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[su lettera di Santino Remotti del 6 luglio 1920]
Tort. 7 luglio 1920
Egregie Signore,
Oggi
Jeri il Santino, dopo
avere scritta la presente,
mi disse che intendeva andare a casa.
Gli feci osservare che già gli avevo dato, dopo che è qui, una domenica di permesso,
e che non vedevo ora la ragione di lasciarlo andare di nuovo a casa.
Che, giungendo da loro una risposta alla sua presente lettera, avrei deciso;
che se, intanto, voleva cambiare arte e fare il calzolajo, lo avrei cambiato, ma che,
tenerlo qui a fare nulla, (poiché si era rifiutato di continuare in tipografia
finché giungesse la risposta) non potevo concederlo; del resto poteva fare anche
non il tipografo, ma il librajo o il legatore.
Egli si rifiutò, e persistette di volere andare a casa.
Allora gli feci seriamente riflettere il grave passo che egli faceva,
ricordandogli che mi metteva, per ragioni evidenti di disciplina,
nella spiacevole necessità di non poterlo più riprendere.
Si ammutinò, e, dopo qualche tempo, venne ad insistere
che voleva andarsene subito da sua madre.
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Ancora gli parlai molto paternamente, avvertendolo che poi alla fine
era da circa dieci giorni che mi faceva disperare, andando in giardino per frutta,
e non trovandosi quasi mai a suo posto, - che, se davvero insisteva, non lo avrei più preso,
e quella carità che ero disposto a fare per lui, sarebbe passata ad altro più meritevole.
Volle partire.
Con dolore avverto le signorie loro che il Remotti resta escluso
per sempre da questa casa.
Tengo qui le loro L. 100: oggi devo partire per visitare gli Istituti di Venezia,
ma pel 24 corr. sarò di ritorno, e saranno loro ritornate.
Il Santino non concluderà mai nulla, perché è troppo viziato dalla famiglia,
e specialmente dalla mamma.
Con ossequio
Dev.mo in X.sto
Sac. Orione d. D. P.
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