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+ Anime e Anime !
Tortona, il XX nov.bre 1924.
Cominciata il 20 nov.bre
Caro don Garbarino,
Grazia, pace e conforto da nostro Signore Gesù Cristo!
Ho ricevuto con vivissimo piacere le migliori notizie che m’avete dato
sulla salute di vostro fratello - Deo gratias!
Ho fede che la Madonna della Divina Provvidenza ve lo darà guarito,
e prego la SS. Vergine di farvi la grazia che chiedete, se essa può giovare
all’anima di vostro fratello ed essere di gloria a Dio ed alla Madre di Dio.
Quanto al fermarvi a Torriglia, più oltre, - e ora, - non potrei dirvi di sì,
dato lo stato nel quale ho trovato la Casa di Roma.
Vi ripeto la preghiera che già vi ho fatto sentire in più d’una mia lettera:
affrettate il vostro ritorno a Roma, e andatevi con umile spirito di povero religioso
per aumentare in quella Casa la unione, la concordia fraterna e lo spirito di maggiore carità.
Sono partito da Roma con l’anima profondamente amareggiata,
e ho dovuto farlo capire. Sono tutti buoni sacerdoti e anche buoni religiosi:
io neanche sono degno di baciare la terra ove quei nostri fratelli, = degni di ogni lode
e rispetto per molti riguardi = mettono i piedi, - ma ho sentito in quella Casa la mancanza
di ciò che è più necessario: manca la carità fraterna.
Quella carità che è dolce vincolo di unione, perché sa compatire gli altri difetti:
quella carità che è umile, che è benigna, che è paziente, che è soave:
quella
carità che è il precetto del Signore, e
che è trionfatrice di tutte le cose,
e che ci fa onnipotenti in Dio e nell’amore del prossimo.
Ma questa santa carità che edifica e unifica in Gesù Cristo, pur troppo,
o caro don Garbarino, fa ancora troppo difetto nella Casa di San Giovanni a Roma,
- e l’incarico e la missione che vi do è appunto di andare colà quanto prima,
e di farvi vincolo fraterno che leghi insieme di più quei nostri sacerdoti, molto buoni,
dico, ma non sempre pronti a compatirsi l’un l’altro per compiere il precetto
di Gesù Cristo: «Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi Jesu».
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L’amore verso i fratelli è veicolo dell’amore di Dio: l’amore fraterno
è il più sicuro segno e il più bell’esercizio dell’amore di Dio. E quanto più voi
vi adoprerete a crescere l’amore fraterno, e più accrescerete la forza spirituale in voi
e nei nostri fratelli e nella piccola Congregazione.
Noi tanto varremo, quanto più di carità avremo: e tutto più potremo,
quanto più ameremo Dio, e in Dio ci ameremo a vicenda e ci compatiremo tra di noi,
e ci
daremo la mano ad andare a Dio
al Signore.
Ho messo la lettura a tavola, e m’è spiaciuto che, quando qualche volta ho mancato,
si fosse con facilità lasciata.
Già questo esercizio è proprio d’una vita di comunità regolata, ma poi lo feci anche
perché era difficile che passasse giorno che o a pranzo o a cena non si trascorresse
nel parlare, anche magari sino a rompere la santa e fraterna carità che fa soave
la vita religiosa e la rende piena di comunanza di affetti nel Signore.
Spero che la lettura ora si continuerà.
Fa
Mi faceva poi anche tanto male allo spirito udire
così di frequente
parlare a tavola di mangiare, di vini, di qualità di pietanze e di cibi più o meno di gusto!
Non è da religiosi.
Così fa tanto male ogni questione che porta ad alterare la voce, a gridare,
a dir parole irose o sconvenienti e, peggio, a discordie o a scissure di animi.
Caro
Garbarino, vi incarico, ove occorra, di dire chiaro che ove
«sarebbe da abbandonare ogni questione, anche fatta per amore della verità
e per zelo della gloria di Dio, se ella dovesse inagrire pure un pochetto il nostro cuore
e la fraterna carità».
Beati quelli che coopereranno alla perfetta consensione della volontà e dei cuori:
essi sono in Cristo!
Così io confido che tali vorranno sempre più essere i nostri fratelli sacerdoti
della Casa di Roma, dove ora voi, vi apprestate a ritornare col mandato
di umilmente e di fraternamente lavorare, e con la dolcezza e la mansuetudine dei modi
e delle parole, e con l’esempio e, occorrendo, con ogni più dolce forza di carità
e di
sacrificio, perché quei nostri cari Religiosi, e
sia col popolo della parrocchia e
che coi poveri e coi fanciulli, abbiano più carità e più buone maniere.
Anche in Vicariato mi fu detto che da qualcuno dei nostri si tratta
aspramente coi poveri e con i parrocchiani, - Bisogna riparare. -
E
anche in Casa, e
i nostri, tra di loro siano più concordi, più uniti, più
affiatati,
più pazienti nel compatirsi e ajutarsi in Domino.
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Nella loro carità essi non devono, si può dire, pensare a nulla di più, a nulla di meglio
che
ad alleggerire e a sollevare la croce che pesa sui loro fratelli,
cioè su
ajutarsi
l’un l’altro, quelli che colà convivono e insieme lavorano alla
salvezza di quella
della parrocchia.
Oh la dolcissima carità che deve stringere insieme i Religiosi
d’una stessa Congregazione e d’una stessa Casa!
«Quando in una comunità, (dice il Ven.le Don Bosco nelle sue Costituzioni),
regna questo amore fraterno, e tutti i soci si amano vicendevolmente,
ed ognuno gode del bene dell’altro, come se fosse un bene proprio, allora la Casa Religiosa
diventa un Paradiso». E allora si prova la verità di quelle parole del salmo CXXXII,
che recitiamo ogni giovedì a Vespro e che noi figli della Divina Provvidenza
cantiamo
ben tre volte ad ogni anno, prima di separarci xxx
agli xxx spirituali
esercizî:
«Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!»
Oh quanto buona e dolce cosa ella è, che i fratelli siano sempre uniti!
E il Venerabile nostro Don Bosco, cioè il vero padre dell’anima mia, dice ancora,
pa
scrivendo sulla carità fraterna: «Molto si
compiace il Signore di veder abitare
nella sua casa i fratelli in unum, cioè uniti in una sola volontà di servire a Dio
e di ajutarsi con carità gli uni gli altri. Questa è la lode che dà San Luca agli antichi
cristiani, cioè che tutti s’amavano così da sembrare che avessero un sol cuore
ed un’anima sola: Multitudo autem credentium erat cor unum et anima una (Act. IV, 32)»
Or io mi rivolgo a voi, caro don Candido, perché, tornando quanto prima a Roma,
vogliate in umiltà ajutare i vostri confratelli nello spirito di carità.
Siate il correttore in Domino della Casa, e il moderatore di tutte quelle parole
od espressioni che pungono: anche ciò che si dice per burla, non deve mai pungere.
Il Ven.le Don Bosco diceva così: «Burle che dispiacciono al prossimo o l’offendono
sono contrarie alla carità» Tutto ciò che può rompere l’unione ed offendere la carità
è sempre altamente deplorabile.
Anche i modi alteri ed aspri devono evitarsi: alle volte al popolo più dispiacciono
i modi aspri, che le stesse parole ingiuriose.
È di grande stimolo alla carità il mirare Gesù Cristo nella persona del prossimo,
e specialmente dei poveri e dei fanciulli, e il riflettere che il bene fatto ad un nostro simile
il Divin Salvatore lo riterrà come fatto a Sé stesso.
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Sarà
per me una delle consolazioni più gradi se, venendo
ritornando a Roma,
potrò ripetere con Davide: Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!
Io non dubito del tatto che voi porterete, con l’ajuto del Signore,
nell’adempimento di questo delicatissimo incarico, - come della buona volontà
e disposizione di quei nostri fratelli; - e voglio ogni mattina pregare particolarmente
perché quella Casa diventi il modello delle nostre Case,
specialmente per lo spirito della fraterna carità.
A questo effetto vi mando anche una particolare benedizione.
E così benedico di cuore al fratello vostro malato, e prego la Madonna di assisterlo
e di confortarlo, come pure di benedire e di consolare tutti gli altri vostri
di famiglie e parenti.
Quanto poi al venire io a Torriglia, ben volentieri lo farò, se vedrò che Iddio
mi mostrerà di volere quello da me, e mi darà tempo di farlo.
Vogliate fare miei rispetti al vostro sig.r Arciprete, e a tutti i vostri di casa.
E dite un’Ave Maria alla Madonna della Divina Provvidenza
pel vostro aff.mo in Gesù Cristo
Sac. Luigi Orione dei figli della Divina Provvidenza
P. S. Domani sera (23 corr.) vado a Venezia. -
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