermiere, gli fu attorno e giorno e notte
con carità edificante di vero fratello,
e così i Sacerdoti dell'Istituto e tutti i Chierici, validi a qualche aiuto, andarono a gara
nel prestarsi; ma ogni cura, ogni sacrificio fu vano. Sia fatta la volontà del Signore!
Morì ieri, nella festa di N. Signora delle Grazie, alle 17,
e l'ho potuto assistere sino agli estremi, offrendo al Signore,
per le mani della Madonna, il suo ultimo respiro.
La sua agonia fu lunga e penosissima per lui, sempre presente a sé stesso,
e fu penosissima anche per noi, impotenti a recargli sollievo,
eccetto quello veramente grande e inestimabile che viene dalla nostra santa Fede,
e dalla immortale speranza della felicità ineffabile
che presto aspetta quelli che quaggiù soffrono con Cristo,
e sanno confondere le loro lagrime col Sangue di Gesù Crocifisso.
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Durante la malattia, volle ricevere più volte la Santa Comunione,
ed ebbe a Compagno del suo viaggio il Corpo e il Sangue del Signore,
visitato di frequente dal Rev. Can. Perduca, suo confessore.
I nostri chierici e probandi assistettero attorno al suo letto
anche all'amministrazione dell'Olio Santo, che il malato ricevette con molta divozione, recitando le preghiere della liturgia insieme con gli astanti, commossi e piangenti.
Tutti fummo attorno a lui nei momenti più solenni,
e non la morte varrà a spezzare il vincolo di carità che ci unisce.
Egli soffrì sempre sereno, e non faceva che ripetere:
O Gesù, aiutatemi tanto! O Gesù, aiutatemi tanto!
E, quando non poté più parlare, levava ogni tanto gli occhi al cielo,
strappandoci lagrime di dolore e di amore in Gesù Cristo.
La sua morte fu tranquilla, come di chi, avendo finita la sua giornata,
si addormenta placidamente nel Signore,
e il nostro addio fu una grande promessa, che supplico Iddio a darmi grazia di mantenere,
sinché piacerà al Signore chiamare anche me e voi, o figli miei,
per darci la celeste mercede di quanto, con l'aiuto di Dio e per l'amore di Dio, avremo fatto
onde servire umilmente la Chiesa e la Patria.
E benché il nostro Viano non fosse senza difetti,
perché nessuno quaggiù è senza difetti,
pure, avendo egli seguito Gesù nel dolce martirio dei consigli evangelici:
avendo consacrata tutta al sua giovane vita alla Chiesa e a bene della gioventù:
avendo anche molto lavorato per l'età sua e poi molto e molto cristianamente sofferto,
in quest'ultima malattia, confido che la sua anima, accolta dalla divina misericordia
e trasfigurata dalla gloria di Gesù Cristo,
sarà salita, portata dagli Angeli, al trionfo del Paradiso!
E infatti Egli è là, sul suo letto di morte, con un sorriso angelico.
A questo dolore parve nella sua bontà che il Signore
avesse voluto venirmi preparando, certo per compassione alla mia debolezza.
Parecchi giorni prima avevo avuto un sogno singolare, che vi accenno,
ma non gli date altra fede che quella del vostro compatimento.
Pareva che la mia camera fosse tutta tappezzata di raso bianchissimo,
a fiorami di seta liliata, che splendevano quasi argento.
E la figura, prima vaga e indi più distinta, d'un giovane levita
mi si andava formando davanti, e cominciò poi a levarsi in alto e in veste di luce,
e andò salendo verso d'una parete, finché si compose come in quadro,
trasformandosi nella angelica figura di San Luigi Gonzaga.
E vidi poi anche una buca da lettere, riboccante di annunci funebri,
e, presso, un Sacerdote che mi diceva: sono tanti, che non ce ne stanno più!
E allora ho compreso che la morte si sarebbe nuovamente avvicinata alle nostre Case,
e ho narrato ciò che avevo visto ad alcuni,
e pensai che, malgrado ogni nostro sforzo e ogni cura,
il Signore mi chiedeva, in questi giorni, il sacrificio di questo figlio, che ora è morto.
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Tuttavia è un dolore grande!
Ma non siamo di quelli che seguono Gesù solo fino allo «spezzare del pane»,
andiamo avanti come il nostro fratello, sempre avanti fino a bere il calice della passione,
se vogliamo avere parte con Cristo.
E se il morire giovane può spaventare,
pensiamo che il vivere a lungo può essere più pericoloso.
E che, per quanto la vita possa parer lunga, «sempre breve è la nostra giornata,
e imminente la notte, quando l'uomo non può più operare».
Beati noi se sempre avremo il dì della morte dinanzi agli occhi,
e studieremo d'esser trovati in quell'ora senza peccato e di buona coscienza.
«Ma a ben morire, dice l'Imitazione di Cristo, darà grande fiducia
l'assoluto disprezzo del mondo, il fervido desiderio d'avanzarsi nelle virtù,
l'amore della disciplina, il travaglio della penitenza, la prontezza dell'obbedire,
l'annegazione di noi medesimi e l'aver sopportato qualunque dolore e avversità
per l'amore di Cristo benedetto».
Viano non aveva ancora 21 anno, era nato a San Pietro di Monterosso, in Valgrana,
il 9 Novembre 1899, da povera, ma onesta famiglia; a 10 anni gli era morta la madre.
Aveva fatto la 3ª Elem. al paese, e ci venne dai sui monti sopra Cuneo,
che era piccolo piccolo, si può dire ancora adolescente, come il piccolo Celestino,
il fratello suo minore, che egli ci condusse l'anno scorso,
e che è ora al nostro alunnato di Villa Moffa.
Fece la Iª Ginnasiale a Tortona dal Prof. Sac. Don Stefano Mazzarelli,
che mi è tanto dolce ricordare, e poi andò al probandato di Bra,
e apparve tale che di lui si poteva dire quello che S. Gregorio M. scrisse
di un santo fanciullo romano: «era un germoglio di belle speranze».
La vita dei figli della Divina Provvidenza appagò le più alte aspirazioni dell'anima
sua, ed educato al divino servizio, sotto la disciplina mite del nostro Don Cremaschi,
la sua vita da allora in poi si può compendiare in queste parole: pietà e lavoro:
la pietà e lo studio, alternati a lavoro manuale, come già usavano i benedettini,
diventarono il suo spirituale alimento di tutti i giorni.
Fece la IV Ginnasiale al Seminario di Bra e la V a quello di Cuneo.
Diede la licenza ginnasiale al Collegio Mellerio-Rosmini di Domodossola,
e poi, mentre per due anni attese a far scuola a Villa Moffa, si andò preparando, tutto da sé,
alla licenza liceale, che diede l'anno scorso a Novi, e fu una bella licenza,
ottenuta mentre pure frequentava la teologia al Seminario di Tortona,
e faceva qui da assistente e da insegnante ai chierici minori di lui.
Quest'anno poi continuava lo studio della Teologia al Seminario,
era iscritto alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Torino,
attendeva ai chierici e ai probandi, e insegnava alcune materie agli Assistenti del Collegio.
Il suo occhio rivelava l'anima candida, buona, semplice, onde tutti gli volevano bene.
Egli ritenne il lavoro non solo come un dovere di giustizia, ma anche di religione,
e lavorava con cuore di figlio, non da speculatore: sempre sereno, sempre umile,
sempre attivo, senza badare al cibo e alla veste, che sono da meno della persona
e dei bisogni dell'anima.
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Ultimamente la paterna e intelligente bontà del Vescovo
gli aveva conferita la tonsura e i quattro Ordini Minori,
e così volò al cielo aggregato alla sacra milizia della Chiesa.
Era giovane d'ingegno, benché non sempre apparisse quia pluribus intentus;
era, certo, una bella speranza della nostra nascente Congregazione,
che in Lui fa una vera perdita, sopra tutto perché religioso di buono spirito,
che ministrava come servo i suoi fratelli.
Sì, Viano era chierico di spirito, e di lui posso dirvi: è un giovane fratello caduto,
mentre lavorava con zelo sul campo dell'amore alla Congregazione e del sacrificio.
Egli non risparmiò la sua giovane vita, ma seppe farne un santo olocausto.
Non aveva ancora la licenza ginnasiale che già faceva scuola,
e, riformato per difetto ad una gamba, mentre gli altri nostri chierici combattevano
sotto le bandiere del Re, egli, sotto le bandiere di Dio, lavorò per se e lavorò per gli altri,
e la vita per lui non fu una festa che dello spirito, nel resto fu, quale dev'essere,
«milizia», combattimento, apostolato di bene e, per noi della Provvidenza,
qualche cosa anche più: «sacrificio senza limite alle anime e alla Chiesa».
Aveva presto compreso che nelle Case della nascente Congregazione
un vasto campo di lavoro è aperto anche ai chierici,
e che chierico da noi non vuol già dire essere studente e meno che meno signorino,
ma significa facchino, fare il facchino delle anime.
E per prepararsi degnamente ai santi voti religiosi, per disporsi alle sacre ordinazioni,
non basta a noi solo il pregare, solo lo studiare,
ma ancora bisogna facchinare più che da un'Ave Maria all'altra,
per il buon andamento degli Istituti, con amore di figli, pensando prima agli altri e poi a
noi, e mostrando così se c'è o no vocazione, se c'è quello spirito di Dio,
quel vero spirito di annegamento di noi e di martirio per la salvezza delle anime,
che debb'essere proprio dei figli della Divina Provvidenza.
La pace non è nell'inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio.
Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio
e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di
Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo.
E noi dobbiamo volere che anche il lavoro e la scienza si facciano virtù:
che la vita nostra si immoli e si faccia sacrificio:
che il sentimento di Dio, la fede in Dio, l'amore di Gesù Cristo, della sua Chiesa,
del suo Vicario in terra diventino per noi, come per la gioventù che ci è affidata,
una vera opera di redenzione sociale e di vita eterna.
Noi cadremo, ma mille anime sorgeranno e vivranno di Dio
e anche di quella luce onde noi le avremo illuminate e amate nel Signore.
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Non ci spaventino le prove, non le tribolazioni e, non i dolori:
alle anime e alle opere che Iddio ama, moltiplica tribolazioni e dolori.
Le opere del Signore tutte, o quasi, nascono tra il dolore e si fortificano nel dolore;
e i dolori più profondi fanno le gioie più alte e più sante.
Solo dobbiamo saper nascondere le nostre lagrime nel Cuore aperto di Gesù Crocifisso,
e cercare di cavarne emendazione sincera ed umile di vita, e utilità con virtù religiose;
e specialmente da questi segni, da queste morti, da queste chiamate di Dio
vediamo di comprendere bene e interiormente ciò che Iddio vuole da noi
e dalla nostra umile Congregazione.
Chi è tiepido, si infervori, chi ha bisogno di conversione, si converta:
un religioso convertito è mille volte di maggior gaudio in cielo
che novantanove giusti che si salvano, perché il bene ch'esce dal male, è bene più grande.
Se, dopo questa, altre e altre pene verranno, (come prego e come spero):
se altre morti seguiranno, e il cuore nostro, o fratelli, sanguinerà e n'andrà spezzato - invochiamo l'aiuto del Signore, che non mancherà, e poi ben venga, ben venga il Signore
a piantare e dentro e fuori e sopra di noi la sua Croce adorabile,
pegno divino del suo amore:
ben venga Gesù Cristo a regnare sovrano sui frantumi della nostra umanità,
della nostra miseria, e ogni dolore provochi un'offerta più generosa,
una risoluzione più santa, una benedizione più grande.
Con questo spirito mi pare abbia saputo soffrire il nostro Viano,
dopo aver operato nella Congregazione con fede e fedeltà
e con questo spirito offerse a Dio sé stesso, la sua vita e la sua morte,
per la nostra Congregazione.
E allora io l'ho voluto benedire con tutti i sentimenti di un padre in Cristo,
e l'ho benedetto di una benedizione senza fine e con un amore che non è terreno,
anche a nome di tutti i nostri Sacerdoti,
e a Lui ho raccomandato me e voi tutti per quando fosse in Paradiso.
Di là Egli pregherà per noi: invece di aiutarci in terra, ci aiuterà in Cielo.
Tuttavia, com'è nostro dovere, noi dobbiamo suffragarne largamente l'anima
per tutto quello che avesse ancora da espiare,
e il Signore farà con noi una misericordia grande,
quanto grande sarà la nostra misericordia coi morti.
Ripeto, egli ebbe le sue lotte e i suoi difetti,
né io voglio attenuarne quello che in essi ci poté essere di colpa,
dirò invece che dobbiamo pregare Iddio che gli perdoni, benché sia sempre stato un angelo,
e difetti tali sia ben raro non rinvenirne anche in coloro che sono nella santità consumati.
Che se la perfezione si misura dalla carità, egli per la carità ha dato la vita.
Del resto riflettiamo che sine fumo, flamma non ascendit.
Preghiamo tuttavia molto per l'anima di Lui,
affinché il Signore accetti nella sua infinita misericordia il sacrificio della sua vita
con tutti i dolori che lo precedettero e lo compirono, come lavacro di purificazione,
e applichi a lui i meriti della sua Passione e della sua Morte,
e non disdegni le umili preci che innalzeremo sempre pel nostro fratello.
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La Chiesa chiama dies natalis la morte dei giusti;
che dunque ieri, festa di Nostra Signora delle Grazie,
sia stato il tuo natalizio in cielo, o caro mio Chierico Viano!
Sia venuta ad incontrarti la Madonna nostra,
che tu hai amato più che un bambino la madre sua,
e sotto il cui manto celeste hai cominciata ed hai finita vittoriosamente la tua battaglia. Benedici con noi al Signore! Egli ti aveva chiamato con amore dolcissimo,
ed ora ti ha tolto alla terra, forse perché la vanità o la malizia
non avessero ad annebbiare il tuo spirito.
Sei andato a vita eterna giovane tanto, ma le tue mani già portavano i manipoli della carità,
e di te si può dire: consummatus in brevi, explevit tempora multa.
E sei partito benedicendo a quelli che ti avevano condotto per la diritta via del Signore,
e richiamando con monito grave e solenne un probando,
venuto a salutarti per ritornare nel mondo, rattenendolo sull'orlo dell'abisso.
Ti eri offerto a conforto e a santificazione delle anime,
vivendo di povertà, di umiltà, di obbedienza,
e la tua ragione, illuminata dalla fede, fu portata ad amare Cristo, la Chiesa
e i più piccoli e i più poveri figli di Dio,
e determinò la tua volontà ad aiutare subito con intenso e sincero amore
i tuoi fratelli dello spirito e la inesperta gioventù.
Tu avevi scelto di vivere e morire per Cristo: ebbene, dilata il cuore:
l'amore di Gesù, che ti ha ferito e ha dato fiamma al tuo lavoro,
riempirà il cuore e l'anima tua e tutta la tua vita per i secoli eterni!
Iddio sarà tuo, tutto tuo: la battaglia è vinta, entra alla plenitudine della vita eterna!
Tante volte, o caro mio figliuolo, hai protestato il tuo amore alla Chiesa di Roma,
la «Madre dei Santi», la Madre della nostra Fede e delle nostre anime,
e avevi giurato di esserle tutto e sempre suo, e anelavi crescere a sostenere e la Chiesa
e il Papa colle parole, colle opere e anche col martirio.
Ebbene, o figliuol mio, di tutto quel tuo amore, di tutta quella tua magnanimità
ti paghi oggi Gesù, Signor Nostro, «che nulla più ama, dice Sant'Anselmo,
che la libertà della sua Chiesa».
Dopo la morte di Don Gandini, parecchi ex combattenti sono entrati
ad accrescere le nostre file, e mi conforta la speranza che anche tu, caro Viano,
sarai quasi «un seme che si macera sotterra per rinascere moltiplicato».
Che i venturi, che i probandi e i Chierici tuoi alunni e il piccolo tuo fratello,
siano eredi del tuo spirito, delle tue virtù e del tuo attaccamento alla Chiesa e al Papa,
e vedano essi quei giorni di pace e di allegrezza alla Chiesa,
che tu affrettavi coi voti più ardenti.
V006P150h
Tu molto hai amato la Congregazione e, anche negli ultimi giorni,
chiedendomi di essa, mi dicevi che ti era di grande consolazione ogni sua buona notizia.
Ebbene, figliuol mio, molto hai amato la Congregazione e molto sarai pianto da essa,
ma il pianto che facciamo sopra di te e la mestizia che lo accompagna
riescono soavi per la grazia che il Signore ci dà, e perché l'uno e l'altra sono abbelliti
e confortati dalla speranza del Paradiso. Ah Paradiso! Paradiso!
«Brutta terra e bel Paradiso» diceva il Cottolengo, brutta terra e bel Paradiso!
Va, va dunque contento, o figliuol mio, mentre sulla terra corre un soffio che sa di bufera.
Va a raccogliere ciò che hai seminato!
Va avanti con gli altri nostri, che già sono in Paradiso.
Hodie sit in pace locus tuus, et habitatio tua in sancta Sion.
E prega, e pregate insieme per noi, e preparate anche a noi un seggio,
ma bello, ma splendido, ma alto, vicino a Dio, ai piedi della Madonna!
Noi non vogliamo stare che attendendo la nostra chiamata, vigilanti, operosi
«con i fianchi succinti», e, in mano, «le lampade ardenti».
Dormi dunque in pace, dormi con Cristo, che ti benedico ancora,
che ti benedirò sempre, o figlio mio!
Requiescat in pace!
Il vostro in Gesù Cristo Aff.mo
Sac. Luigi Orione della Divina Provvidenza