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[manca l’originale]


         Buenos Aires, 14 Dicembre 1935.

         Pequeno Cottolengo Argentino

         Calle Carlos Pellegrini, 1441


 Gentilissimo signor Preside, [Gardini]


 Veramente se non fosse troppa la libertà, le direi anche amico:

Le dirò benefattore: questa è la verità e non è dir troppo.

 Ecco, vengo a lei, caro signor preside, per dirle, ancora una volta,

in queste sante feste del Natale e di capo d’Anno la gratitudine grande

che il mio cuore di sacerdote, di italiano e di beneficato sente per lei

e verso l’On.le Consulta della Provincia.

 Porgo i miei migliori auguri di ogni bene, e formulo anche per le persone

a loro care e per la Provincia fervidi voti di prosperità.

 Fui tanto lieto quando ho saputo che ella, sig. preside andò a visitare

quelle povere creature di Paverano e della sua soddisfazione;

e sono poi rimasto commosso per la somma che, su proposta di lei, la provincia

ha stanziato per aiutarci a rinnovare la cucina di quell’Istituto che tanto ne bisognava.

 Oh come vorrei poter aiutare anch’io di qui! Ma, per evidenti ragioni,

non mi è possibile, e anche perché qui i ricoverati mi si vanno moltiplicando,

e provengono anche da punti lontani dell’Argentina; - perché non esiste altra istituzione

del genere del Cottolengo - e sono casi quotidiani pietosissimi, veri rottami delle società,

rifiutati da tutti: di nazionalità diverse, di diverse religioni e anche senza alcuna religione;

ma Dio è il Padre di tutti!

 Ora poi ho i muratori in quattro Istituti diversi, perché i locali

non sono mai sufficienti. Le dirò che sono sempre senza soldi, benché ne riceva

anche da protestanti e da ebrei; non ho mai soldi ma non ho neanche debiti,

perché la Divina Provvidenza manda, giorno per giorno, il necessario:

e se i poveri crescono, manda di più.

 Caro signor comm.re, le confesso che certe sere, quando ripenso

a quello che è successo durante la giornata, ai poveri che ho potuto ricevere,

ai pagamenti che ho potuto fare, mi viene da piangere di consolazione,

perché mi pare di toccare con le mie mani la Divina Provvidenza.

Oh quanto è mai buono il Signore, che, malgrado io sia tanto indegno, mi assiste così!

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 Questa è città cosmopolita: ho anche italiani, e credo siano quasi, i miei ricoverati,

una metà: vecchie, uomini inabili al lavoro, parecchi che già ebbero a fare in Italia

o qui con la Giustizia, altri cronici, paralitici, ciechi, fanciulli orfani o lasciati così:

spero poter fare di più: ora si alzano quattro nuovi padiglioni; ma se Dio mi darà vita,

farò di più. E quello che non potrò far io lo faranno i miei preti, che grazie a Dio,

sono buoni sacerdoti, facchini di Dio e dei poveri, e buoni italiani.

 Anche le Missionarie della Carità, cioè le suore, mi aiutano molto,

non so come farei senza di loro. È tutta grazia del Signore!

 Ecco, Signor Preside, oggi ho passato la mia ricreazione con lei a farle perdere

un po’ del suo tempo prezioso, ma ogni tanto ci vuole pur un po’ di sollievo:

riposano anche le macchine!

 So la sua bontà verso la nostra istituzione, e non le farà dispiacere sapere

che con l’aiuto di Dio, anche qui e nelle altre parti del Sud America

la Piccola Opera della Divina Provvidenza fa dei passi, tutta consacrata al sollievo

dei miseri.

 A lei, ai suoi colleghi, alla sua distinta famiglia prego la più ampia

consolante benedizione di Santo Natale, e mando dev.mi ossequi.

 Dio la benedica.

 Suo obbl.mo


          Don Orione  d. D. Pr.

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