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[manca l’originale]


         Roma li 23 Febbraio 1933  a. XI

         (mattino)


 Mio caro Riccardo, [Moretti ?]


 Vengo dall’altare, dove ti ho particolarmente ricordato, e mi sono raccolto

a riflettere sul discorso che mi hai tenuto jeri sera, in macchina, e su la tua domanda finale,

per cui sai che ho preso tempo a pregarci e a pensarvi su.

 Ecco, caro e diletto Riccardo, vengo nel Signore e con fraterna amicizia,

e tu scusami la grande libertà che mi prendo.

 Vedi, far delle opere grate, a Dio e di bene al prossimo, - specie se sono congiunti

o compatrioti, - è cosa doverosa dolce e bella assai, e il nostro spirito se ne sente nobilitato

e ingrandito.

 E l’amore del prossimo, mio caro Riccardo, è poi sempre il più sicuro segno

dell’amore verace di Dio.

 Però, dacché ti sei rivolto all’amico, e l’amico è anche sacerdote -

per quanto indegno, - ti dirò che, anche nell’operare il bene, ci vuole discrezione

e molto tratto, specie quando la mano di Dio ci colloca in un posto di amministrazione,

di responsabilità e di governo.

 La discrezione è un lume del Signore, e bisogna chiederlo allo Spirito Santo

con umile vocazione e fede.

 La discrezione ci tiene lontani da ogni eccesso negli atti,

non ci lascia trascorrere nel pudore, e pur ci ferma sulla bocca qualche espressione

che potrebb’essere come una goccia cocente - anche se detta secondo verità e fine di bene.

 Ma anche la specie del bene e dell’ottimo talora può ingannarci o portarci

a trascendere, ad uscire dai limiti della buona prudenza.

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 La discrezione è fiore di virtù cristiana, che ci conduce a giudicare

sempre in favore degli altri, finché non abbiamo l’evidenza del contrario; e,

anche quando abbiamo l’evidenza e le prove delle manchevolezze o malefatte altrui,

dà il senso della moderazione nel parlarne.

 Dirò di più; ci pone alle labbra come un suggello, magari ad tempus, per cui,

pur essendovi a conoscenza di certe cose, si tace; e, per tacere, magari ci si soffre, -

se ne parla poi, con tocco delicato, a tempo e luogo.

 E allora, caro Riccardo mio, si arriva ad ottenere più che se si fosse parlato subito,

più che se si fosse subito agito.

 La discrezione nel bene è anche segno di fortezza su di noi, come comprendi.

 Un difetto nel nostro tempo è l’impazienza e la fretta, e un po’ anche

il prurito di riforma.

 Guardiamoci, caro amico, dalla soverchia fretta: molto sa un uomo che sa aspettare.

 Io ebbi, a guida di spirito, un servo di Dio che era solito dirmi -

dato il mio temperamento piuttosto pronto - che la stessa virtù della prudenza,

come pure quella della carità, talora - specie nel primo tempo che uno sale

a qualche carica - sta più nel non fare che nel fare.

 Parrebbe un paradosso, caro Riccardo, non è vero? Eppure........

 Ciò che facciamo, facciamolo senza fretta, senza ansietà, e, direi anche,

senza volontà troppo rigida e inflessibile, se non di rado.

 Riccardo mio, giunto al posto dove sei, avrai certamente degli invidiosi:

il potere crea avversari e ostilità sorde: avrai chi ti guarderà con l’occhio sinistro,

pur facendoti inchini e scappellate.

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 Evita la fretta, evita di voler far subito tutto, - ché, pur con la migliore buona volontà,

potresti prendere qualche cantonata e prestarti, involontariamente, al giuoco di chi,

non avendo semplicità di cuore, è sempre pronto a mettere in mala vista e a demolire.

 La tua fede è ottima cosa, la tua rettitudine pure, la competenza anche,

ma non bastano ora a te, Riccardo carissimo: unisci anche grande calma e pacatezza,

molto occhio si, ma anche molta pazienza: vedere tutto e tacere, tacere, tacere!

 Mi perdonerai vero non è vero?

 È l’amico che ti parla, e con un amore alto che non è terreno!

 Anche per quell’Istituto Simonetti non avere fretta.

 Ti confesserò che l’ho fatto di proposito a temporeggiare, avanti di farti avere statuti

e regolamenti, e solo ho telegrafato che li mandassero, quando ho temuto di dover partire.

Va adagio anche in quello; la cosa di parrà strana ora, - ma giorno verrà che dirai:

quel povero prete, dalla testa già bianca, non aveva torto!

 E così, dal momento che sono in vena di fare una predica permettimi, caro Riccardo,

di dire ancora una parola sulla tua situazione.

 Io sento che tu non puoi stare con dei debiti:

Don Orione con le opere di carità ci può stare, tu no.

 Il Signore suole spesso somministrarci delle occasioni di aspettazione e di prova.

 E il sacrificio, col quale aspettiamo il tempo e il momento del Signore,

e ci abbandoniamo alle ammirande disposizioni della Sua Provvidenza,

vale molto agli occhi Suoi: - è una preparazione al tempo della letizia, la cui ora suona,

di sovente, improvvisa.

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 Ma, se Iddio ti offrisse modo di poter spegnere le passività, è bene che tu lo faccia: -

e anche da parte tua, non aspettare tutto da Dio, ma adoprati. Aiutati che Dio ti aiuta!

 E, così, attento che il nuovo edificio non ti faccia trascurare la clinica,

che dà pane alla tua casa; vedi, anzi di poterla mettere in maggior efficienza,

e di curarla molto, molto.

 Perdona, caro Riccardo, 'sta filastrocca, e Iddio ti conforti di molte benedizioni,

anche per la pazienza che hai avuto di leggermi. Quando è il cuore che parla,

sai che non si finirebbe più.

 Permetti di abbracciarti in osculo sancto, ed abbimi oggi domani,

sempre per l’amico forte dell’anima tua e della tua Casa.

 In X.sto, paternamente tuo,


        Sac. Orione della Divina Provvidenza

¨