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Istituto S Filippo
Roma
Via Alba, N. 5
Roma, li 11 luglio 1919
+ Anime e Anime !
Copia esatta
Caro Dondero,
Ho ricevuto a Tortona, prima di partire, la tua lettera ultima, cioè quella con la quale
mi dici che intendi ritirarti dalla Congregazione. Non ti ho risposto subito perché ne ho
sentito troppo pena.
Ma vedo che devo pure risponderti, anche mi riesca molto doloroso.
Certo, caro Dondero mio, che, piuttosto che non essere vero e buon religioso di umile
spirito, meglio è non stare in Congregazione. Ed io, nel silenzio dell’anima, questo sono
sempre andato tremando e presentendo di te, vedendo il tuo continuato spirito poco, poco
umile e concorde. E tu avrai, in questo frattempo, ricevuto due risposte mie a due tue
lettere, dove con strazio dell’anima, ma paternamente e chiaramente ti esprimevo il mio
dispiacere perché non so oramai più da quanto tempo non sento più nelle tue lettere la voce
del figlio, ma solo il fare secco e risentito, e talora anche poco educato che non è da vero
né da umile religioso.
Nessun secolare mi avrebbe mai scritte certe lettere, che Iddio ha permesso, certo a
mio bene, che io ricevessi da te, mio religioso e mio figliuolo in Gesù Cristo crocifisso.
Però come già (I)... farai una morte agitata, e facilmente correrai pericolo di perderti.
Tu, caro Dondero, hai bisogno di pregare, e di pregare molto, e di lasciarti condurre
dai Superiori, e non di fare di tua testa. Il parlarti chiaro non deve offenderti, o figlio mio,
ma deve dirti tutto l’amore in Gesù Cristo.
Vedi, caro Dondero, tu finora non hai mai voluto essere sottomesso e disciplinato
come un buon religioso avrebbe dovuto: hai visto solo te stesso: hai sempre voluto vincere
e fare un po’ a modo tuo, e hai ritenuto e ritieni di vederci tu solo; ora, vedi, è proprio
questo tuo amor proprio la tua rovina: tu sei una vittima del tuo te stesso.
Bisogna invece che subito ti umigli davanti a Dio, e anche coi Superiori, e che
preghi, che preghi, che preghi, e poi tu faccia un proposito ben forte e profondo, proprio
dal cuore, di incominciare come fossi un bambino la vera vita religiosa, e con slancio di
cuore anelare tu devi a vivere intera la disciplina religiosa, da umile e santo religioso,
quella santa disciplina religiosa che è apportatrice di maggior concordia tra te
e i tuoi Superiori, tra te e i tuoi fratelli, e che dà tanto tanto conforto, tranquillità di spirito,
edificazione al prossimo e ogni bene al cuore. «Tene disciplinam, ne dimittas eam,
custodi illam, quia ipsa est vita tua» dice lo Spirito Santo nella Scrittura.
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Deh, carissimo figliuol mio, che il demonio della superbia e della indisciplinatezza
religiosa, che, fin qui, è stato, purtroppo, il tuo demonio, ed ora ti spinge a passo sì fatale,
esca dall’anima tua per intercessione della SS. Vergine nostra madre, e ti ritorni ai primi
fervori della tua vocazione!
Pensa al male incalcolabile che faresti a te, uscendo di Congregazione, - al male che
faresti agli altri, tu sacerdote e primo che sei andato in America, e il danno delle anime col
tuo male esempio. Non abbandonare, te ne scongiuro, per l’amore di Dio e della anima tua,
la vita di perfezione religiosa, di sacrificio e di rinnegamento di te: non fare piangere a
lacrime di sangue la Congregazione che ti accolse fanciullo, e che ti ha fatto da madre, e ti
ha portato al sacerdozio. Non sentire in me la voce dell’uomo, ma, ti prego, di voler sentire
nella mia voce la voce del padre spirituale dell’anima tua, e la voce stessa della divina
bontà del Signore.
Pensa che presto anche la tua vita sarà finita, e non puoi finire fuori e lontano dalla
tua Congregazione; - supplica la misericordia del Signore che tiri un velo su tutto il tuo
passato, e non voglia chiamarti conto di ogni tuo mancamento, ma, per il patrocinio della
beatissima nostra Madre, ti dia il Signore un cuor docile. Dell’affetto e della stima
di Don Orione come dei tuoi fratelli di qui, tu non puoi dubitare.
Queste stesse mie prediche come tu le hai chiamate, improntate così, te lo dicono:
non si scrive così a chi non si ama molto nel Signore.
Anche le disposizioni delle due mie lettere, che tu avrai ricevuto, dopo che mi hai
scritto la tua, e mentre la tua viaggiava, te lo dicono chiaramente: io ho lasciato te arbitro
o di tenere l’Istituto e di dare la cura della parrocchia a don De Paoli, o viceversa.
A don De Paoli io non ho più scritto da tempo, eccetto che quella lettera che ho inviato a te,
ma che era da leggersi tutti e due, mentre entro ne ho riposta una riservata a te.
Poi: a te ho scritto ancora, sempre molto chiaramente, ma, per divina grazia, con ogni
sincerità e grandezza di affetto in Gesù Cristo. Questa lettera è tutta per te, non è per
De Paoli, - a meno che tu, fraternamente, e onde più umiliarti nel Signore, ma per redimerti
meglio dal tuo amor proprio, ritenessi meglio per l’anima tua di leggerla anche a lui.
Noi ci uniremo agli Esercizî Spirituali a Bra il 3 di agosto, e pregheremo anche
per voi; ed ora io vado in Calabria ed in Sicilia.
Il 25 giugno sono stato dal S. Padre, e ho chiesto una speciale benedizione
apostolica per voi, - questo dirai pure a suo conforto a don De Paoli.
Il 14 giugno fu ordinato sacerdote don Fiori a Tortona. Presero il suddiaconato
Draghi e Manca: la tonsura e i due minori a Reggio Calabria: Bartoli Angelo, Giorgis
Giovanni e Castegnaro presero la tonsura, e domenica prenderanno i due primi minori.
Entrò in Congregazione un bravo sacerdote di Bra, certo don Giuseppe Opessi, che
si trova qui. Molti però dei nostri, e i migliori chierici, sono tuttora sotto le armi
né sappiamo quando sarà la smobilitazione.
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Ma ora finirò, e ritorno al motivo principale di questa mia lettera, che è di confortarti
alla perseveranza. Portati col pensiero, caro figliuolo mio, ai gemiti disperati di
quell’infelice che ci vien descritto dallo Spirito Santo nel libro dei Proverbi. Egli, per aver
riso e disprezzato la disciplina e le piccole cose, cadde nelle gravi, e fu sepolto nell’inferno.
Quivi, piangendo le sue eterne disavventure, si rammenta della cagione primiera di tanti
suoi guai, ed esclama: ho detestato la disciplina, e non mi sono adattato ai rimproveri,
non fui docile alla voce dei Superiori: «Detestatus sum disciplinam, et increpationibus non
acquievit cor meum, nec audivi vocem docentium me et magistris non inclinavi aurem
meam» Cap. V e IV 12 - 13.
E così confessò la sua colpa, ma, lui infelice, era troppo tardi! - Non fu docile e
disciplinato, e finì al fondo di tante colpe, trascinato alla perdizione perché non ascoltò
chi lo correggeva, poiché chi correggeva lo amava.
Ama dunque, o caro Dondero, l’umiltà: non abbandonare la tua vocazione:
chiedi sempre alla Madonna la grazia della santa perseveranza. (3)
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