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 +       Anime e Anime !

        Tortona, il dì VIII di agosto 1920

 Caro don Pedrini,


 Ricevo oggi la sua del 6 agosto, da Cremona.

Non ho ricevuto la lettera che dice avermi inviata il 29 giugno.

 È con vivo dispiacere che avevo già sentito che lei aveva lasciata Roma,

come ella ora mi conferma.

 Sono lieto che lei non sia andata al Vicariato, perché già nelle riunioni

tenute a Venezia, dopo gli Esercizî, parlando a tutti i miei sacerdoti riunuti,

ho dato disposizioni che queli che si fossero trovati destinati a Roma, non dovessero affatto

andare al Vicariato a dichiarare che lei non era più a Roma, dato che lei davvero

avesse insistito di lasciare Roma, e che, se ne fossero stati direttamente interpellati,

la parola d’ordine fosse fu che dicessero che lei essere sì assente, ma che

«non risultava a loro che ella non dovesse più tornare a Roma,

e di interpellare Don Orione, il quale solo avrebbe potuto esaurientemente rispondere».

 Questo, caro don Pedrini, per sua norma. E questa disposizione io ho dato

perché ella avesse sempre la porta aperta qualora volesse tornare a Roma,

e affinché nessuno osasse dire cosa che suonasse male a suo riguardo.

 Posso assicurarla ora che a Roma dai miei sacerdoti si sta strettamente

a quanto ho ordinato e ne fui assucurato anche qualche giorno fa.

 Leggerò con piacere il sunto dell’opera «i piccoli missionari» e pregherò che Iddio

li benedica e li prosperi.

 Le unisco dichiarazione, che ella potrà presentare a Mg.r Vescovo di Cremona,

e sono sempre disposto a rilasciarne altre, qualora le occorressero.

 Confermo in questa mia tutto quanto le ho scritto nell’ultima,

che ella ha ricevuto ancora a Roma, avanti di partire.

 Da parte mia non ho nessunissima difficoltà che uno o più orfani nostri

vengano con lei, caro don Cesare: nessuno a me ne scrisse, neanche don Tricerri.

 Quanto a Comincini mi fa vera pena che egli non abbia potuto dare esami,

spero possa darli almeno alla sessione di ottobre.

 Di questo lei sa bene che non ne ho colpa, (mi pare), poiché fui anzi io a spingere,

quando egli ancora in gennajo si cullava nella speranza di poter studiare da privatista

qui a Tortona; e allora ho insistito che si rompessero gli indugî, e si addivenisse

ad una decisione, e fu quando lei lo condusse a Frascati.

 Domani andrò a Bra: preghi che possa fare un po’ di bene a quei cari chierici,

sono 90, e terminano gli Esercizî il 15 corr. con la festa della Madonna.

 Altro di veramente importante, cui rispondere, non mi pare di rilevare nella sua.

 Ella voglia sempre ricordarmi a nostro Signore, specialmente nella Santa Messa

e, in ogni occorrenza, ricordi che qui ha un fratello in Cristo.

 Che la SS. Vergine ci conduca per mano durante questi brevi giorni,

e ci riunisca sotto il suo manto celeste e vicino a sé in Paradiso.

 Sempre con l’antico e immutato affetto, suo dev.mo in Gesù Cristo

          Sac. Orione  d. D. P.

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[minuta]


[l’azzurro corsivo è grafia d’altri]


 +      Anime e Anime !

       Tortona, il dì VIII / VIII [MCM]XX


 Caro don Pedrini,


 ricevo la sua dell’altro jeri, da Cremona.

 Non ho ricevuto la lettera che ella dice avermi inviata il 29 giugno,

e qui non risulta giunta. È con vivo rincrescimento che avevo già appreso che lei

aveva lasciata Roma e la Congregazione, come ora mi conferma con la sua.

Sia fatta la volontà di Dio! = mutatio locorum multos fefellit, dice l’Imitazione di Cristo.

Comunque, sono lieto che lei si trovi bene costà, e le prego dal Signore

le più grandi consolazioni.

 Quanto al non essere lei andata al Vicariato, ritengo abbia fatto bene.

Già nelle adunanze, tenute a Venezia, dopo gli Esercizî predicati dal Patriarca, parlando io

ai sacerdoti tutti riuniti, avevo dato disposizioni al riguardo, per quelli che si fossero poi

trovati a Roma in questo periodo di tempo. Lessi loro la sua lettera con cui si licenziava,

e poi dissi loro quello che il Signore, dopo avere pregato, mi pareva che volesse che io

loro dicessi al riguardo in merito, e aggiunsi che, qualora lei davvero avesse poi

lasciata Roma e la Congregazione, se quei di Roma fossero stati interpellati,

la parola d’ordine fosse che essi tacessero sempre, ma che poi, occorrendo,

La difendessero e aggiungessero anche che a loro non risultava che ella non dovesse più

tornare a Roma, per lasciare a lei sempre una porta aperta anche colà, qualora avesse

mostrato desiderio di tornare, se non si fosse trovata bene a Cremona.

Che se chi avesse interpellato fosse stato il Vicariato, avessero risposto che detto che

il solo che avrebbe potuto rispondere era Don Orione. E tutto questo perché nessuno

avesse a metter lingua e a metter male, circa questo suo estodo esodo dalla santa città.

E posso oggi assicurarla che a Roma già non se ne parla affatto, e che i miei sacerdoti

staranno strettamente a quanto fu loro ordinato. Leggerò con piacere il sunto

dell’«Opera dei piccoli Missionarî», mentre prego Iddio di prosperarla e di benedirla.

 Le mando qui acclusa la lettera per Mg.r Vescovo di Cremona,

come le avevo promesso nell’altra mia, qualora lei avesse insistito di andarsene,

e quantunque [io non possa, unicamente per la verità, sentirmi all’unisono con lei

in qualche cosa che ella dice in questa sua lettera ultima del 6 corr.

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Ma sono cose da passarvi su in Domino, e da non perdercisi.

Sarò poi sempre disposto a rilasciarle altre dichiarazioni qualora la presente

non fosse di suo gradimento; la mando come m’è venuta giù dal cuore.

Non ho presente chi sia l’orfano Serafini, di cui parla, ma ella può ben essere certa

che da parte mia, non vi sarà mai difficoltà. Nessuno me ne scrisse, neanche don Tricerri

cui spettava farmene cenno: forse vorrà dirmene a voce. Quanto a Comincini,

mi fa vera pena che non abbia potuto dare esami; ma di questo, non mi pare aver colpa.

Ricorda lei che fui io anzi a spingerlo quando egli (eravamo già a gennaio),

ancora si cullava nella speranza di poter studiare da sé, da privatista o qui da quella

maestra di Tortona? Fu allora che io ho insistito si rompessero gli indugi, e fu quando lei

lo condusse dai salesiani a Frascati, e si ottenne poi che potesse esservi iscritto.

Ed ora mi pare di aver finito risposto a tutto che, di più importante, richiedeva

la sua cara lettera. Ma no, ancora non ho risposto ad un punto. Ed ecco: - sono lieto

di aver potuto rispondere tutto di mia mano, senza bisogno di segretari.

Caro don Pedrini, non siamo ancora gente di tale importanza da dover avere

un segretario!!! Quando non si risponde, il più delle volte è perché si è messa

la corrispondenza ai piedi della Madonna e si prega, senza avere fretta: sono i falsi profeti

quelli che corrono. Molte volte se non si risponde non è perché manchi il tempo

un segretario, ma è perché non si vuole rispondere o si vuole andare adagio,

senza ansietà, perché il carattere del secolo è la impazienza e la fretta, ma questo

non sarebbe operare secondo li spirito di Dio, ma secondo lo spirito nostro.

San Francesco di Sales e il Ven.le Don Bosco e il Ven.le Cottolengo erano nemici

della fretta, e sì che ne hanno fatto del lavoro! non parlo poi di S. Vincenzo De’ Paoli

e del Beato Curato d’Ars, tutta gente che valeva qualche cosa.

E se ora le rispondo subito è perché sono mesi che ci prego su.

Io sono già, di natura mia ardente e impulsivo, se poi mi prendo ancora

un segretario correrò troppo e, invece di andare con prudenza, con pacatezza e serenità,

andrò a rompermi il collo e a guastare di più le opere di Dio.

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E poi sarebbe contento don Pedrini se sapesse che le sue lettere a Don Orione

le leggesse un segretario? Sia pure persona per bene!

Mi scriverebbe lei ancora con tanta confidenza? E poi si direbbe come si dice

(e lei lo sa bene) di tanti Vescovi, e di più che Vescovi che chi fa tutto,

chi guida tutta la barca è il segretario.

Ricordo che noi si preferiva leggere una riga, ma scritta di pugno di Don Bosco,

che non una lunga lettera scritta dal suo segretario Don Bosco è stato don Berto

o don Viglietti. E Don Bosco è stato costretto ad allontanare il suo segretario

don Berto, dopo 26 anni.

E ora vi è una grande, una forte e influente Congregazione maschile, dove vi è

una lagnanza generale al riguardo. In quella Congregazione quando si parla

del Superiore generale tutti dicono: è ottimo, è un santo, è qui, è là, ma tutti si lamentano,

perché sembra a tutti che egli solo veda con gli occhi del suo segretario:

solo senta con le orecchie del suo segretario, e tutti dicono che, in fine chi governa ora

quella Congregazione non è il Superiore generale, non è il suo capitolo,

ma è il segretario del Superiore generale, e il tallone di Achille di quel Sup.re generale

è il suo segretario.

Ora la prego di mandare poi questa mia lettera, per raccomandata, al don Tricerri,

perché desidero che anch’egli la legga, dal momento che lei nella sua lettera

mi fa il nome di don Tricerri come di colui che vuole che Don Orione abbia il segretario.

E quando poi io vedrò il don Tricerri, gli dirò in un orecchio il nome della Congregazione

che è governata ora da un segretario e don Tricerri piangerà perché don Tricerri

ama molto quella Congregazione. E il segretario da noi c’è, e nominato da tutti

i sacerdoti della Congregazione, compresi quelli che sono al Brasile, ma il segretario,

fin che la mia mano può scrivere trenta o quaranta lettere al giorno, e fin che la mia

testa funziona, il segretario, con i miei Superiori e con i miei sacerdoti,

eremiti, chierici e suore, lo voglio fare io, e ringraziamo insieme il Signore

che lo possa fare io. Jeri ho scritto a Venezia, ai miei chierici una lettera di 127 pagine,

e l’altro ieri una seconda lettera ai chierici riuniti a Bra in Esercizî di 67 pagine,

tutto di mio pugno, e senza bisogno di nessun segretario, la Dio mercè!

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Il giorno che Don Orione vi scriverà, o caro don Pedrini, e vedrete non più

questa calligrafia, ma la calligrafia di un altro, dite pure che sta male e male assai.

Lei ricorda chi era il mio segretario di quest’inverno a Roma, ma ricorderà anche

che non mi reggevo in piedi. Dunque statevi tutti in pace coi vostri benedetti segretari:

le cose con i miei sacerdoti] e religiosi, fossero anche probandi, voglio trattarle

personalmente io, pel resto c’è il segretario, e non fa neanche bisogno di sapere chi è,

ed è un segretario molto in gamba e che fa andare, col divino ajuto, molto bene

e senza rumori gli interessi della piccola Congregazione. E con questo ho finito.

 Domani spero andare a Bra, dove sono 90 80 chierici e probandi, 7 sacerdoti,

tre suddiaconi riuniti in santi Esercizî, con cinque eremiti. Mi vi tratterò fino al 16 agosto.

 Caro don Pedrini pregate che possa fare un po’ di bene a tutti quei miei figliuoli

in Gesù Cristo. E vogliate sempre, mio caro don Pedrini, ricordarmi nella Santa Messa.

E in ogni evenienza, ricordate che qui avete in fratello in Cristo, che vi vuole molto bene.  Che la Madonna SS., che «la Vergine celeste» come usava il Ven.le Don Bosco

chiamare la Madonna, ci prenda entrambi per mano, e ci adduca al bello e santo Paradiso,

senza bisogno di segretarî, ma essa stessa direttamente, e ci conduca in alto

e fino ai piedi di Gesù Signor nostro.

 Sempre, caro don Pedrini, e con inusitato affetto.

 Vostro


         Sac. Luigi Orione  d. D. P.


 Scrivendo a lei, caro don. Cesare, che fu col S. Padre Pio X, voglio anche mettere

il motto, che è pur nostro, e che fu tutto il programma di quel santo Papa:

 «Instaurare Omnia in Christo!»


[c’è altra parte di minuta non digidata]

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