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         [Tortona, il] 7 Sett.bre [192]2

         Anime e Anime !


 Gentilissima e nobile sig.ra Carlotta Celesia,


 Ricevo la sua, la quale mi riesce gradita, poiché deve sempre essere gradito

il richiamo ai nostri doveri.

 In verità ho mancato a non scriverle, e prima e poi,

benché non mi sia mai passato lontanamente in animo di non farlo,

ed abbia anzi sempre desiderato e di scrivere e di venire, appena mi fosse possibile.

 Però è certo che mi trovo con una valanga di lavoro e di impegni,

per cui non posso, con dispiacere, determinare quando potrò venire,

e quanto tempo potrò dare alle pratiche per la costituzione in ente morale di codesta casa.

 Quando vidi qui suor Costanza mi pareva anzi d’aver capito da essa

che lei le abbia avesse detto, - durante la mia lontananza - «se non era il caso

di continuare ancora così», o sentimenti equivalenti; - Ella può interrogare la Costanza,

perché, o essa od io possiamo aver capito male, - come, infatti, ora evidentemente

risulta da questa sua lettera.

 Io però sarei venuto ugualmente, appena mi fosse dato.

 Ma ora, venendo alla sostanza della cosa, le dirò quanto io sento nell’animo,

molto sereno e tranquillo.

 Grazie a Dio «non ho attacco ai mattoni», come chiaramente ricordo

averle dichiarato in quel giorno che ci trovammo a Milano dal notajo,

quando si decise a chi intestare codesta casa paterna: non ho attacco ai mattoni

né corro dietro alle rendite.

 Sospiro della mia vita è di poter far umilmente un po’ di bene,

e il maggior bene a tutti, ma specialmente ai poveri agli orfanelli e ai derelitti.

 Però ho bisogno ed ho sete di libertà: libertà di governo interno,

e di amministrazione, e libertà di dare sviluppo alle opere, e di poterle mantenere

secondo lo spirito di fondazione, e col loro indirizzo cristiano e italiano,

senza restrizioni e senza reticenze, senza pastoje.

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 Resto o vado solo là dove ho questa santa libertà, che reputo necessaria

ad educare all’onesto vivere cristiano e civile i fanciulli che la Divina Provvidenza

mi va affidando; questa libertà per me, è vita! - Ricorderà che,

anche né quando ci incontrammo a Milano né poi, non le ho mai chiesto altro.

 Sia l’Istituto eretto in ente morale o non sia, a me poco fa:

io non cerco roba o denaro, cerco anime. Non ho i pregiudizî che altri ha:

datemi la libertà di educare e la possibilità di dare una pane onorato in mano agli orfani

e di farne degli onesti cittadini, degli operai che amino il Paese e ne siano figli degni,

ed io mi sbrigo di molte opinioni viete, anzi me ne sono già sfasciato da anni.

 Si capisce che non voglio facci raggi ai piedi per lo sviluppo dell’Istituzione

e per farla fiorire, e che chi amministra non dovrà venire a tagliare la fetta di polenta

in mano, non dovrà far soffrire né rendere anemica o angosciata la vita:

allora non si vive più!

 Ove e quando questa santa libertà non ci fosse, o non fosse piena,

liberamente data, meglio venir via subito; o noi, anche in avvenire,

lo dico già che partiremmo silenziosamente, se poi ci venisse a mancare,

lieti di avere modestamente cooperato all’inizio di ad iniziare un’opera buona.

 Ora, nobilissima sig.ra, veda lei, - e se ritiene,

o per la mia mancanza di tempo ora a venire, o per qualunque altra ragione,

che noi non facciamo facessimo per codesta casa paterna, non tema di dispiacermi:

io non intendo di imbarazzare nessun’opera buona: faccia nel Signore e con ogni libertà:

altri semina e altri miete: basta che il bene si faccia, e si faccia il meglio che si può!

 Ella mi significhi, se e quando devo ritirare le suore, e tutto è fatto,

ed io sarò lieto ogni qualvolta sentirò che la casa paterna, che prende nome dal suo Paolo,

va prosperando e raggiungendo il suo scopo, sia essa in mano di questi o di quelli:

basta che il bene si faccia!

 Voglia gradire ogni mio ossequio e la benedizione che di gran cuore le prego da Dio.

 Suo dev.mo servitore in X.sto.


         Sac. Orione  della Div. Provv.za

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          10 Sett.bre


 Sin qui ho scritto il 7 sett.bre, poi dovetti assentarmi e riprendo la lettera oggi,

e concluderò.

 Penso che coll’ajuto di Dio la casa paterna Paolo Celesia,

se mi si desse libertà di fare, avrebbe vita ben più fiorente,

e a bene di un numero maggiore di poveri orfanelli.

 Ma si è data un’impronta troppo personale a codesta casa, e [strappato]

nobile signora, io nulla ho cercato, e sono pronto a dare per codesta casa tutto quel tempo

e le cure che potrò, ma, se per la mia impossibilità di venire e per qualunque altra ragione

ella ritenesse che la sua casa paterna avesse a soffrirne, - sono io primo a pregarla

che non tema affatto di dispiacermi, rivolgendosi ad altre Congregazioni o enti locali.

 Non intendo danneggiare nessuno e tanto meno istituzioni pie,

o tenere in ansietà il suo spirito: non devo e non voglio ess[strappato]

 Io sono anzi in dubbio se debba dare corso alla presente, ma non perché

senta di non avere detta la verità, ma perché penso se non era meglio ritirarci,

come si ritirarono già le Cavallini.

 Ma Iddio, che forse mi chiederebbe conto d’un silenzio

che potrebbe essere colpevole, perché troppo a lungo serbato, e perché dannoso

ad una buona Istituzione, - Iddio - (ed io Lo supplico) la vorrà sostenere

e confortare pel dolore che a lei, signora, può venire da queste mie libere parole,

e le farà comprendere che solo mi esprimo così a fine di un più alto bene.

 Nobile signora Celesia, ella sa bene che io nulla ho cercato, ma fui cercato:

nulla cerco oggi, eccetto che quella libertà che è necessità di vita o di morte

per la casa paterna.

 Come prima e così ora sono pronto a dare per la casa del Paolo

e degli orfani di Como tutto quel cuore, quel tempo e quelle cure che potrò,

con l’ajuto del Signore; ma, quando ella ritenga che per me,

per le mie svariate occupazioni o per qualunque altro suo motivo,

la casa paterna avesse a soffrirne, - io pel primo vengo a pregarla, signora Celesia,

di rivolgersi liberamente ad altri, e di dare al suo Istituto quella Congregazione

o quella fusione con altri enti locali che più ritiene opportuno.

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 Non voglio danneggiare nessuno, e tanto meno recare danno

ad una pietosa istituzione, né tenere in perplessità il suo animo:

non devo e non voglio essere di imbarazzo ad alcuno: è tanto grande il mondo!

 Sta scritto che «altri semina e altri miete» - sono lieto d’aver seminato

insieme con lei, e nell’ora prima, almeno un po’ di buona volontà, e Deo gratias!

 Anche la mia missione costì sia finita, basta che il bene si faccia!

 Io formulo i migliori voti per la prosperità della casa paterna,

e gioirò di ogni suo progresso.

 Ella voglia significarmi quando dovrò ritirare codeste povere figlie,

e resteremo buoni amici, poiché nulla varrà, spero, a diminuire in noi

la unione dello spirito nella carità del Signore.

 Voglia gradire, nobile sig.ra Celesia, ogni mio devoto ossequio,

e la benedizione che invoco da Dio su di lei, sui suoi figli e sulla casa paterna del Paolo

e degli orfani.

 Suo umile e dev.mo servitore in X.sto e Maria SS.


       Sac. Orione Luigi  della Div. Provvidenza


 Ritengo anch’io che si debba addivenire ad una definitiva sistemazione,

e poiché, per l’esperienza di più anni vedo che senza libertà di azione

non potrei dare sviluppo all’Istituzione che mi si vuole affidare,

reputo opportuno ritirare le suore, lasciando alla signoria vostra

di poter disporre come meglio crede all’avvenire della sua fondazione.

 D’altra parte, non mi pare onorifico né per il nome del Paolo

né per la rispettabilità di casa Celesia che l’opera debba rimanersene così rachitica,

limitata com’è ad un numero esiguo di orfani.


 P. S.  Non faccio una raccomandata, perché è domenica e non si può;

la invio per espresso.

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