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[incompleta]
[minuta di 1 foglio non digitata (l’argomento non è attinente alla lettera)]
Tortona, 3 Dic. 1917
Nobilissima signora, [Celesia?]
Al ritorno da Como, ho trovato la sua gradita lettera del 28 corr.,
che
mi ha colmato di conforto, perché prop
sento che questa è l’ora
in
cui dobbiamo dire alla Patria: eccoci qui pronti per quello che si
è siamo
e
per quello che si deve dobbiamo
essere.
Ho condotto a Como una buona figliola di vent’anni, ma per serietà
assai più matura,
e di molta buona volontà, - che sarà come una bambina nella mani delle sig.re Cavallini.
Esse stesse la riconobbero
subito che avevano fatto un buon acquisto,
e se
ne mostrarono as contente.
I quattro genovesi, con la loro esuberanza di vita, spaventarono forse
un po’ le Cavallini, che ancora non conoscono il carattere genovese: franco, forte,
e
un po’ indomito, ma laborioso.
Insistevano di averli un po’ grandicelli, e li portai dell’età che lei ha visto, -
anche per non farne un asilo: tutti però fanno I elem., ma non credo affatto
che qualcuno sia tonto, come esse pensano, è piuttosto che furono poco curati.
E poi, si sa: i genovesi poveri, se non sono nell’acqua,
sono generalmente sulla strada, data la ristrettezza e l’altezza delle abitazioni.
Uno degli orfani fa già la VI, così potrà servire a fare qualche commissione,
e
non c’è più l’obbligo dell’insegnamento, e subito
potrebbe o finire la VI
o fare subito qualche cosa col giardiniere. Si vedrà.
Io ritornerò presto a Como e per definire la vertenza Regazzoni
e per intendermi per gli orfani dei contadini. Anch’io preferisco gli orfani dei contadini
e
per molte buone ragioni vorrei e
prenderli poterli avere da quella Associazione
nazionale
che
già non si è proposto di dare un’educazione religiosa, così
noi glie la daremo,
e sarà gran bene
Ora
dunque lavoreraò per
avere orfani dei Comaschi
e possibilmente
i figli forse dei più grandi per quanto più ignorati eroi delle nostra guerra, degli agricoltori.
Sento
di avere con sopra di
me un gran luce, e Dio che mi guida.
Che
la S Sono partito da Como lasciando Io le lascia
molto confortate
le
ottime sig.re Cavallini per quanto io
talora io esprima
qualche veduta diversa,
pure
mi sento che esse sono
distintissime anime
elette, ed io e farò
quanto è in me
per ajutarle, per agevolare loro ogni pratica, per essere come il loro fratello di lavoro e,
dopo Dio, il loro più grande appoggio e conforto.
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Io
A Como ho parlato la
chiarissimamente accesamente alle Cavallini, ed esse,
non
anime alte e materne, [non]
esitarono un istante a darmi ragione
e a sentirsi una sola cosa con me e di spirito e di cuore.
Ma
ma Come si potrebbe lasciare
lasciar vuoto un locale già pronto,
mentre
la Patria chiama? con
tali grida di dolore e di sangue ??
e col nemico in casa?
Ma non sarà mai che mentre alla madre si strappano le figlie,
le provincie più belle e più sacre, bagnate dal sangue di tanti eroi,
noi
teniamo vuoto del un
locale già acquistato per gli orfani di guerra
e
lasciamo questi abbandonati a
sé e nell’oblio le più innocenti vittime della
guerra
di questo eccidio!
Io la ringrazio, signora, di quanto lei mi ha scritto la ringrazio come italiano
e come sacerdote, e mille volte la benedico a nome dei vivi e dei morti
degli
dei nostri orfanelli.
Niente
lei farà di più caro
al suo Paolo che di vedere dal cielo quella casa
che
egli amò rip fatta la ripiena
di orfani dei nostri possibilmente
dei nostri contadini.
Anche
le Le sig.re Cavallini sono dunque d’accordo
con me:
noi siamo anche in questo un cuore ed un’anima sola, e non poteva essere diversamente.
¨