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[Non digitata minuta di 2 fogli]


[Al Molto Rev.do Signore

Sig. Arciprete Giovanni Canegallo

Busalla per Casella Ligure

(Genova)]


 [+]         Anime e Anime !

          [Tortona,] XV Gennaio 1923


 Caro arciprete e amico,


 Son giunto jeri sera, ed è la ragione per cui non ho risposto alla tua.

Ignoravo che il don Lavagetto fosse morto, e ne ho sentita vera pena.

Io lo vidi alcuni mesi fa, che già non istava bene, e, durante le sue peripezie

di questi ultimi anni, ho cercato di confortarlo, e anche di difenderlo fin dove si poteva.

Egli anzi mi scrisse una volta una lettera, perché la facessi vedere al S. Padre

Benedetto XV, e andai di fatto dal Papa, che di frequente mi chiedeva di lui,

e di lui parlava con affetto. Lo avrebbe anche fatto Monsignore,

ma il don Lavagetto non si accontentava, e più su il S. Padre non se la sentiva.

 Quella lettera che portai al Papa e con cui il don Lavagetto

si difendeva da certe accuse etc., il Papa non me la restituì più,

e fu allora che Benedetto XV mi pregò, quasi supplicando, di una delicata ambasciata

presso un Eminentissimo, e uscirono dal cuore rammaricato del Vicario di N. Signore

espressioni di tale dolore che mi fecero la più profonda impressione, e le ripetè,

mettendosi due volte la mano stesa sul petto e poi levandola in alto

con accoramento indicibile, che mi pare ancora di vederlo e sentirlo!

Si tratta di persone ancora viventi e di cose ancora troppo vive, ma, dopo la mia morte,

si troverà tutto nel mio diario.

 Pel povero arciprete don Lavagetto pregherò, come già me ne ricordai

stamattina nella Messa. Egli, in mezzo a difetti pur troppo innegabili, pur troppo,

fu però non solo un santo sacerdote, ma, in tempi difficili, ha saputo stare saldo

nello spirito, e nella vita secondo la tradizione delle più belle figure del clero genovese,

specialmente ajutando le vocazioni tardive, e avviando al Santuario

tanti poveri giovani di distinta pietà.

 Che Iddio lo coroni di gloria eterna!

 Ed ora, dacché mi dici di scriverti, se ritengo che tu possa servirmi in qualche cosa,

abuso della tua bontà e ti prego di un favore, di cui il Signore ti ricompenserà.

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 Non so se tu sai che il compianto arciprete don Lavagetto aveva un fratello

che fu la sua croce e tormento per tanti anni, e che più invecchiava

e più pareva diventare cattivo. Gli pagò il viaggio per l’America,

e poi ritornò, dopo avere sciupato il denaro datogli, e non rifiniva di chiedere denaro

e di leggergli la vita dicendo anche, come ripetè a me più e più volte,

che l’arciprete aveva la sua parte etc., insomma era la disperazione dell’arciprete

come delle sorelle per le brutte figure che faceva fare loro. Ti dico che era proprio

un cattivo soggetto, e tutti i parenti dell’arciprete potranno testimoniarlo,

che si sentirono ben sollevati quando io li ho liberati, - e l’arciprete e la sorella,

quando più d’una volta ho dovuto avvertirli che si rendeva impossibile ritenerlo,

erano sossopra per paura di vederselo capitare a casa.

 Perché l’arciprete mi pregò e supplicò che glielo volessi ritirare,

che avrebbe fatto qualunque cosa pur di levarselo davanti; che per ogni spesa di vitto

e vestito avrebbe pensato lui l’arciprete, che non pretendeva, potendolo mantenere del suo,

che venisse a carico della carità altrui: che del favore che gli facevo

egli se ne sarebbe ricordato etc.

 Basta, glie l’ho preso, e me lo fece anzi condurre lui ad Ameno, sul lago d’Orta,

dove la Contessa Agazzini mi lasciò la sua casa, e vi ho aperto una Casa di riposo

per i vecchi. È luogo bellissimo, tra Orta e Miasino, e il paese si chiama appunto Ameno,

per l’amenità del sito: vi sono ville di primarie famiglie torinesi.

 Ma non era ancora là che cominciò a fare impazzire quelle suore,

e a litigare con tutti pel suo brutto carattere. Benché avesse vitto distinto, vino buono etc.,

non era mai contento e, si può dire ci volesse una persona per lui solo. Stette là alcuni anni,

e, mentre io ero in America, morì, e morì bene, benché prima bestemmiasse come un turco,

e l’avesse tanto con suo fratello perché non gli mandava che poche lire all’anno,

onde a me toccava ancora, per evitare imprecazioni, passargli il tabacco

e dargli anche qualche soldarello.

 Ripeto: l’arciprete mi disse che non intendeva che suo fratello venisse a togliere

il pane ai miei orfanelli o ad altri vecchi ricoverati, e mostrò sempre intenzione

di ricordarsene. Io non ho carte, ma c’è il fatto,

e ritengo che quell’anima sia obbligata ex justitia. I parenti lo sanno quello che ho fatto,

e ci devono essere altri che sanno.

 Non conosco il sig.r arciprete di Busalla, che mi scrivi essere l’erede fiduciario,

ma tu favorisci parlargliene; conosco invece Mg.r Peagno,

da quando Monsignor Bandi di v. m. mi mandò a Crocefieschi,

quando c’era la popolazione in rivolta per don Gatti e per don Lecchi.

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 Se il defunto non avesse disposto per l’adempimento del suo obbligo,

è bene che essi sappiano che Don Orione non alzerà un dito: però, si sente in dovere

di far loro umilmente conoscere lo stato delle cose.

Essi prendano tutte quelle informazioni che è bene che prendano, e poi vedano in Domino.

 Io non voglio vorrei che quell’anima stesse a soffrire un minuto solo

per non avere adempito e, per parte mia, sono disposto a condonare tutto;

ma dopo che io ho fatto questo, basterà?

 A Mg.r Peagno come all’arciprete di Busalla porgi ogni mio ossequi,

e fa anche le mie scuse pel disturbo che devo dare loro.

 E tu prega per me sempre, che la Santa Madonna e la Divina Provvidenza mi assista!

 Tuo aff.mo


        Sac. Luigi Orione della Div. Prov.za

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