V045T145 V045P214



[esiste una minuta di otto fogli non digitata]


        Roma[ - Ognissanti], il 7 Febbr. [192]6


 Anime e Anime!


 Mio buon padre in Gesù Cristo,


 La grazia e la pace di n. Signore siano sempre con me e con tutti i servitori

e figli di v. Eccellenza rev.ma.

 Sono a Roma dal 3, e mi preparo ad andare a S. Severino e ad Imola,

se pur non dovrò correre a Venezia dove sento che ci son molti malati,

compresi due sacerdoti e don Sterpi.

 È vero che, finora, è solo influenza. Son venuto per accompagnare,

come parmi averle detto, due chierici che il 4 da Brindisi dovevano imbarcarsi per Rodi.

Poi, invece, non partirono che il 5. Dio li assista, ché, nei passati giorni,

il mare era brutto assai, e di frequente i giornali riferiscono di naufragi.

 Ho sentito vivissimo dolore per la morte dei don Semino, che avevo visto a Voghera

quasi subito dopo l’operazione. Mi avevano anzi assicurato che essa era andata bene.

Giunto a Roma, la prima lettera la scrissi a lui, subito. Non so cosa fosse,

ma non me lo potevo togliere davanti per tutta la notte che durò il viaggio dal 2 al 3,

e sì che io non lo avevo visto che la domenica 31 genn., poi il lunedì

ci fu don Perduca a trovarlo, ma a mia insaputa, mentre ritornava da Corvino,

e il 2 stesso mi avevano telefonato che non [............]

 Non so neanch’io spiegare cosa mi sentissi addosso provassi in me:

gli scrivevo sentendo una grande gran pace e un grande dolcissimo amore fraterno,

ma non potevo trattenermi dal piangere: forse quel pomeriggio mentre scrivevo

forse egli moriva, povero figlio don Semino!

 Per la misericordia di Dio sopra di noi avevamo fatto

tante parecchie campagne insieme attraverso la diocesi, predicando con molta semplicità

su per i monti e nelle valli, e il Signore ci benediceva, e le anime correvano,

e si confessava di giorno e di notte. Ed egli mi diceva poi

che quando arriva giungeva alle Bettole che poi riuscì ad a far parrocchia,

sentiva di voler più bene al suo popolo, ed anch’io confesso che andava a casa più buono,

più inclinato ad essere meno prepotente, meno despota, ma più padre in Gesù Cristo

anzi sentiva cercare di diventare allora il bisogno di diventare in Domino

più madre coi miei ragazzi.

Il mio carattere molto forte sentì la bontà di Quanta efficacia di bene

sul mio temperamento selvaggio ebbe così quell’anima di sacerdote semplice

di Missionario degli umili!

            V045P215


 Oh quanto glie ne sono e glie né vorrei ancor più esser grato! devo, quanto vorrei

essergli stato grato di più.

 Caro don Semino! caro don Semino! passano tutte con quanto amore avrei voluto assisterti negli ultimi momenti con quanto amore avrei voluto piang ti accompagnare

fino alla tua Bettole dove accompagnarti fino alla tomba.

 Non aveva grande intelligenza, non aveva oratoria,

ma aveva qualche cosa parole di fede e che toccavano i cuori. E si capiva

che era un sacerdote che parlava alla semplicità in semplicità, e ad andare alle anime

con la bontà. Oh lo avessi seguito!

 E il Signore La benediceva la predicazione di don Semino,

Le le popolazioni lo capivano tenevano sostenevano sentivano si dissetavano

la alla sua parola, le anime correvano e si confessava di giorno e si confessava di notte!

E don Semino mi diceva: che, quando ritornava ritorno alle Bettole,

sento sentiva di voler più bene al suo popolo, e di parlare alle anime dei suoi parrocchiani

come prima non sapeva parlare.

 E doveva essere così.

anch’io quanto Ché anch’io, quantunque lo seguissi così storpiamente,

sentivo che ritornavo dalle missioni più buono; giungevo a casa stanco,

più domato nel fisico, più for disciplinato nel morale, più inclinato

ad essere meno prepotente, meno despota.

 Anzi la divina misericordia me lo la sentiva che era discesa anche sopra di me,

che ero benché fossi come il buffo della compagnia, e quello che disturbavo tutti; -

e forse impedivo fin le conversioni perché, tornando a casa tra i miei ragazzi,

mi sentivo più padre in Gesù Cristo, e fin inclinato a diventare loro

come una madre in Domino.

 Oh l’efficacia della bontà sul mio carattere selvaggio di quell’anima di sacerdote

semplice, e retto! di fede, di bontà!, di lui, semplice e retto, vero missionari degli umili,

pieno di tanta carità per i poveri peccatori.

 Quanto vorrei essergli stato più grato!

 Caro don Semino, caro don Semino! con quanto amore di discepolo

e di fratello avrei voluto assisterti nelle ore ultime ore!

Con quanta dolcissima dilezione in X.sto ti avrei portato su le mie spalle,

e ti ti avrei accompagnato fino alle tue Bettole!

 Ti avrà accompagnato il mio angelo custode che che avevo mandato vicino a te

in quelle ore nelle quali mi pareva di sentire che te ne andavi! presentire

la tua vicina dipartita. Ti avranno certo accompagnato le anime già ascese al Paradiso,

che tu avevi a migliaja, e da tutti i punti della diocesi, tu avevi ricondotte al Signore.

Ora siano quelle anime la tua grande corona di gloria!

 E Che altri, che molti altri sacerdoti sorgano nella diocesi

con lo stesso Tuo spirito di fede di umiltà di carità ad evangelizzare Gesù Cristo

per i monti e per le valli!

            V045P216


 E il tuo nome risuoni ancora per molti anni in benedizione; e sia sempre di conforto

a quanti areranno andranno a seminare Gesù Cristo nei cuori! o a richiamare

sulle vie sulle vie del dal ritorno a Dio al Padre le anime dei i fratelli dei figli profughi prodig profughi.

 Ed ora passo che vuol voleva essere in questo giorno, -

7 febbrajo, festa di S. Romualdo, - (data non cancellabile nella mia vita), -

lo scopo precipuo della presente.

 L’ultima volta che fui da v. Eccellenza rev.ma, ella, nella sua paterna bontà,

volle leggermi la lettera di don Scarani che chiedeva in fine la chiusura della chiesa

del collegio S. Giorgio di Novi.

 Non sapevo l’esistenza conoscevo l’orditura della lettera, ma le confesso che,

sostanzialmente, mi era già stato riferito tutto.

 Anzi so forse di più che vostra Eccellenza non sappia; o forse, ella

per delicatezza non avrà creduto di dire dirmi.

 Già, fin l’ultimo sguattero del collegio S. Giorgio sapeva che la chiesa

si sarebbe fatta chiudere.

 Si trattasse solo di martellare me stesso, sento, per la divina grazia che mi assiste,

che l’avrei già chiusa.

 Lo farei anche per dare una consolazione, non dirò a degli avversarî -

(oh lo farei anche ad avversarî e nemici pure) - ma a dei sacerdoti miei fratelli,

pur non potendo consentire con essi, e anzi dovendo disapprovarli,

perché sono convinto che non il bene delle anime li muove e li fa zelanti,

ma una miserabile e oscura ragione bottegaja e un’altra bassa passione livida e farisaica.

Questo unicamente tanto per non parer tonto.

 Però se mentre sento che mi sarebbe così facile vincere Però poco mi m’importa

vincere o perdere di qui, anzi meglio perdere nella valutazione umana di qui,

pur di vincere la partita su di me, e vincere la partita pel di là.

 E ne sia benedetto il Signore, ché è grazia sua sulla miseria mia.

 Però v. Eccellenza mi disse che, in merito, aveva consultato qualche Canone

 Tornato a casa quella sera, ho creduto far esaminare la posizione da un amico,

amico pure di don Scarani, da don Vittorio Gatti.

 Gli riferî la cosa, sapendolo sacerdote riservatissimo ed imparziale.

 Anzi gli ho detto di mettersi più dall’altro punto di vista, e di non badare

alla tegola della Divina Provvidenza sotto cui è.

 Raccomandazione che era doverosa per me, ma del resto superflua per lui.

 Dopo avere consultato codice e autori mi assicurò che c’è ogni più chiaro diritto

a poter tenere aperta quella chiesa, e aggiunse altro in linea non solo di diritto,

ma di posizione morale.

            V045P217


 Mi raccontò poi di esser stato egli in quella chiesa al tempo dei Somaschi,

entrandovi non affatto dal Collegio interno, ma dalla porta esterna principale

che è nella della facciata della chiesa stessa, li che dà sulla via pubblica.

 Ripeté le impressioni che in quegli anni già di decadenza dei Somaschi

provarono altri all’entrare in quella chiesa pur essi dalla via pubblica.

 Essa era tenuta malissimo: i banchi sgangherati e fin rotti, -

il pulpito che mal si reggeva, gli altari - erano tre squallidi. Era tutta una vita religiosa

che languiva.

 Che poi dopo lo scandalo di P. Vairo (preside) l’abbiamo anche chiusa,

o pure fin prima, - può anche essere. Non c’era più olio in quelle povere lampade;

e si andava a passar le notti spesso a Milano, vestiti in borghese. -

 Si poteva ancora curare la chiesa?

 Ciò detto, eccomi alla conclusione.

 Ho desiderato che quella chiesa fosse riaperta al culto,

primieramente perché servisse ad alimentare la vita cristiana dei giovani del San Giorgio;

e si finisse di far servire da cappella di una sala, mentre c’era la chiesa che

con qualche migliajo di lire s’è potuto si poteva rimettere - Ed è un bel disegno di chiesa.

 Ho voluto mandare al S. Giorgio l’altare stesso della cappella di Tortona

su cui per tanti anni io ho celebrato nella Casa ai piedi della Madonna

della Div. Provvidenza di Tortona e come sacro vincolo di unione

perché capissero quanto mi premeva, quanto ci tengo che sopra tutto si pensi

ad edificare Gesù Cristo nei nostri cuori. educare si formino dei cristiani

 Altare In se est Christus

 Ho fatto uno strapazzo di viaggi per trovarmici trovarmi pel Natale

a dirvi la prima Messa.

eEra del resto un dovere mio. Era per me e ritenevo dovesse essere

per tutto il clero una consolazione veder riaprire una Chiesa,

dopo più che ventina forse venti cinque anni, ma volevo anche che che quella mia presenza

fosse per i miei un esempio, per me è dovere i miei.

 Confesso che non aver avrei mai dubitato lontanamente sognato dubitato

che sollevassero il clero sollevasse difficoltà.

 Piangevano di cons i vecchi novesi di consolazione, piangevano gli umili fedeli

e le vecchie madri di famiglia e perché dovevo pensare non avrebbe gioito il clero?

 Ah guai a noi, guai in quel giorno terribile

Per la verità avevo pur pensato che, oltre allo scopo principale pel Collegio, che

quella chiesa serviva avrebbe servito a fare del bene anche al pubblico, e fosse aperta

né mai ho sognato che non dovesse aprire al pubblico potesse restare aperta.

            V045P218


e poter fare del bene - e perché Era anche un bisogno di vita sacerdotale spirituale

pei sacerdoti stessi del Collegio, - i sacerdoti, che oggi o domani attenderanno al Collegio,

possano di hanno pur bisogno di esercitare anche almeno sia pur in parte in pubblico

il loro ministero, di fa hanno bisogno e di sentirsi sacerdoti, e non di fare funzioni,

diversamente si laicizzeranno, saranno ridotti quasi ad inaridirsi, relegati nella scuola.

Prima sacerdoti e poi professori, tanto più se religiosi mi pare abbiano detto scritto

ultimamente i Vescovi della regione Ligure. Ed io l’ho detto loro.

 Ma a tutti i diritti, alle ragioni tutte dette e non dette,

antepongo in Domino il desiderio del Vescovo.

 Questo sento che vorrei aver fatto o farei in punto di morte: questo, col divino ajuto,

voglio fare ora oggi.

 A quest’ora anche vostra Eccellenza avrà ormai visto quei consultato i Canoni

a cui accennava quella sera, e avrà sentito interregato interpellato chi credeva

di più sentire interrogare, e udita ogni altra altra voce in proposito.

 Ecco, io pure son qui, pienamente indifferente a chiudere la chiesa del S. Giorgio,

se tale è resta il desiderio di vostra Eccellenza rev.ma. E neanche occorre

che vostra Eccellenza abbia da dovermelo scrivere, ciò che il ché certo,

può riuscire riuscirebbe ingrato al suo animo di padre. Né io vorrei

che restasse alcun biglietto suo di tal genere di . Sento di doverle da figlio evitare ciò.

 Quindi se entro la prima domenica di Quaresima non ricevo nulla,

farò chiudere, senz’altro, la chiesa del San Giorgio, perché m’è parso

che tale fosse quella sera il desiderio di vostra Eccellenza rev.ma e riterrò

dovrò ritenere che tale desiderio permanga, né altro voglio che compierlo pienamente

quidquid dicant.

 Voglio amare tutti, perdonare a tutti, voglio pregare per tutti -

com’è mio elementare dovere; - non né c’è proprio nulla di straordinario; -

e anzi sento che non agirei da cristiano e meno da sacerdote, se non facessi operassi così.

 Per la divina grazia vorrei poter fare del bene e tanto bene a chi ci fa ingiuria.

E davanti a Dio vorrei poter pur cancellare io il loro male; e Dio lo faccia!

e me ne dia la Sua grazia.

 Resto superiormente tranquillo in Domino, e Deo gratias!

 Le disposizioni per la chiusura saranno date con questo spirito, e e silenziosamente

in modo che né io né miei della piccola Congregazione neanche ne parleremo più.

Et de hoc satias.

 Perdoni v. Eccellenza la prolissità della presente.

            V045P219


 Vado domani a San Severino e poi ad Imola.

 Mi voglia accompagnare con la sua preghiera e benedizione, e mi abbia,

ovunque e per sempre, suo dev.mo e aff.mo figlio in Gesù Cristo e nella santa Madonna


          Sac. Luigi Orione

          dei figli della Div. Provv.za


 Mando ossequî a don Francesco e a tutti della casa Vescovile.



P. S.  Roma, il dì XI / 2 [1]926


 Ho scritto, e poi mi vergognai di mandarla.

 Ora, benché senta che troppa è la libertà dello sfogo,

né sarebbe da inviarsi ad un Vescovo, la mando, quasi atto di fraterna di lezione

verso il caro morto, che vostra Eccellenza rev.ma non ha potuto forse conoscere

perché quegli anni, oramai, si eran fatti lontani.

 Non ho più testa né tempo a rifare, - perdoni dunque anche gli sgorbi e cancellature

 Nei passati giorni avevo scritto a v. Eccellenza altra lettera, per ben altro.

Ho riflettuto poi meglio, e per ora lascio lì.

 Con rinnovata venerazione bacio il sacro anello, e mando ossequî

anche da tutti questi.

 Dev.mo in n. Signore e nella santa Madonna


          Sac. Luigi Orione

          dei Figli della D. Pr.


 Tanti rispetti a don Francesco e a tutti della famiglia Vescovile.

¨