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[Registrada - Italia]
[A Sua Eccellenza Rev.ma
Mg.r Felice Cribellati
Vescovo di Nicotra e Tropea
in (Calabria) Tropea]
+ Anime e Anime !
Mar de Hespanha (Minas)
Istituto Barâo de S. Geraldo
il XXVIII / IX - [MCM]XXI
Carissimo in Gesù Cristo,
Ho ricevuto con molto piacere le tue lettere (l’ultima fu quella che mi hai scritto
dal treno, diretto in Calabria) e anche le cartoline e da S. Sebastiano Curone e da Nucetto,
e te ne sono gratissimo, e ringrazio Iddio e la SS. Vergine di ogni buona notizia
tua e degli altri, che mi hai voluto favorire.
Le tue lettere e cartoline sono, finora, le uniche che io abbia ricevuto dai nostri,
e, tolto ciò che seppi da una lettera di don Adaglio a don Casa, tutte le notizie nostre
che ho, le ho da te. Sono quasi due mesi che sono partito dall’Italia,
e 40 giorni che sono in Brasile, - ed ho dovuto pensare e riflettere più di una volta,
che conviene che ci facciamo del bene direttamente da noi, colla Divina grazia,
cioè finché siamo su questa terra e abbiamo luce di poter operare, poiché, una volta morti,
ben pochi penseranno a suffragare l’anima nostra, se, già da vivi,
è così facile essere dimenticati!
Tutti hanno molto da fare nel mondo, e chi è partito, chi è morto, è morto!
La pastorale, di cui mi parli, non l’ho ancora avuta, ma verrà con le notizie
del tuo ingresso, che spero sarà andato bene, a gloria di Dio e a conforto delle anime. -
Noi qui; il dì 8 settembre, abbiamo sentita come la gioja spirituale del tuo ricevimento
e del mistico sposalizio tuo con la tua chiesa e con le anime dei tuoi figliuoli
e di tutto codesto popolo.
Abbiamo pregato molto per te sempre, ma specialmente in quei giorni.
La benedizione te l’ho mandata di qui dal mio angelo custode,
e ti ho messo ancora una volta nelle mani della SS. Vergine, te e il tuo clero
e il tuo popolo.
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Ho pure umilmente raccomandato a N. Signore don Contardi,
a cui scriverò in particolare, appena lo possa. In questa mia non potrò dilungarmi
come vorrei, perché so che parte da Rio de Janeiro un piroscafo-postale diretto in Italia,
e vorrei che questa lo potesse ancora prendere.
Vi assicuro che stiamo tutti bene, eccetto i soliti disturbi al cuore,
ma non continuati; qualche notte mi sono raccomandato l’anima da me,
anche per non mettere in pena gli altri, - mi pareva di poter morire tranquillo,
confidando nella misericordia del Signore e nella carità della Madonna, nostra Madre.
Come ti ho scritto già brevemente, per cartolina, il viaggio fu buonissimo;
io potei celebrare sempre, e don Mario quasi sempre, eccettuato quando si attraversò
il Golfo del Lione; - non così don Camillo, che sofferse moltissimo, e stette sette giorni,
si può dire, senza prendere cibo alcuno.
Ad attenderci a Rio vi erano don De Paoli e quel mio cugino Eduino Orione,
che fu in collegio, e fummo accolti molto cordialmente. A Rio mi fermai una settimana,
e venne a vederci anche don Dondero, a cui avevo telegrafato dall’alto mare.
Egli non sta con noi, ma in una parrocchia distante di qui tre ore a cavallo,
e la fà da parroco dal mese di maggio, - e qui viene qualche volta, -
ed è trattato con ogni carità in Gesù Cristo.
Che intenda fare non si capisce ancora,
ne io sono venuto per spegnere il lucignolo o rompere la canna fessa, -
ma per tutti ajutare e confortare ad amare e servire a N. Signore con ogni umiltà
e carità in X.sto.
A questo scopo li ho tutti riuniti qui ad un corso di Esercizî
che abbiamo fatto insieme, anche con don Dondero, -
ed
ora prego e cerco di ajutare le anime
nostre loro con
l’esempio
e con la carità di padre, - e lascio che la Madonna faccia il resto.
Sono qui a fare il missionario ai missionarî, ma sempre più vedo che è Dio che fa.
A Rio de Janeiro ebbi grandi accoglienze dal Cardinale Arcivescovo,
dall’Arcivescovo suo Ausiliare con diritto di successione, Mg.r Sebastiano Leme,
e dal Nunzio Apostolico che è il nipote del Cardinal Gasparri, e un Gasparri anche lui, -
questi mi volle pure a pranzo, mi trattò con molta e sincera benevolenza,
e mi scrisse anche dopo che sono qui, e ci favorisce assai.
Anche da molti italiani ebbi cortesie e accoglienze senza fine,
fin troppo all’americana. - Non nobis, Domine, non nobis!
In breve: a Rio col 15 ottobre assumiamo -
col favore di tutte le Autorità ecclesiastiche e governative - un Istituto di 260 giovani,
orfani tutti o derelitti tolti dalla strada se non già dal vizio -
un Istituto che si chiama appunto: Istituto di Preservazione.
È un bel locale, vicino alla stazione, e spero bene, col divino ajuto.
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I giovani ora sono tenuti peggio che non fossero già quelli degli Istituti di Venezia,
sono in vere mani mercenarie, senza cappella, e liberi di uscire, dicono,
anche una notte alla settimana, onde potete figurarvi che licenza e che morale vi è, -
tanto che i medici ne hanno dichiarati parecchi affetti da brutti mali, - mi dicono, -
e non c’è nulla a meravigliarsene.
Essi vanno fino ai 18 anni.
Si teme che, entrando noi, succeda una levata di scudi, da parte dei giovani
e da parte del personale subalterno; e noi dovremo andare a principio, con grande tatto.
Don De Paoli si andrà a stabilire già nell’Istituto col 5 di ottobre,
per prendere cognizione del suo funzionamento, - poi vi manderò don Mario
e il fratello di don Dondero, il ch.co Iosè Dondero, ottimo elemento,
che sa bene la lingua ed ha 27 anni.
Ho dovuto chiamare a don Sterpi l’ajuto di quattro altri, d’urgenza.
Non ho denaro da mandargli per i viaggi, e gli ho scritto di mandarli in 3ª classe,
e vestiti da borghesi perché viaggiare in 3ª vestiti da preti, non conviene assolutamente.
Qui ho trovato più che L. 35 mila di debiti, e don De Paoli,
venutoci incontro a Rio, non aveva neanche il denaro per fare il suo ritorno in ferrovia,
mentre poi non si tratta che di neanche 230 chilometri da Rio a qui.
Meno male che avevamo noi un po’ di denaro, e che c’era quel mio cugino!
Ho già, fin dai primi giorni, chiesto L. 2000, almeno, a don Sterpi,
ma vedo che non scrive nulla, e tempo o che non ne abbia, o che non stia bene,
o non mi scriva per non darmi qualche dispiacere.
Mi sono limitato a chiedergli Gonzales, quello Stanislao, che fu in America ed è
bavarese di origine, il ch.co Arlotti, e poi un altro, che sia di sicura condotta e di pietà,
e che possa fare scuola nel ginnasio inferiore e farmi da assistente
ad un nucleo di probandi, che vado ora formando.
L’Istituto Barâo di S. Geraldo, il così detto Istituto, l’ho trovato così composto:
don De Paoli, don Ballino, don Casa, il ch.co Dondero, e un servitorello di 13 anni:
ecco tutto l’Istituto Barrâo di S. Geraldo!
Mi si scriveva, fino all’ingiuria, che don Orione «non poteva dare disposizioni
dall’Italia perché di là non poteva capire nulla»; ma pur troppo, avevo capito fin troppo, -
era meglio, ben meglio che mi fossi sbagliato!
Tuttavia non mi pento di essere stato così longanime, e voglio, Deo adiuvante -
continuare colla più grande pazienza, prudenza e carità in Gesù Cristo.
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Ma i fatti sono fatti, non opinioni, e i fatti sono questi: due venuti qui
con don Dondero, e tutti due via, per disperazione; uno era un bravo nostro giovane,
già provato a Cassano e a Bra, ritornò qui ancora dopo qualche anno,
e fu obbligato ad andarsene. - Dopo che i nostri vennero qui, 1913,
ci furono a Mar de Hespanha tre parroci, - uno anzi è quello che ci fece venire qui.
Tutti e tre dovettero andarsene, e due dichiarano a voce e per le stampe,
(compreso quello che ci chiamò qui). Questi che ci chiamò gli diete anche un regalo
quando si venne qui più di 10 conti, che equivarrebbero ora a un 30 mila lire delle nostre.
che erano costretti a partire a causa di don Dondero.
Uno
altro dei due, il
penultimo che se ne andò, quando era alla stazione che partiva,
avendo visto che don Dondero aveva il coraggio di avvicinarsi per salutarlo,
davanti al pubblico, che udì e capì, gli disse queste parole di Cristo a Giuda: «Amice,
ad quid venisti?» E questo me lo confermò lo stesso don Dondero.
Qui vennero pure due suoi fratelli per farsi religiosi; - il migliore di essi,
(a detta di tutti), che aveva pure portato una somma di denaro, dopo un anno,
ha dovuto partire disperato, facendo chiedere a don Dondero il denaro del viaggio almeno,
o che piuttosto fuggiva, - «perché non intendeva di essere complice delle stranezze
e sciupìo di roba, e della vita tutta meccanica che si faceva qui». Niente vita comune,
niente meditazione o preghiere insieme.
Quello che rimase, è qui da 7 anni, e sono 6 anni che soffre
e ha saputo resistere a mantenere la vocazione ma sempre in urto col fratello,
ed è qui per una vera grazia del Signore.
Vi era qui un gruppo di chierici e di novizî, e tutti se ne sono dovuti andare, -
chi perdé la vocazione, e chi andò in altro Istituto,
dove
sono uno che era qui è
molto stimato (dai Maristi ad es.
ed io ho potuto avere relazione dallo stesso p. Provinciale dei Maristi),
o sono andati in seminario, dove fanno bene. -
Dopo sei mesi che egli era qui, nel 1914, gli ho mandato don De Paoli, -
avendomi chiesto dell’ajuto; ma don De Paoli, siccome faceva qualche osservazione,
fù mandato, prima per due anni in un Collegio-Seminario, e poi a Queluz,
a fare da vice-parroco e cappellano di monache, malgrado le mie ripetute opposizioni,
e vi fu tenuto fino all’anno scorso. È però vero che anche don De Paoli mi confessò
che egli non poteva restare a resistere qui in casa,
perché approvare quella vita non si poteva, e tacere neanche, quindi, piuttosto
che rompere la carità fraterna e dare scandalo al pubblico trovò miglior partito
lavorare fuori, e mandava qui tutto il denaro che in circa 6 anni ha guadagnato; anzi
mi disse che un giorno era deciso di andarsi a fare Salesiano, piuttosto che restare qui,
ove era un inferno. E questo stesso me lo confermò don Dondero, -
che cioè don De Paoli voleva andarsene anche lui.
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Da più di due anni, e dopo averne parlato e deciso con voi altri del consiglio,
l’ultimo anno che li facemmo a Bra, gli ho scritto qui che, anche a nome del Consiglio,
o lui tenesse l’Istituto e lasciasse che don De Paoli ritornasse facesse da parroco
(l’Arcivescovo aveva finito con offrire la parrocchia alla Congregazione, poiché
l’ultimo venuto per parroco non si fermò che qualche mese poiché capì l’aria che tirava
e se ne andò da sé - gli altri due succedutesi prima sono quelli che dovettero andarsene) -
o che lui fosse parroco e don De Paoli prendesse l’Istituto.
Lui scegliesse quello che più aggradiva, ma o l’una o l’altra cosa.
Non mi si è neanche risposto, non mi si scrisse più, benché lasciassi a lui la facoltà
di prendere la parte che voleva, - e si fece nominare qui dal Vescovo parroco
e continuò, fino a maggio, (quando se ne andò) a tenere anche l’Istituto, e poi se ne andò,
senza nulla scrivermi, e senza nulla dire qui in Casa. Io lo facevo anche perché
Don
De Paoli lo vedeva di male mal’occhio
diviso, cioè lontano, e sapendo
che
non sarebbero andati d’accordo, dividono io
le mansioni, per unirli almeno qui,
nello
stesso posto. Quando diedi questa disposizione e
chi egli disse qui che voi altri
del
consiglio volete volevate
dare ordini a fare i capitani senza conoscere la posizione.
Purtroppo la posizione ora è nota, ed è una rovina! Ma la SS. Vergine mi ajuterà,
e le vostre preghiere!
Mandai ordine di prendere degli orfani (dopo un accordo intervenuto col sindaco
che si accontentava che si prendesse orfani, almeno 5 (pensa che ci hanno dato
3100 pertiche di terra) invece di tenerci obbligati a tenere subito un Collegio,
come sono i patti fatti da lui ma no, neanche gli orfani!
Ora li ho già accettati io e apriremo una I e 2da ginn.le, col prossimo anno scolast.,
che qui comincia a febbrajo - poiché in Città de Mar de Hespanha, visto che qui,
neanche dopo la venuta di don Casa e il ritorno da me imposto in comunità
di
don De Paoli, non si aperse apriva
neanche la I ginn.le, la fecero loro; - e così ora,
d’accordo col municipio, noi apriremo non più solo la I, ma una I e una 2da,
per continuare dove esse hanno cominciato, dando la 2da a quelli che già presso di essi
frequentano la I, ora. Nisi Dominus aedificaverit etc.
Ma Iddio fu messo fuori di questo Istituto con un programma posivitista e ateo,
dove non si accenna affatto affatto a educazione cristiana; e tutta l’educazione morale
del giovane solo si basa sull’uomo, e così Iddio si è ritirato, e così fu una completa rovina,
un vero fallimento!
Egli
A aveva cacciato tutti,
e restava ancora lui, e da sé cacciò sé stesso,
andandosene,
pieno di sé, sicuro di non avere mai sbagliato. e
t Tanto che,
ancora oggi mi ha detto, e mi ha ripetutamente scritto, che tutti hanno sbagliato,
ma che lui non ha sbagliato mai!
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Per compatirlo bisogna pensare che ci sia qualche rotella che non giri bene.
Infatti
non guarda mai in faccia. g
Giunse a Rio Janeiro alle 10 di sera,
e non mi poté vedere alla sera perché io ero ospite dei missionarî della Saletta,
e la mattina venne là alle 5 a salutarmi dicendomi che partiva alle 6 di quel mattino.
Io lo volli allora accompagnare alla stazione, ma sbagliò strada e perdette il treno.
lo
Lo interrogai se avesse dei morti e dei moribondi, o
degli sposi in parrocchia,
e mi disse di no, ma che aveva una Messa da dire, ed era durante la settimana.
Aveva una gran premura di fuggirmi. Ora gli ho detto: vedi che è più di un mese
che sono qui fisso dì e notte ad osservare come vanno le cose etc. - Mi rispose:
lei, in un mese, è appena entrato in Casa; - pensate che poi qui tutto si riduce a tre preti
(tolti i due che vennero con me) e a quel ragazzetto. Non conto il gruppetto di orfani
che
li ho ricevuto io,
poiché essi fanno vita a parte. Mi ha pure scritto che avrò
bisogno
di molti mesi, se vorrò capire qualche cosa. Comprendo già che, quando,
dopo tre o quattro mesi, dovrò partire, dirà che non ho avuto tempo a capire nulla.
Siccome mi si scriveva in Italia che non potevo comprendere nulla di lontano,
e che i miei ordini, se fossero stati osservati, «sarebbero stati un disastro»,
ora gli ho detto che, adesso che mi ha fatto venire in America,
mi dia tutti gli elementi morali e materiali perché io possa conoscere e capire
finalmente la posizione. È un mese jeri, il 28 agosto, che l’ho pregato, ma fin’ora
non mi diede nessun conto, e nulla di nulla.
Mi ha scritto che «questa Casa ha un incantesimo da 7 anni» gli ho risposto
che favorisse spiegarsi, che incantesimo è - e mi ha scritto «che non c’è bisogno,
se mi fermerò qui quanto devo, vedrò»
Si direbbe che è un volersi burlare, poiché ne sono certo non intendevo almeno
di
veniva venire al
Brasile per prendermi il lusso di fare una passeggiata.
Qui c’è ferri da ogni parte, e mucchi di macchine rotte da tutti i canti -
Egli per perfezionarle e per fare nuove invenzioni impiegò 7 anni
senza
dare ascolto a nessuno. n Non
c’è un aratro buono, perché tutto era mal fatto,
e bisognava riformare tutto. - E nessuno aveva spirito religioso fuorché lui,
e questo lo dice ancora, dopo che qui non si faceva più una pratica religiosa,
non ha creato un religioso, non ha lasciato un solo probando,
non ha lasciato una riga di contabilità, e dopo avere devastata pazzamente
e abbruciata la possessione e spesi, mi si dice, circa 40 conti,
che oggi equivalgono a circa 120 mila lire delle nostre.
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Qui non si è fabbricato una stanza, si distrusse in parte ciò che trovò.
Ha distrutto dei boschi, abbruciandoli, di valore inestimabile,
anche per la qualità del legno, e andando contro il parere e le preghiere di tutti.
Con
progetti grandiosi e da megalomane, voleva
volle cominciare grandiosamente
dove avrebbe dovuto finire, - e avvertito da amici e benefattori di qui e da noi dall’Italia,
pieno di una caparbietà spaventosa, ritenendosi solo capace di capire e che gli altri
fossero tutti o nemici od ostili a lui o imbecilli, - volle continuare a fare esperimenti
e fallimenti su fallimenti, senza nulla concludere come Istituto materiale e distruggendo
il vincolo di carità e lo spirito della Casa e la vita di comunità e di fraternità religiosa.
E il guajo è che lui solo si crede religioso, e noi siamo tutti fuori di strada e già degenerati
Quanta pena fa vedere un buon prete, - quanto a vita sacerdotale
e a buoni costumi, puro come un angelo, ma caparbio e superbo come il diavolo!
La guardia muore sul posto di consegna, ma non cede!
Egli sapeva - per averlo io scritto e riscritto - che io dovevo giungere
e che non era se non questione di qualche mese, perché era pure mio dovere
assistere alla tua consacrazione.
Sapeva che io soffrivo da anni per lui, e pur lo avevo sostenuto e tenuto qui
quale superiore, benché stesse anche fino (e più volte) a due o tre anni senza scrivermi;
ma lui superiore, a maggio, cioè mentre sa che devo giungere lascia il suo posto,
senza nulla dirmi, e se ne va in una parrocchia a fare vita a sé,
senza avere neanche la Casa canonica, ma mettendosi in pensione presso una famiglia,
dove vi è un negozio e si mangia insieme agli altri, perché qui i negozi sono come bazar,
si vende di tutto, e si mangia e si beve!
A che punto trascina l’ostinazione e la cecità. Si screditano i superiori d’Italia,
si ride della Congregazione e si alienano gli altri a rimanere, si fa lo scandalizzato
e il puritano su qualche mancamento dei confratelli - difetti non colpe disonorevoli -
non si vuole ubbidire, si abbruciano le lettere pure piene di carità,
ma sincere che dall’Italia venivangli scritte, per richiamarlo a docilità e a prudenza,
e poi si va a finire così!
Già le lettere piene di velenosità e di mal animo che giungevano in Italia da lui
mi facevano ben capire che spirito riottoso avrei trovato.
E lo capî pochi giorni dopo la sua partenza per l’America, quando don Sterpi
mi fece leggere una certa circolare. La ricordo unicamente ad ammaestramento tuo,
ora che sei Vescovo. Quella circolaretta, fatta uscire ad insaputa prima della sua partenza,
e che don Sterpi conobbe, non so come, solo qualche ora avanti che il piroscafo
movesse dal porto, ma che saviamente mi volle tenere celata per no darmi un dispiacere
in quei momenti, mi fece allora, fin da allora esclamare: Questa è una crepa,
ma una piccola crepa che non so ove potrà andare a finire! E pur troppo, fu così!
Dio mio, quanto c’è da pregare!
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Ma questo certo Iddio vuole o permette per mio bene e per bene
della nostra cara Congregazione, e Lo dobbiamo e ringraziare e benedire,
e cercare di trarne quei beni che egli vuole da noi per la vita eterna.
Io vi scrivo tutto questo perché voi, che la Divina Provvidenza
ha posti alla direzione dell’Istituto, conosciate la dolorosa realtà delle cose,
ma ad un tempo vi assicuro che con lui ho sempre trattato più che con carità di Madre,
benché abbia poca fiducia che rinsavisca e prepari consolazioni all’Opera
della Divina Provvidenza, né che voglia vivere da religioso dipendente,
docile, umile, o, almeno, subordinato.
È troppo caparbio, troppo pieno di sè, troppo cieco di sè. C’è da pregare molto.
Se anche ritorna non potrò più metterlo alla testa di altri, perché, dopo un mese,
saremmo da capo; gli cercherò un posto adatto, non dipendente no da altri,
ma da me direttamente, per togliere motivi di dissensi e ad evitargli umiliazioni.
Ogni più grande carità uso e sarà usata con lui,
e Mi piange l’anima di vederlo così, - anche perché, se si ammala, là dove è,
chi lo assiste?
Anche gli altri qui gli usano ogni riguardo;
ma egli, che voleva fabbricare il noviziato delle suore della Michel sul nostro terreno,
a 100 metri da noi, ora si scandalizza perché visto che qui non c’era nessuno
a fare un po’ di cucina, ci facciamo far da mangiare da certe suore,
e va là il ragazzo a pranzo e a cena, e porta qui l’involto del cibo,
e tanto si scandalizzò da rifiutarsi di mangiare quel cibo.
Ora però mangia, e Deo gratias!
E il nostro vitto è molto frugale; pensa che qui, dopo 40 giorni che siamo qui,
nessuno ha più bevuto un bicchiere di vino, ma sempre acqua.
Per grazia di Dio qui ora si vive in pace e in grande letizia di spirito,
e tutto è regolato a vera vita di buoni religiosi. Levata, orazioni,
meditazione in comune; visita in comune; mattutino e lodi, sempre insieme,
e anche le ore quando si è in 2 sacerdoti in Casa;
al mattino alle 9 tutti devono aver detto già anche Compieta - Poi si lavora -
A tavola quasi sempre lettura. Preghiere e rosario alla sera insieme,
e, quando ci siamo tutti, una conferenza al giorno sulle regole o sulle nostre abitudini -
Prima del riposo sempre 5 minuti di esortazione.
Egli ha fatto qui, fin da principio, dei patti col municipio, patti onerosi per noi,
ma io farò onore alla sua parola e farò, col divino ajuto, funzionare l’Istituto promesso,
e confido nel Signore!
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Qui avremo per quest’anno una prima e 2da ginn.le e un orfanato,
più un gruppo di probandi. Le terre (3100 pertiche) parte però sono pascoli e boschi,
altro è canna da zucchero caffè, riso, meliga - furono ora date via a mezzadria
o al 3°, e qualche cosa ricaveremo.
La parrocchia rende 6 conti all’anno in media, cioè circa 18 mila lire
di nostra moneta italiana. Ora devo fabbricare un salone cioè una camerata
per accogliere almeno 20 convittori, e ammetterò gli esterni della città.
Questo camerone mi verrà 6 conti. Se, dopo 5 anni, l’Istituto non potesse reggersi,
non avremo più l’obbligo di tenerlo; ma penso che riuscirà a reggersi,
se sarà curato, e se daremo buoni esempi.
Qui metterò parroco (don De Paoli che ora faceva da parroco va a dirigere
l’Istituto di Rio) e superiore della Casa don Mario, - è il più serio e il più fidato
e formato. Con le Autorità sono in buoni rapporti e così col popolo;
bisognerà che mi fermi un po’ per sistemare quelli che don Sterpi mi manderà,
e vedere avviati gli Istituti di qui e di Rio, anche senza attendere
la vera apertura dell’anno scolastico, che qui è in febbrajo,
poiché ora noi entriamo in estate qui e il 3 nov.bre cominciano le vacanze estive.
È dal 19 sett.bre che predico in portoghese, e subito quel giorno feci tre Vangeli
e il catechismo a circa 100 fanciulli. Ho rivolto dal pulpito il mio saluto ufficiale
alle Autorità e alla cittadinanza, e vennero tutti a farmi visita, il seputato, il sindaco,
i consiglieri e il gruppo degli insegnanti - Il sindaco e il procuratore del Re
(qui vi è anche il tribunale) e altri distinti signori vennero anche a ricevermi alla stazione
all’arrivo.
Mar de Hespanha è una piccola Città poco più di 2000 anime nel centro,
è una cittadina bellissima, con una chiesa parrocchiale, che domina tutte le Case,
nella posizione centrale elevata; bellissima pure è la chiesa e può stare
in
qualunque grande città; e, tolto il Duomo, Tortona, non ha chiese sì
grande grandi
né
sì bella belle, ha tre
altari magnifici, venuti dalla Germania.
È m
Mar de Hespagna
Hespanha come S. Sebastiano Curone, ma più in
grande.
La popolazione è divisa in tanti piccoli paesi,
e la parrocchia farà un 10 o 12 mila abitanti - Il comune poi di Mar de Hespanha
è più vasto e abbraccia più parrocchie, e farà forse un 35 o 40 mila abitanti.
Le frazioni della nostra parrocchia distano dal centro anche 12 o 16 chilometri,
e noi si va a cavallo, si bina la domenica, ed ogni frazione ha la sua chiesuola,
e teniamo sette od otto cavalli, che servono per portare i Sacramenti e andare
alle frazioni.
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Qui il paese è invaso dai protestanti, e vi sono molti paesi senza prete,
per la scarsità del clero. La Madonna della Mercede è la patrona della parrocchia;
e il 24 ho invitato qui Dondero a cantare Messa, ma si scusò; l’ho pure pregato
di accompagnarmi a Marianna dall’Arcivescovo, ma non volle venire.
Gli ho offerto di andare superiore del nuovo Istituto di Rio de Janeiro, ma non accettò.
Tuttavia prima si stancherà lui di dirmi di no, che io di trattarlo con ogni carità, -
e più lui si fa figlio dell’aquila e più io mi farò servus servorum Dei et servus ejus!
Dio mi ajuti e la Sua SS. Madre!
Egli è così cieco che non si può quasi più parlare.
Alle 10½ del dì 8 settembre tenni una conferenza davanti al SS. sulla carità fraterna
sempre sul Vangelo e sulle lettere di S. Paolo e l’esempio dei santi;
tutti piangevamo meno lui, che mi dissero che con la testa continuava a dondolare
e a fare di no. Infatti andato a casa quel giorno, mi scrisse una lunga lettera,
fraintendendo tutto quello che avevo detto: Si attacca a tutto,
anche trae a peggior senso le parole di S. Paolo e dello stesso Vangelo. -
Non c’è che da pregare, da compatirlo, da coprirlo di un grande, di un immenso manto
di carità; ma certo non c’è più da fidarsene né da porlo sul candelabro.
E finirò con un sursum corda! -
L’altro jeri abbiamo qui fatta la funzione di addio per i tre che vanno a Rio
per la nuova Casa. don De Paoli fece i voti perpetui in piena forma canonica, -
poi si è cantato il Te Deum, l’Ecce quam bonum, tre volte,
gli ho dato il calice per la nuova Casa, simbolo di unione nel Corpo
e nel Sangue di Cristo e calice di benedizione e di fratellanza e prosperità nel Signore,
e poi ho dato loro la benedizione Eucaristica. E fu un grande e commovente momento!
Pregate ora per noi!
Io ti scriverò prestissimo un’altra lettera per te, e una per don Contardi.
Questa mia la passi - per raccomandata - a don Sterpi affinché resti
nell’archivio della Congregazione.
Se hai occasione di vedere presto Mg.r Albera, glie la leggi,
quale a membro del capitolo, se no, quando lo vedrai, ti incarico di informarlo.
Qui abbiamo proposte di aprire altre Case, e Vescovi che ci offrono i loro Seminarî
ma siamo pochi, e, per ora non possiamo.
V028P123
Forse mi spingerò fino all’Argentina, che è a tre giorni di mare da qui,
e, se vado, è segno che vado a piantare colà una tenda della Divina Provvidenza,
poi la Madonna farà il resto.
Domattina vado a Queluz e poi a Marianna dall’Arcivescovo,
e indi qui pel battesimo di un benefattore italiano, e poi andrò a S. Paolo;
ma tu scrivi sempre qui e dammi notizie di Reggio, di Messina, di Cassano,
di tutto che puoi e tue notizie. Non ti sciupare.
Benedico don Contardi e tu benedici a me e a tutti noi.
Tutti ti baciano l’anello con me.
Ti conforto molto in Gesù Cristo e nella Madonna, caro figlio mio!
Tuo aff.mo come padre
Sac. Orione Luigi d. D. P.
¨