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+ Anime Anime
Tortona, il 5 agosto [1]920
Caro Biagio,
rispondo alla tua buona lettera del 2 corr.
Sta tranquillo, e lavora in Domino. Vedi di mangiare un po’ di più
e di sostenerti nel vitto.
Ti assicuro che non c’è nessuna diffidenza verso di te né da parte mia
né
di don Sterpi, il quale anche anzi
pochi giorni fa mi parlava di te con molta stima
e affetto in G. Cr. Tu godi tutta la nostra fiducia, - solo che, in qualche cosa,
ti vorrei vedere meno incantato e più fattivo, e ti vorrei vedere
più
veneziano che genoano genovese.
E
anche amerei che tu avessi di
più in mano e
di più il cuore dei tuoi ragazzi
per meglio poterli dare al Signore, e questo devi farlo, pregando, unendo in te il dolce
e il
dignitoso o, meglio, anche il severo,
occorrendo. severo insieme.
Chiamare
Chiamarli, avvicinarli di più, fare
far loro comprendere che si vuole il loro bene,
il loro vero bene, morale educativo, professionale e cristiano.
Il giovane, ricordalo, è sempre di chi lo illumina e lo ama: è di chi è sincero con lui.
Noi pecchiamo spesso di insincerità coi giovani: è un grave sbaglio.
Il
giovane deve avere sentire
affetto e stima dai dei
suoi superiori e poi si conduce
dove si vuole. E il giovane deve anche sapere e sentire di essere amato
e stimato e vigilato con affetto, ma vigilato sempre e non avvilito mai:
non
mortificare mortificato
davanti agli altri, se non in casi eccezionalissimi
e per togliere il mal esempio.
Non voglio più che da voi si dica o che si lasci dire contro la Congregazione
di carità; non si deve mai dire: «la Congregazione di carità non fa,
la Congregazione di carità non ha fatto: la Congregazione di carità qui,
o la Congr. di carità là» No, no, vi prego nel Signore: questo modo di fare
e di dire fa male e ci nuoce assai, assai: lasciatelo, per carità.
Così non dire mai: questi veneziani qui, eh qui a Venezia così!
eh qui a Venezia cosà! Oppure: «il carattere dei veneziani è brutto, sono fiacchi,
non vogliono lavorare, etc[»], o altre espressioni che possono toccare la suscettibilità
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già tanto sensibilissima dei veneziani. No, cari miei figliuoli,
io vi prego e vi scongiuro in Gesù Cristo di non usare questi modi,
i quali sono contro la carità e sono anche contro l’educazione e l’urbanità
che
dobbiamo avere e perché contro il
seguaci di Gesù Cristo per nostro conveniente
e
retto sistema di una sana
educazione educare e di edificare in Xsto.
Nell’ultima mia venuta a Venezia ho avuto il dispiacere di udire
più volte simili espressioni, e non ti so dire quanto e quanto mi facessero male.
Ricordo
di avere letto nella vita del Rosmini, che
il quale
(a parte gli errori suoi filosofici e le teorie liberali di lui)
in
opposizione diretta col nostro spirito e le nostre idee, era
pure un per altro
uomo
pîssimo e dottissimo, e
sagace profondo conoscitore del cuore umano e
cristiano
ed
educatore di prima il forza
Rosmini dunque scriveva ai suoi rosminiani mandati
che
aveva inviati a fare del bene e a
convertire non solo ai cattolici,
ma
ai protestanti in d’Inghilterra:
«io vi supplico e vi scongiuro in visceribus Christi
di farvi è di rendervi inglesi (e nel fare e nel modo e nello spirito vostro),
e
di rendervi inglesi per la carità di Gesù
Cristo, e non solo nella lingua e nei costumi
ma in tutto ciò che non è peccato evidente; in ciò che fosse solo un male dubbio,
fatevi inglesi per l’amore di Gesù Cristo e per le anime
per
e così convertirete gli
inglesi l’Inghilterra».
E resterà celebre e sempre benedetto il grande padre Ricci da Macerata
santo
e dotto gesuita che il
quale in Cina, per l’amore di Gesù Cristo e per le anime,
arrivò
arrivò si fece tanto cinese che parve oltrepassare i
limiti e arrivò tanto avanti
quasi
quasi quasi da
farsi scomunicare da Roma. Ma poi, a
lui morto, Roma lo
capì.
etc
etc. E così fecero S. Cirillo e S. Metodio per
convertire gli slavi
o
al che si fecero in tutto slavi, anche nella
liturgia, e vennero da Roma richiamati
a difendersi e si presentarono e furono dal Papa approvati, benedetti
e poi dalla Chiesa santificati.
Forse
che E San Paolo non voleva
ha scritto che bramava essere anatema,
cioè
scomunicato per fare del bene e salvare i
suoi fratelli le anime?
Diceva il Rosmini, appunto scrivendo in proposito di questo al P. Gentile
che era in Inghilterra: «Ogni popolo ha i suoi costumi, e sono buoni agli occhi suoi:
in
tutto in che
evidentemente non contiene offesa a
Dio è peccato
diventate
perfetti inglesi rendetevi inglesi e perfetti per
fare maggior bene?
Ed io dico a te, caro Biagio, in tutto ciò che non c’è di male,
o non c’è fiacchezza di carattere, renditi perfetto veneziano per la carità di Gesù Cristo.
E amate Venezia per salvare meglio i veneziani
e per poter meglio fare del bene agli orfani.
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Avete
Non avete sentito come ho esaltata Venezia,
in quel po’ di discorso che ho fatto per San Gerolamo Emiliani?
Ho
esaltata Venezia per non
per fare della erudizione o della storia,
ma per meglio entrare e rendermi padrone del cuore dei veneziani là presenti
e portarli a Dio.
Fate così anche voi altri. Appena c’è da lodare, lodate;
ma non deprimete mai, mai, mai, a meno ci fosse un male grave ed evidentissimo.
Quando io, a 13 anni, abbandonai la famiglia e noleggiai per L. 5 un carrettino
con
relativo asinello, vi misi su il mio piccolo baule e
per andare a Voghera
per
a farmi frate di San Francesco, - avevo l’anima
piena di fede e di ardore
di
essere un santo frate e di morire piuttosto che tornare nel mondo e
al mio stesso paese. Ma, giunto in convento, mi incontrai con un
brutto tipaccio tipo di
frate,
uomo di Messa, ma che non aveva che la Messa: volgarissimo e grossolano quanto mai.
Aveva,
o poteva egli avere almeno già
un 50 anni. Egli mi si
avvicinò e a me
e mi
chiese di che paese io fossi; e
gli risposi: di Pontecurone.
Allora
egli si mise a motteggiare sul mio paese e a criticare il
la gente del mio paese,
di
quel paese a cui io avevo
io sì dato si l’addio,
ma che pure restava sempre nel mio cuore,
perché il sangue non è acqua, e l’amore al proprio nido, al proprio paesello è santo,
ed è tanto parte della nostra vita. E quel frate, molto incivilmente
e
anche molto inopportunamente, certo forse
e vedendo che io tacevo davanti a lui,
io fanciullo di 13 anni entrato allora in convento e che avevo sognato il convento
come
il un Paradiso, e che
pensava che tutti i
frati fossero santi e dolci ed e
molto garbati
ed
educati - almeno come
era educato il mio maestro che pure era pure
un garibaldino:
vedendo dunque quel frate che io venivo rosso e che abbassavo gli occhi davanti a lui,
che
con termini e modi da piazza ben
pochi educati mi faceva segno con la sua mano
che quei del mio paese avevano tutti il gozzo sotto del mento,
certo egli non pensava all’impressione disastrosa che in me facevano
quelle sue parole offensive pel mio paese, e che se fosse stato solo per lui,
avrei preso il cappello a avrei lasciato il convento e la vocazione e, forse, mi sarei perduto.
E
Sono dal quel
pomeriggio sono passati ben 35 anni,
e
dma io l’ho ancora viva e presente e dolorosa
quella brutta parte che il frate -
poco frate - mi fece in quel mio primo ingresso.
E` poi morto, e l’ho assistito io, e molte volte ho pregato per lui,
che Dio misericordioso lo avesse accolto in Cielo un po’ meglio di quello che egli
non accolse me in convento.
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Caro Biagio, leggerai questa mia ai tuoi due coadiutori, e poi pregherai don Pensa
che la faccia pure leggere anche ai chierici dell’orfanotrofio,
perché questo scritto vedo che ha assunto una importanza tutta particolare,
e
più che essere una risposta a te, è
diventato va diventando lo svolgimento
di una norma educativa per tutti noi.
E
così ho sentito mio al
Manin che uno parlava di abolire le trombe per i segnali,
e di mettere la campana, come si fa qui e nelle altre nostre case.
Ma no, ma no, ma no affatto! Nihil innovetur a Venezia, per ora almeno.
Andiamo adagio a togliere, e non lasciamoci portare, diceva il Ven.le Don Bosco,
«dal prurito della riforma»
Il nostro compianto don Gandini (diciamo la verità) è stato vittima
del suo spirito d’innovazione e di riforma. Pareva a lui che qui tutto andasse male;
che don Sterpi, dopo tanti anni, non avesse qui fatto che poco a nulla di bene:
che don Fiori, dopo X anni di vigile assistenza e di lavoro fatto qui,
non avesse che fatto degli sbagli.
Parliamone da vivo di don Gandini e non da morto, preghiamo anzi per lui sempre,
ma la verità è questa. Egli vedeva tutto da migliorare: tutto da riformare:
contrariamente a certe disposizioni date, che per un anno non si deve nulla innovare
senza esplicito permesso, cominciò a picconare, a fare e a disfare, senza dire
e senza tatto perché è un’offesa ed è poca delicatezza verso chi c’era prima,
il
fare subito delle novità o il contrario di prima. e
E fu vittima del suo prurito di riforma.
Dalle norme della direzione e dove dormiva prima don Sterpi tolse tutto:
quadri, tavoli: tolse fin la statua della antica Madonna ai cui piedi ho raccolto
i
primi fanciulli: tolse volle
togliere anche la piccola stufa, perché, anche
benché
fosse d’inverno, non ci voleva neppur quella, e bisognava mettere altri quadri,
altri
mobili, altro tavolo più elegante e non tenere più quella
neppur la stufa.
E la sera - poi - a mia insaputa - si faceva, sul tardi, portare un grande braciere
per
riscaldare l’aria l’ambiente
nella notte, e se lo metteva a un metro e mezzo,
neanche,
distante dal letto, a lato di
fianco dove dormiva.
E
quando l’abbiamo trovato a terra, senza
già privo dei sensi, e in fin di vita,
io non me ne accorsi che, al lato del letto, ove prima don Sterpi teneva la catinella
vi era nel canto un rosso braciere. Fu il giovane Cavallero -
quello che segretamente glie lo portava tutte le sere -, che uscì a dire:
«jeri sera gli ho portato ‘un bel bracione’ tanto fuoco che ce n’è ancora un palmo e mezzo.
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E poi mi assicurò che era solito a portarglielo tutte le sere. Solo che le altre sere,
e non era in quella grande quantità, e la porta che unisce le due camerette era aperta.
Quella
Ma quella notte invece era chiusa e l’ambiente era
più stretto ristretto
e tutta l’aria fu consumata e rimase asfissiato.
Il medico dichiarò che doveva esser morto di mal di cuore;
ma il don Gandini mai si era lamentato di palpitazione e di male di cuore.
Ritengo sia morto asfissiato, e ne portava i segni:
vittima del suo spirito di novità, poveretto. Preghiamo per lui!
Del resto egli stesso doveva aver sentito bisogno di aria, perché si era alzato da letto
per
venire ad aprire aprirsi
la porta, solo che era là caduto ai piedi della porta stessa
senza
avere più la forza di aprirla, e là era rimasto parecchie ore steso
disteso a terra,
finché lo abbiamo trovato la mattina.
Concludendo: lasciamo da parte l’amore di novità: il prurito di riformare
che
è un difetto, e grave difetto.che
Esso indica (talora) anche un grande amor
proprio
e un concetto esagerato di sè e un concetto avvilente e dispregiativo
e spesso, bene spesso ingiusto degli altri e per quello che hanno fatto gli altri,
che erano prima di noi, fossero pure stati borghesi o laici - parlo qui per codesti istituti
di Venezia; più grave sarebbe poi se si trattasse di istituti dove erano già i nostri fratelli.
Andiamo adagio con i cambiamenti e allontaniamo ogni smania di riforme
e di cambiamenti.
Non si parli di riformare di qua e di ritoccare di là, bensì ciascuno di noi
riformi la propria condotta e il proprio metodo, se pure talora non avessimo
da riformare la propria superbia e vanità.
Il ven.le Don Bosco e don Rua nulla raccomandavano nulla inculcavano
tanto fortemente che di guardarsi dal ticchio delle riforme.
E così guardiamoci dal censurarci gli uni gli altri,
come da qualche tempo fa qualche chierico povero di mente
e
povero di ogni grande
povertà mentale e più spirituale che dovunque è passato,
dopo aver fatto il militare, non ha fatto altro che metter male e la cui lingua mi pare
che
finora non abbia fatto che spargere veleno contro i
fratelli
e
anche parole di
discordia, indegne di un chierico.
Ma anche a questo ora, col divino ajuto, si va provvedendo con carità sì,
ma con ogni doverosa energia, e già fu licenziato, e solo è ancora tra noi
per un po’ di prova.
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Ma desidero che ogni mormorazione finisca: chi mormora non ha lo spirito di Dio.
Evitiamo
Evitino alcuni il contagio di volere comparire più
abili degli altri,
più capaci di fare, più saputi, e quasi i soli capaci di regolare bene la disciplina
o di saper insegnare bene. È un’ambizione questa, è uno spirito di ambizione
che si deve sradicare sul suo nascere: questo dico per i chierici.
Regni sempre tra noi tutti la carità nelle opere, nelle parole e negli affetti
in Gesù Cristo. Coi nostri allievi non usiamo mai moine o sdolcinature
e neppure mai si usino mezzi violenti, né la bacchetta, né simili generi di castighi.
Ma con molta pazienza e con industriosa sollecitudine si procuri il vero bene dei giovani
che la Divina Provvidenza ci ha affidati.
E ricordiamoci che noi mancheremo alla parte più essenziale del nostro compito,
se ci riducessimo solo ad impartire l’istruzione letteraria o professionale,
senza unirvi l’educazione cristiana e schiettamente cattolica del cuore e della vita.
A questo sovratutto dobbiamo mirare a formare dei nostri allievi dei buoni
e veri cristiani, dei cattolici non di nome, non di etichetta e di forma, ma di vita pratica
e uniti alla Chiesa, al Papa ai Vescovi e insieme dobbiamo formare degli onesti giovani,
dei giovani laboriosi, fattivi di bene, degli onesti ed integri cittadini
amanti della loro patria, perché anche l’amore di patria è uno dei più sacri amori
del cuore umano.
E dobbiamo pure con tatto, ma incessantemente coltivare le celesti vocazioni
che si incontrano tra i nostri allievi.
La cura delle vocazioni mi sta grandemente a cuore, né più né meno
come mi sta a cuore lo sviluppo e il progresso della nostra cara Congregazione.
Questo è il motivo che ognora mi porta a rivolgere, oserei dire, tutti i miei pensieri
e le mie sollecitudini alla ricerca e alla cura di santi vocazioni.
Senza di esse la nostra cara Congregazione languirebbe, e non corrisponderebbe
al fine della Divina Provvidenza nel suscitarla dal nulla.
È ben consolante per me il constatare che parecchi zelanti direttori e confratelli -
anche tra i miei chierici ed eremiti - si mostrano ognora disposti a secondare
i miei sforzi per l’apostolato nostro delle vocazioni ecclesiastiche e religiose.
Essi hanno ben capito che - in questa crisi terribile di vocazioni - (pensate che i seminari sono quasi vuoti e le congregazioni prima fiorenti sono in parte disfatte)
Iddio vuole che la nostra Congregazione sia quella che preparerà e darà sacerdoti
ai Vescovi, alle missioni e alle congregazioni religiose ora spopolate,
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-
ed e noi siamo dalla
Provvidenza succitata succitati
per imprimere
uno
spirito nuovo vivo di
fede, di lavoro, di papalità, di sacrificio e
di carità, di carità, di carità nel mondo.
Cari
miei sacerdoti e chierici, voi siete
dovete essere i veri soldati
e i propagandisti di Dio: quelli su cui la Chiesa e il Papa maggiormente contano
per
le vittorie di Dio sulla anime e sulla società. Quello
che Quanto noi
fin qui abbiamo fatto, è nulla, è nulla è nulla: il Papa, lo avrete sentito
ciò che ora mi ha scritto: dice che, a guerra finita, ora è tempo per noi di lavorare
con la carità: è tempo di aprire le braccia nel nome di Gesù Cristo e di seminare
Gesù Cristo nel mondo. Ma il primo lavoro sono le vocazioni.
E` per le vocazioni che è nata la prima casetta di S. Bernardino:
e
fu per dare alla Chiesa dei buoni sacerdoti: fu un
palpito per la Chiesa
fu
un pensiero per la Chiesa: ho visto che la Chiesa ha
aveva bisogno di braccia di lavoro
e di cuori pieni di carità e di sacerdoti non avari e non disonesti.
Vi erano poveri figli, a Tortona, all’oratorio, e non avevano i mezzi per pagare
al seminario. Ho pregato: sono stato dal Vescovo: mi ha benedetto e mi disse:
«ma non aspettare danaro da me» ai danari pensò la Provvidenza del Signore,
e la sera che affittai per 400 lire annue San Bernardino avevo già le 400 lire da pagare.
Mi fece male la parola del Vescovo: [«]ti dò tutte le benedizioni ma non ti dò danaro»
ma era segno che dovevo tutto tutto tutto confidare nella Provvidenza del Signore
e nella Madonna.
E il primo ragazzo accettato per farne un sacerdote, fu chierico,
[si tratta di don Alessandro Barbieri che allora pensava di tornare, ma non poté:
lo poté più tardi e morì tra noi,] fu poi il I assistente di Roma [alla Nunziatella]:
me lo hanno strappato via come gli altri primi [(1902)], ed ora, da parroco,
è venuto a Venezia a fare gli Esercizî e ritorna in Congregazione.
Io non l’ho richiamato: lo ha chiamato a tornare la Madonna.
Cari figliuoli, ajutatemi per le vocazioni, ajutatemi! Ajutatemi!
Voi ajutate la Chiesa di Gesù Cristo, e farete l’opera più santa. Noi siamo gli «arditi»,
della Chiesa, gli «arditi della carità di G. Cr.[»]
Ciascuno di noi deve essere «Venator vocationum! Cacciatore di vocazioni!
Apostolo, anzi apostolo di sante vocazioni!
1/ Vocazioni pel sacerdozio: avviando al santuario quelli in cui scorgonsi
segni di vocazione e che sogliono essere i migliori.
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Vocazioni framezzo ai nostri giovani che imparano un’arte, una professione
coltivandoli con crescente impegno: abbiamo urgente bisogno anche di quelli.
Vocazioni per gli eremiti: ora apro, nel nome della Div.na Provvidenza e della
santa Madonna una casa, un noviziato apposta per essi, sulla tomba di S. Alberto
di Butrio, dove eravamo già 20 anni sono, e di dove la cattiveria degli uomini
ci aveva allontanati. Ecco che questo Vescovo di Tortona, con la piena approvazione
della S. Sede, ci dà ancora quella antica casa dei santi e vetusto cenobio
di
dove visse e morì S. Alberto, amico di San
Gregorio VII.
Vocazioni per le missioni: presto andremo in Africa:
apriremo colà un’altra missione.
Avanti figliuoli miei! Il Signore ci manda tanti buoni ragazzi: pensiamo
come la pensava il ven.le Don Bosco, «quando un ragazzo è di vita virtuosa
e di costumi illibati, egli ha già metà la vocazione religiosa»
Se
volete darmi delle consolazioni, pro
datemi delle vocazioni.
Io non posso avere stima di quelle case che non danno mai vocazioni.
Abbiamo giovani pieni di spirito e di buona volontà: basterebbe un soffio
per farne dei santi. Ma facciamo dei santi e dei santificatori!
Ho quasi 50 anni, ma, per la grazia di Dio mi sento ancora valido e robusto,
tanto che posso lavorare benissimo senza ancora avere bisogno di segretario.
Ma, se sapessi che, morendo oggi, dalla mia tomba, o dietro di me sorgerebbe
una vocazione, vorrei chiedere a Dio di chiamarmi tosto a lui, basta avere un sacerdote
di più e più giovane di me, a cui trasmettere la croce e il vangelo di Gesù Cristo,
e un incarico: quello di andare a cercare vocazioni, nell’amore al Papa e alle anime.
Cari figliuoli miei, «confortamini et non dissolvantur manus vestrae:
date a Gesù Cristo, al Papa e a questo vostro fratello e padre nel Signore
questa
consolazione: ajutatevi amatevi
di grande e di divina carità tra di voi
e ciascuno poi di voi si faccia cacciatore di anime e di vocazioni.
Iddio sarà con voi La Madonna SS. sarà con voi e vi assisterà e benedirà.
Et benedicat nobis Deus in omni opere et in omni tempore amen
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E pregate per me e per tutti i sacerdoti della nostra umile, povera
ma carissima Congregazione, i quali sacerdoti, lo dico con mia grandissima consolazione
e a vostro esempio, o giovani speranze della Divina Provvidenza,
sono unitissimi nella carità di Gesù Cristo e sono veramente cor unum et anima una,
e vogliono, ad ogni costo che tale resti lo spirito dell’Istituto,
e che siano allontanati tutti quelli che non mostrassero unità di cuori e di spirito
e di mente nella carità di nostro Signore crocifisso.
E di gran cuore vi benedico con affetto più che di padre in Xsto.
Sac. Orione della Div. Provv.
¨