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[l’azzurro corsivo è grafia di altri]


+        Instaurare omnia in Christo!

         Convitto Vescovile S. Romolo ecc

         Sanremo 17 Agosto 1904


 Mio buon padre nel Signore,


 ho ricevuto solamente ieri tardi qui a Sanremo,

dove sono venuto da vari giorni per i s. voti di alcuni chierici un chierico

la lettera che mi avete scritto dai piedi della nostra cara madre la Madonna di Oropa,

e l’ho messa ai piedi della Madonna della Divina Provvidenza che veneriamo qui.

E dopo essermi anch’io posto ai piedi di questa nostra madre misericordiosissima

ed avervi deposta un’ondata d’immensa tristezza, sento di dovervi subito

anche poche righe, dacché in questo momento non so se potrò scrivere tanto e tutto.

 Ringrazio e benedico Iddio misericordiosissimo e voi, mio buon padre,

della lettera che mi avete scritto e, col divino aiuto, ve ne sarò riconoscentissimo sempre

e sempre. - Confesso che non ho capito in alcuni punti la scrittura,

né ho potuto leggerla tutta, ma ci ho capito tanto lo stesso,

e bacio le mani che hanno scritto e supplico a continuare a pregare per l’anima mia,

e vi prego ripeto d’inginocchio che, abbandonato nelle mani di Dio,

non ebbi altra volontà e desiderio che di non venire meno alla santa vocazione

che voi avete benedetta e approvata, e di essere sempre cane fedele.

 Che se l’Opera della Divina Provvidenza di natura sua non può essere attaccata

al mattone, non sarà mai e poi mai che un pezzo di mattone sia causa divisionale

o semplicemente di disgusto tra voi, o mio buon padre, ed essa -

comunque disponga Iddio il mattone, in piedi o lungo per terra - non sarà mai una barriera,

ma sempre solamente per me e per l’opera un gradino per montarvi su e salire più in alto.

Per grazia di Gesù sento che e la mia fede e il mio cuore non è nel mattone

né in alcuna cosa di questo mondo, ma in Dio soltanto e nella sua santa chiesa

e in voi mio Vescovo e padre. Né manco ho dubitato con quella lettera che fossi per darvi

il più lontano dispiacere, mentre esprimeva la mia rassegnazione e fede in voi, -

e tanto meno volli «essere uomo poco riconoscente e che quasi si compiace di mettere in impaccio il proprio Vescovo» parole queste le più amare, e davanti alle quali

per il cuore di un povero figlio ogni dolore fisico, voi potete ben capire,

che sarebbe stata minore amarezza, - e ringrazio Dio della grazia che mi dà

che io le prendo tra le mie mani e le bacio in nome suo e vostro,

e me ne saturo in Domino sento in questa amarezza un amore senza fine verso voi

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e la celeste dolcezza della carità sovrumana del Signore nostro

e della sua vicinanza a me suo indegno servitore e una calma inesprimibilmente

dolce dell’anima riposante nella Divina bontà e provvidenza di lui. Che se è permesso

e molte volte doveroso per un figlio dare al padre ragione di sè spiegazione di sé,

per togliergli o attenuargli un dispiacere, vi dirò che mai ho inteso richiedere

la vostra firma o una vera cessione pratica perpetua della Casa Oblatizia.

 No, no, mio buon padre, mai una vera cessione perpetua presa così in umano

e legale senso - no, ma una cosa grande e in Domino, in Domino, in Domino -

 Se volete un decreto o un’altra forma ancora più solenne, se si può trovare,

e che sia grande di fede e di carità e di provvidenza, in cui diate e consacriate

la Casa perpetuamente alla Divina Provvidenza - Voi, o mio buon padre,

passeremo e siamo già mezzo passati; ma la Divina Provvidenza non passa

e ci potrà stare perpetuamente - E la Casa affidatela a noi poveri figli

della Divina Provvidenza e durante il vostro episcopato ecc.

 Ho firmato io i patti che avete fatto voi, per vincolare io stesso me ed i miei,

poiché di noi dobbiamo temere e tremare e non di voi - domandare la vostra firma

l’avrei stimato oltraggioso alla vostra parola e dignità. Che anche voi di per voi

ne aveste fatte cento firme, capirete che se vi sapessi pentito, subito ve le porterei

in ginocchio - Né mai e poi mai ho richiesto una vera cessione perpetua della Casa,

come scrivete.

 No, no, caro padre, è questo che - né per breve né per molto ho supplicato che fosse,

anche la Casa fosse d’oro - Certo per le mie espressioni qui mi pare

che ci sia un grave equivoco poiché dalla risposta vostra appare evidente che questo è

che avete inteso.

 Il vostro episcopato, e come figli della Divina Provvidenza approvati da voi,

e che non abbiamo nessun desiderio di andare via dai vostri piedi. Dio è autore della vita

e ci ha fatti nascere, ma Dio non è autore della morte, e neanche voi segnateci i limiti!

 Si sa però che noi, e come individui e come Congregazione passiamo. Ebbene

finché passiamo in diocesi come Congregazione riconosciuta, affidatela a noi

perché facciamo un po’ di bene.

 Vedete, mio buon padre, che così non è che tutto praticamente dipenda

dalla Congregazione per se, ma dalla sua approvazione in diocesi, dalla sua esistenza

in diocesi. Che quando voi o i diocesani vostri non ci voleste più,

la Congregazione in diocesi cessa di esistere, poiché può sempre un Vescovo

con decreto annullare un altro decreto suo di approvazione.

 Che se la Congregazione sempre riconosciuta da Roma e voi

o i superiori non la poteste più sopprimere, - ma è tanto naturale che noi mai staremo

a lavorare in una vigna quando il padrone non lo creda opportuno: «è preferibile

che un’opera non si faccia, anziché farla all’infuori e contro la volontà del Vescovo»

quindi io vi farei una dichiarazione che in tale caso ci obblighiamo ad andarcene

ad ogni desiderio vostro o dei superiori successori. Ma dire questo sarà

anche darvi disgusto? Credo no, e vi prego che non sia!

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 Vedete mi sono espresso e ancora qui mi esprimo così per dichiarare

che io e tutti i miei staremo a Tortona o andremo finché a voi e ai vostri successori

piacerà che stiamo o andiamo: non volendo essere altro nelle mani dei Vescovi

e della s. chiesa che come una cera molle, una cosa da cui possiate ottenere

ciò che meglio vi piace: - e lo sanno i Vescovi dove ci sono Case, coi quali,

per divina grazia, non c’è stato mai e poi mai un urto solo.

 I diritti, che i patti e le cose pure mi danno talora, novantanove su cento,

è da un pezzo che uso considerarli come corruttori più o meno dell’umanità

intesa cristianamente, vere ipoteche sull’anima e fardelli e ceppi di trascinamento

nel nostro procedere verso il calvario e verso il Paradiso, - tanto che ogni giorno

prego nostro Signore, a farmi se così gli piace pellegrino della Divina Provvidenza

sulla terra, e che se mi vedesse in pericolo di farmi un nido, ponga per divina pietà

nel mio nido una spina che mi trattenga dal fermarmici.

 Ecco perché vi ho scritto che per me non l’ho bisogno e mi sarebbe d’imbroglio,

ma che fosse tutta una casa in Domino. Vedete se poteva pensare ad un dilemma!

Almeno se quella notte che ho scritto abbia messo giù nella forma un dilemma io non so,

ma, certo nell’intenzione, in caso dell’autore non esistette mai - e voi, o mio buon padre

mi conoscete troppo e il vostro cuore è così grande che credo non lo vorrete supporre -

dal momento che vi supplicava di tenermi, quantunque povero peccatore,

che avrei fatto penitenza, colla Divina grazia.

 Tuttavia voi mi scrivete che ho sbagliato, e nella bontà vostra

mostrate dispiacervi che io vada; ebbene sì, sì: ho sbagliato! io lo credo, io lo devo credere,

e lo grido al cielo e alla terra, e ci provo un gran sollievo. Ho sbagliato, ho sbagliato,

e sono afflittissimo di avervi disgustato e sinceramente e umilmente quanto so e posso

Ve ne domando perdono come a n. Signore e così a voi, con tutto l’affetto

di povero figliolo. Io vi dico questo per divina grazia senza esitazione

e soddisfazione ripugnanza e perfino con un’intensa soddisfazione interiore -

e mi sento in questo momento più vicino a nostro Signore e più sacerdote e più religioso!

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 Io mi getto in senso alla Provvidenza di Dio senza riserva di sorta:

io non chiedo nulla; voi siete mio padre e sapete ciò che mi occorre e mi potete dare -

datemi o toglietemi, tenetemi e mandatemi via, io resto sempre vostro affezionatissimo

figlio e come un povero cane fedele, e nelle vostre mani sempre come quel bastoncello

che vi hanno dato sul Giarolo, che potete girare come Iddio vi ispira e porlo ove vi pare

e romperlo anche come vi pare. Io desidero anzi che mi obblighiate

ad abbandonare il mio proprio giudizio ed il vostro desiderio domini tutta la mia mente

e la mia volontà. La vostra lettera santa santa santa e non più amara

e di là ai piedi della Madonna ed io in ispirito sono ai vostri piedi.

 Tralascio perché non posso più continuare - la Divina Provvidenza

e la Madonna diranno e faranno il resto.

 Domenica spero di venire alla Madonna di Monte Spineto e sono da v. Eccellenza

 Nostro Signore per intercessione della Madonna SS. mi dia grazia di esservi

sempre umilissimo, riconoscentissimo ed affezionatissimo figlio in Corde Jesu


        Sac. Orione

        dell’Opera della Divina Provvidenza



          [17 Agosto 1904]




[le minute che seguono sono brutte copie riportate come digitate in txt]


 Ho ricevuto poco fa qui a Sanremo dove sono venuto da alcuni giorni

a ricevere i s. voti di un chierico la lettera che mi avete scritto dai piedi

dalla Madonna della Divina Provvidenza che veneriamo qui. E ora,

dopo essermi posto anch’io ai piedi di questa nostra madre misericordiosissima,

e avervi deposta un’ondata di immensa tristezza sento di dovervi scrivervi subito

anche poche parole dacché in questo momento sento che non posso scrivere tanto.

 Ringrazio e benedico Iddio misericordiosissimo e voi, o mio buon padre,

per la lettera che vi avete scritto, e, col divino aiuto, ve ne sarò riconoscentissimo

sempre sempre e sempre. Confesso che non ho potuto leggerla tutta.

 Ripeto d’inginocchio e ai vostri piedi che, abbandonato nelle mani di Dio

non ebbi altra volontà e desiderio che di non venire meno alla santa vocazione

e allo spirito dell’Istituto che voi avete benedetto e approvato epperò

mentre bacio le mani che mi hanno scritto vi supplico di pregare per me.

 Né ho manco dubitato che fosse di darvi il minimo dispiacere!

Tanto meno di «essere uomo poco riconoscente, e che quasi si compiace di mettere

in impaccio il proprio Vescovo». Ma possibile?

 Vedete che non sia la prima impressione: se vi degnerete rileggerla

la che ben altri sentimenti vi dominano da cima a fondo.

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 Né domando una vera cessione perpetua, e in senso umano come mi scrivete;

no no - è questo che non mi va, mentre voi credete che voglia questo - no,

ma un bel decreto grande di fede e di carità in cui la diate e la consacrate

alla Divina Provvidenza - affidandola a noi finché restiamo in diocesi

come Congregazione riconosciuta.

 Ma quando voi o altri successori non ci volete più, noi cadremo o andremo

in nomine Domini, quindi mi pare vedete che tutto praticamente non dipenda

dalla Congregazione per sé, ma dalla sua approvazione ed esistenza in diocesi,

che è ben altra cosa.

 Ma dunque dirvi questo sarà anche darvi disgusto? credo di no,

o vi prego che non sia.

 Quanto al dilemma, oh lasciamolo stare per carità! ché, almeno

nell’intenzione dell’autore non esistette mai e credo che non lo vorrete supporre.

 Ora tralascio perché proprio non posso continuare io pregherò il Signore

e la Madonna SS. faranno e diranno il resto.

 Vedete la cosa è ben diversa.

 Io ritorno in diocesi alla vigilia di traslocare da S. Chiara

tranquillo che la Divina Provvidenza per voi provveduto per cotesti poveri figli -

e sento alcune voci in giro che dicono che voi siete pentito di averci data la casa;

dapprima non ci faccio caso: parlando con un canonico che è la semplicità in persona

mi esce in certe espressioni che confermano ciò che ho sentito e in modo molto forte.

 Io poteva ugualmente entrare nella Casa Oblatizia e tirare avanti

pensando che a me si era detto nulla.

 Vengo a Stazzano, e capisco che qualche cosa c’è: ritorno e un’altra persona

e sacerdote mi assicura che non entreremo nella Casa

 perché non si aspetta che un momento



 Ma quando la mano di Dio sparga i figli di questa povera Opera in parti lontane

e diverse e sappiamo, come ora sanno, che il Vescovo che ci ha battezzati,

per così dire, ci ha anche data la casa, ma quanta gratitudine e quante benedizioni

vi verranno.

 Ora in tutte le cose mattina e sera si prega per voi. Ma credete voi,

o mio buon padre, che quando sarete morto, ci siano tanti che pregheranno

per l’anima vostra? Ma vedete quanti pochi si ricordano e pregano ancora

per Monsig. Negri e per Monsig. Capelli. - Ma ho lasciato che questi figli preghino

sempre per voi, ma anche non ce la date la Casa, pregheremo sempre tanto tanto.

 Ma dite un poco: ma perché così non la potete dare?

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 Vedete che non sia la prima impressione: se vi degnerete rileggerla (la lettera),

vedrete che ben altri sentimenti vi dominano da cima a fondo.

 Vedete: io ritorno in diocesi alla vigilia di traslocare da S. Chiara

tranquillo che la Divina Provvidenza - per voi - ha provveduto per cotesti poveri figli -

e sento alcune voci in giro che dicono che voi siete pentito di averci data la casa (oblatizia).

 Dapprima non ci faccio caso: parlando con un canonico,

che è la semplicità in persona mi esce in certe espressioni che confermano

ciò che ho sentito e in un modo molto forte.

 Io potevo ugualmente entrare nella Casa Oblatizia e tirare avanti,

pensando che a me si era detto nulla. - Vengo a Stazzano, e capisco che qualche cosa c’è:

ritorno e un’altra persona - fede degna e sacerdote mi assicura che noi non entreremo

nella Casa Oblatizia, perché non si aspetta che un movimento.

 Allora io vi scrivo d’inginocchio: voi ricevete all’Opera la mia lettera,

mentre siete a tavola, la leggete, ed io so che uno dei commensali subito vi dice:

«prendiamolo in parola e...»

 Ah, caro mio Vescovo e padre, ma perché non mi sarà lecito sfogare ancora

un momento, dopo tanti anni e tanto soffrire, le mie lagrime davanti a voi

(nel vostro cuore di Padre) in questa lotta sorda e brutta, -

e gettare la vostra santa quanto amara lettera ai piedi della Madonna, perché faccia lei?



 Mio Veneratissimo padre in Nostro Signore Gesù crocifisso


 Ho ricevuto poco fa la lettera che mi avete scritto dai piedi

della nostra cara madre la Madonna d’Opera, e l’ho deposta ai piedi della Madonna,

che veneriamo qui, con un sentimento di immensa tristezza e rassegnazione.

 Come vi ho scritto, non ho nessuna volontà, eccetto che un gran desiderio

di non venire meno a qualunque costo alla vocazione e di non darvi disgusti,

ma di essere sempre un povero come fedele.

 Se vi degnerete di rileggere la mia lettera, vedrete che sono questi i sentimenti

che vi dominano da cima a fondo. (Io mi inginocchio ai vostri piedi e vi dico)

 Voi mi parlate che la convenzione non era ancora firmata, ma vi dico che,

anche ci fossero state firme, se avessi saputo che eravate pentito,

ve l’avrei subito portato e, se ho voluto parlarne e scrivervi prima di entrarci,

è appunto perché mi venne riferito che voi, e attorno a voi,

non si è più contenti che ci entriamo.

 Io mi pongo interamente nelle mani di Dio e di voi che ne prendete il posto,

per l’autorità da lui conferitavi: - io anzi desidero che mi obblighiate ad abbandonare

il mio proprio giudizio e il vostro desiderio domini in tutta la mia mente -

e come un cadavere il quale non ha né intelligenza né volontà,

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e voglio essere come una massa di costanza senza resistenza, che la possiate mettere

o gettare dove volete, o in mano vostra, come un bacchettino che lo possiate girare

come Iddio vi ispira e porlo dove vi pare e romperlo come vi pare.

 Se Iddio avesse altri disegni (segreti), questo olocausto totale non li impedirà,

ma li affretterà - ed io per parte mia sarò tranquillo, intendendo obbedire non solo

con alacrità, ma senza esitazione e ripugnanza, e perfino con una intensa soddisfazione

interiore.

 Io del resto, e tutti i miei con me, starò qui a Tortona o andrò,

finché a voi piacerà che stiamo o andiamo, non volendo essere altro

nelle mani dei Vescovi e della s. chiesa che come una cera molle, una cosa,

una cosa da cui voi possiate ottenere ciò che meglio vi piace.

 Che, se è permesso e molte volte doveroso per un figlio

dare al padre spiegazione di sé per attenuargli un dispiacere,

vi dico che mai pensato domandata una vera cessione perpetua,

come scrivete della Casa Oblatizia: no no è questo né per breve né per molto

anche se fosse d’oro ho supplicato che fosse, mentre e forse per mie stesse espressioni,

qui mi pare di vedere un grave equivoco, poiché dalla risposta vostra appare evidente

sia questo che abbiate inteso da me il ché avrei stimato oltraggio alla vostra parola -

io sì ho firmato per vincolare me medesimo e i miei:

poiché dobbiamo tremare temere di noi e non di voi.

 Che anche voi aveste fatte cento firme e ne foste pentito potete ben capire

che ve le porterei subito.

mai e poi mai ho richiesto una vera cessione perpetua della presa così in umano

e legale senso - no, ma una cosa in Domino, in Domino, in Domino.

 Un decreto o un’altra formula ancor più solenne se voi la sapete trovare

e che fosse grande di fede e di carità in cui diate e consacriate la Casa perpetuamente

alla Divina Provvidenza -

 Vi ho detto che, se avessi un palazzo, - nulla mi dà consolazione

fuorché il Signore colla Sua Divina Provvidenza.


 ho ricevuto poco fa qui a Sanremo dove mi trovo da giorni

la lettera che mi trovo avete scritto dai piedi della nostra cara Madre

la Madonna di Oropo e l’ho messa ai piedi della Madonna della Divina Provvidenza

che veneriamo qui.

 Dopo essermi posto anch’io ai piedi di questa nostra madre misericordiosissima,

e avervi deposta un’ondata di immensa tristezza, sento di dovervi subito

anche poche righe dacché in questo momento non potrò scrivere tanto.

 Ringrazio e benedico Iddio misericordiosissimo e voi, mio buon padre,

della lettera che mi avete scritto e, col divino aiuto, ve ne sarò riconoscentissimo

sempre e sempre.

            V045P040e


 Confesso che non ho potuto né leggerla tutta né capirla in alcuni punti,

ma ci ho capito tanto e bacio le mani che hanno scritto e supplico di continuare

a pregare per l’anima mia, e vi ripeto d’inginocchio che, abbandonato nelle mani di Dio,

non ebbi altra volontà e desiderio che di non venire meno alla santa vocazione

e allo spirito dell’Istituto che voi avete benedetto e approvato,

e di esservi sempre povero cane fedele.

 L’Opera di natura sua non può essere attaccata al mattone,

ma non sarà mai e poi mai che un pezzo di mattone o qualunque altra cosa

sia causa di divisione e semplicemente di disgusto tra me e voi, o mio buon padre,

il mattone comunque disponga Iddio in piedi o per terra sarà sempre e solamente per me

e per l’opera un gradino per salire più in alto. Né ho manco dubitato

che colla mia lettera fossi per darvi il minimo dispiacere e tanto meno

«essere uomo poco riconoscente, e che quasi si compiace di mettere in impaccio

il proprio Vescovo» Quantunque, mi paia che queste parole per sé amarissime,

per divina grazia, non mi tocchino pure io le prendo e le bacio

e me ne saturo in Domino e sento in questa amarezza un’amore senza fine.

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