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 [+]       Anime e Anime !

        Tortona, 14 Aprile Giovedì Santo 1927


 Nobile signora, [Maria Castiglioni ved. Benvenuti]


 La pace di n. signore Gesù Cristo sia sempre con la sig.ria vostra!

 Rispondo, con involontario ritardo, alla sua lettera del 9 corr.

 Come le devo aver accennato jeri, nel saluto che le ho inviato

dall’Eremo di S. Alberto, mi pareva doveroso non passare sui piedi

dell’Arcivescovo di Modena, senza fargli breve visita.

 Bisogna che ella sappia che egli si è degnato venire a fare il suo primo Pontificale,

subito dopo la sua consacrazione ad Arcivescovo di Modena,

nella nostra chiesa parrocchiale di Ognissanti in Roma.

 E per un nuovo Arcivescovo (che era stato Generale del suo Ordine),

il venire da noi poveretti, prima che in una chiesa del suo stesso Ordine,

non mi è mai parso poca cosa.

 Io non lo avevo ancora visitato a Modena e avevo, oltreché obbligo,

altre ragioni di doverlo vedere e di informare informarlo sullo sviluppo

che intenderei dare all’ a codesto Istituto, e di sentirne il suo parere.

 E ne rimasi soddisfatto assai; - come pure penso sia rimasto bene lui.

 Avevo poi davanti una notte, ed era naturale che la venissi a passare a Magreta, per

celebrare la mattina nella cappella di codesto caro Istituto. Così ho potuto vedere, sia pur

brevemente, suore e bambini. Certo avrei preferito trovarvi anche la signoria vostra,

ma non ho lasciato di averla presente nella S. Messa, e, dopo il S. sacrificio,

insieme con le suore ho pregato pe’ suoi cari.

 Non fermarmi, perché non c’era la signoria vostra, le avrei fatto troppo torto;

mentre poi, come ella sa, la mia vita è tale ruota travolgente che non avrei potuto,

e non lo potrei neanche oggi, fissare un giorno relativamente vicino per venire.

Devo prendere tempo e circostanze come Dio me le manda, e chi segue il mio lavoro

deve saper comprendere e compatire.

 Pensi che, dopo Magreta, sono già stato, col divino ajuto, due volte in Alessandria,

un giorno al Collegio S. Giorgio di Novi, poi ad Arquata e tornai qui. Poi fui

un giorno a Genova, un altro a Barolo (Alba), una mezza giornata al Noviziato di Bra,

altra alla Colonia agricola di Cuneo, poi una giornata a Torino. Poi ancora a Genova,

e di nuovo a Torino. Indi in Val Staffora: a Bagnaria, Livelli, Val di Nizza e S. Alberto; -

ma, che cosa volete da me?

 Non so dove sarò domani, non so la mattina dove vado a sbattere la sera.

 L’aver potuto fare una visita, sia pur fuggevole a codesti piccoli,

m’è stato di grande conforto e di gioja, e sono venuto a visitare non solo i vivi, ma,

con la preghiera, ho visitato anche i suoi morti.

 Non se ne mortifichi dunque, ché non ce ne è affatto ragione; e rifletta

che è sempre stato meglio venire così, che poi non avessi per più tempo potuto passare.

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Per parte mia sento che è stato un bene per tutti, anche la signoria vostra,

benché assente. - Non lascerò però di venire, appena mi sia dato, ed ella ci si trovi.

 E passo ad altro.

 Quella che la signoria vostra vede di nero e nel personale e nello andamento

dell’Istituto, io, a dir il vero, non ce l’ho veduto, forse pel troppo breve tempo

che ho potuto fermarmi, o non lo vedo così nero.

 Che vi siano manchevolezze, deficienze e difetti da togliere,

e nell’andamento della Casa e nel personale addetto, oh, Dio mio! e chi non lo sa?

 E ce ne saranno sempre, perché il bene è nemico dell’ottimo,

e l’ottimo e il perfetto raramente si ottiene, su questa terra.

 Forse che noi stessi non abbiamo difetti da correggere?

 Hanno loro difetti le persone più perfette, più sante, - e pretenderemo

che non ne abbiano le istituzioni?

E Ma poi c’è pure tanto di buono in codesto suo Istituto!

 La lettera che ella scrive non mi pare la lettera di un’anima che esca

da due corsi di Esecizî Sp.li, e lo spirito che in essa vi domina non è da Dio.

Perdoni la libertà.

Stia dunque attenta, ottima signora, benefattrice mia e de’ miei bambini.

 Stia vigilante sopra di sé, ché, tutto ciò che la inquieta e la mette in orgasmo, ciò che

altera la fantasia o turba il sereno dello spirito, - non è spirito del Signore mai, mai, mai.

 Sovente è amor proprio, quell’amor proprio che si maschera tanto bene a zelo,

a cose ottime, perfette, - che ragiona così sottilmente e che sofistica anche e trascorre

nel giudicare persone e cose, e travolge, e giustifica ai nostri occhi i nostri atteggiamenti

così piccoli, così gretti, per non dire, talora così ingiusti!

 Guardiamoci sempre, ottima anima, figlia di Dio, da ogni antipatia alle cose,

alle persone e fino agli abiti, perché l’antipatia è sempre difetto e ci ruba la dolcezza

del cuore, e ci fa star male, e di malo umore, e fa male pure agli altri, - sì, anche agli altri,

perché ci allontana i cuori e diminuisce in noi la santa carità di Gesù Cristo

e le forze spirituali. Oh l’esempio della carità di nostro Signore, che visse con uomini

tanto rozzi e imperfetti!

 Ed ora passo alla sua entrata fra le Domenicane.

 Se il rev.mo P. Celebrini trova che ella è da Dio chiamata a vita più perfetta,

e a quello stato di vita religiosa, non sarà mai Don Orione a dirle di no.

La sig.ria vostra troverà, certo, in Monastero ajuti maggiori e ambiente più spirituale.

 Del resto, se quella è volontà di Dio, - basta. Vuol dire che, se la signoria vostra, -

per qualunque motivo non potesse restare, - Ella può sempre tornare alla sua casa; -

e ogni Casa della Piccola Opera della Provvidenza disporrò che sia come sua casa.

 Chiedo però che, prima del suo ritiro tra le Domenicane,

si addivenga ad una sistemazione nostra, come da precedenti impegni.

 E ciò è bene e necessario sotto ogni riguardo, suo e nostro.

 La sig.ria vostra abbia quella annua e determinata pensione che la metta al sicuro,

e le consenta di poter vivere dignitosamente, anche fuori di Magreta, qualora,

non potendo o volendo rimanere tra le Domenicane, decidesse di stabilirsi a Sanremo

o altrove.

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 E a noi sia data la possibilità di poter sviluppare, col divino ajuto,

l’istituzione di Magreta, - sì che i bambini del modenese non abbiano ad essere avulsi

dalla loro terra, né allontanati dai loro morti e dalla Casa benefica che li accolse da piccoli,

ma possano completare la loro educazione morale e agricola su codesti fondi.

 Quanto al fabbricare non so poi dove la signoria v. andrebbe a sbattere. Certo

ho grande timore che ella, se io le do quel capitale, finisca di non avere più

neanche quel reddito di L. 6500, che ora ha da me, e che si sovraccarichi di debiti. E poi ?

L’interesse del capitale, che ho in deposito, non è molto, ma è pure qualche cosa.

Vada adagio. Ella senta in questo che le dico la mia preoccupazione pel suo avvenire,

non altro. Prima dunque di rimettersi a fabbricare di nuovo, e a questi tempi,

e dopo avere pregato e ben ponderata la sua situazione, riterrei, tanto nello interesse suo

che per l’avvenire dell’Istituto del Suffragio, che, prima, si mettano a posto le cose.

 La regolarità non fa mai danno né alle persone né alle istituzioni,

specialmente se nascenti.

 E stia pure tranquilla, nobile e benefica signora, che, quando sarà l’ora di Dio,

la mano della Divina Provvidenza fabbricherà in alto e in largo, e il suo piccolo Istituto

avrà un grande avvenire, perché ha cominciato con gli stracci e con bambini derelitti

e bisognosi di tutto: di essere lavati, spidocchiati, vestiti, sfamati; - e senza pose,

senza tanto rumore, - perché il rumore non fa bene e il bene non fa rumore.

E molte benedizioni verranno a lei e ai suoi morti!

 Ed ora passiamo al vestito di codeste martorelle. Ella avrà facilmente e, certo,

prima d’ora compreso, nella sua bontà intelligente e senso delle cose spirituali, che,

quello che può parere cosa tanto seria ed essere motivo di scandalo

per «buone e pie Signore», come ella scrive, per qualcun altro, invece, è cosa sorpassata; -

e ciò senza voler dire di più, né giudicare o mancare di riguardo a chicchessia; ma

per esperienze di vita e riflessioni che attingono non al «giudizio umano che spess’erra» come dice Dante [Ariosto], ma a criterî che trascendono, tenendo lo sguardo in alto,

più in alto, mi pare.

 E finirò. - Ella, nobile signora, chiude la sua desolante lettera dicendomi

che «il Suo avvilimento è al colmo». Ciò mi fa pena. Ma perché? Perché il suo Istituto

si avvia ad essere insufficiente pel cresciuto numero dei bambini? Ma questo dovrebbe

esserle motivo di consolazione! - O forse perché i piccoli ricoverati fanno rumore?

Ma era da aspettarselo! Del resto, ella dia un appezzamento di terreno attiguo,

e stia certa che, in poche settimane, essi ne faranno un cortile, un’aja e il disturbo

sarà tosto diminuito.

 Forse che le suore non li tengono puliti?

o non dimostrano sufficiente spirito di lavoro, di sacrificio?

Voglia segnalarmi casi concreti, e prenderò le dovute disposizioni.

 E ogni altra osservazione che la signoria vostra vorrà farmi, la assicuro

che mi tornerà sempre gradita.

 Tutti siamo impegnati perché l’Istituto raggiunga il suo scopo di carità,

e di assistenza materna dell’infanzia, un’assistenza che abbia un’anima,

un soffio educatore di vita cristiana e civile.

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 Ma, anche questo soffio, questo lavorìo di anime, va ispirato e svolto

con grande discrezione, se no, concluderemo nulla; ma avvereremo il proverbio che dice:

chi troppo, e troppo presto vuole, nulla stringe.

 Bisognerà tenere presente la capacità a ricevere, le disposizioni morali e fisiche:

la qualità dei fanciulli, le famiglie da cui provengono, la loro età etc., e non esigere da essi

né dalle suore, se non ciò che è ragionevole, e con molta discrezione e tatto.

 Ciò che cresce troppo presto, presto muore, - così è delle zucche.

Noi dobbiamo edificare Cristo, ma saviamente, non con mano agitata,

non con turbine di spirito, no!

 Noi dobbiamo arare nei piccoli cuori e crescervi la virtù, il senso della bontà,

della onestà, della rettitudine, della temperanza, del lavoro,

e un profondo e sentito amore alla famiglia, alla Patria, - ma con mano molto delicata.

 E, quando non corrispondono, non avvilirci; - e, quando le cose non vanno

come noi vorremmo che andassero, non avvilirci mai, mai!

 L’avvilimento non è mai buona cosa, non è mai buon consigliere,

né mai procede da Dio, né mai porta a Dio, né è fonte di bene.

Se ne guardi! Se ne guardi!

 L’anima, che vuole vivere di Gesù, deve bandire ogni tristezza;

«santo triste, tristo santo» diceva San Francesco di Sales. - Quando siamo di malo

di cattivo umore, siamo cattivi, e tutto ci riesce molesto; ed il demonio, che insinua

la tristezza sotto l’aspetto di pietà, di ordine, di disciplina, di retto andamento etc., -

tende i suoi lacci.

È gran danno avvilirci per i nostri difetti e per i difetti degli altri.

 Umiliamoci, e poi sì, ma non avviliamoci mai!

 Viviamo, invece, pieni di filiale confidenza nella bontà del Signore.

 Non c’è nulla, o distinta mia benefattrice, di più caro al Signore che l’umile fiducia

e confidenza in lui.

 Questa confidenza è il miglior modo di onorare il Signore!

 Le nostre debolezze, le nostre stesse colpe, non ci devono avvilire mai.

I difetti che riscontriamo anche in persone religiose o negli Istituti di carità, di educazione -

non ci devono né sgomentare né, tampoco, meravigliare.

 Dobbiamo umiliarci a Dio pei nostri difetti, e avere un grande manto di carità

per coprire i difetti altrui.

 E ricordarci che non è con le escandescenze che si ama Dio e il prossimo,

e che si raddrizzano le gambe che vanno storte. No, no, per carità!

 Anche verso di noi stessi dobbiamo avere molta pazienza, e non pretendere

di diventare santi in un giorno, se San Francesco di Sales ci mise più di 20 anni

per moderarsi nel suo carattere un po’ pronto. Dunque, ripeto,

non ci perdiamo mai di coraggio in Domino, ma consideriamoci nelle nostre debolezze

come i trofei della misericordia e gloria di Gesù crocifisso.

 È in Gesù che dobbiamo confidare! le anime e le istituzioni che umilmente

confidano in Dio, esse ed esse sole non periranno ma progrediranno

e faranno del vero bene.

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 La metto nelle mani della SS. Vergine Addolorata, che è la nostra santa Madre,

e qual Madre!

 Coraggio, e avanti nel Signore! - La conforto molto ad amare e a servire Iddio

e codesti piccoli del Signore e la benedico con le suore e i bambini. -

Gesù porti la sua pace e benedizione pasquale a lei e all’Istituto. -

Buona e santa Pasqua a tutti!

 Tanti auguri anche al sig.r arciprete.

 Pregate tutti per me povero peccatore.

 Dev.mo servitore in G. Cr, e nella santa Madonna


         Sac. Luigi Orione  della Div. Provv.


 P. S.  Adesso che Le ho scritto sto volume di lettera, se ne stia lieta in Domino

e per un po’ di tempo mi lasci tranquillo.

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