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 +        Anime e Anime !

         Tortona, 15 gennaio 1923


 Caro arciprete e amico,


 Sono giunto jeri sera, ed è la ragione che non ho risposto alla tua. -

Non sapevo che il don Lavagetto, ex parroco di S. Quirico, fosse morto,

e ne ho provato vera pena.

 Io andai con una sua lettera dal S. Padre Benedetto XV, che gli voleva bene,

e che più volte mi aveva parlato di lui con grande bontà; andai con una sua lettera,

ho detto, ove quel povero arciprete chiedeva perdono al Papa del dolore,

che aveva provato per lui, e si difendeva da certe accuse.

 Fu allora che il S. Padre mi incaricò di una delicata ambasciata

ad un Eminentissimo Cardinale, e sentii dal labbro di Sua Santità

parole di profondo rammarico, che si troveranno un giorno nel mio diario.

 Pregherò pel compianto Arciprete don Lavagetto che, pur ne’ suoi difetti,

fece tanto bene, ajutando vocazioni tardive e di poveri giovani.

 Ti vorrei ora pregare di un favore. Non so se tu sai che egli ebbe un fratello,

che lo fece disperare tanto; fu in America e poi tornò, e non finiva di chiedergli danaro,

facendogli anche fare delle brutte figure presso la gente; ti dico che aveva un carattere

così cattivo che non sembrava neanche fratello dell’Arciprete di San Quirico.

Ora egli, l’arciprete, mi pregò e supplicò che glielo volessi ritirare, pur di liberarlo

da quell’originale, - che per tutte le spese di vitto, pulizia e vestito, avrebbe provveduto lui,

riconoscendo che potendo mantenerlo del suo, io non dovevo sobbarcarmi a mantenerlo

con la carità altrui.

Già gli facevo un grande favore e liberarlo. E l’ho liberato, mettendolo ad Ameno

sul lago d’Orta, nella Casa lasciatami dalla Contessa Agazzini, - in un posto bellissimo,

tanto che il paese si chiama fin Ameno; - e l’ho messo là a fare impazzire quelle Suore.

 Ce ne voleva, si può dire, per servire lui, e non era mai contento,

benché avesse un vitto distinto, con vino buono etc.

 Mentre io ero in America, egli morì, e morì bene, benché prima bestemmiasse

come un turco, anche contro suo fratello, perché non gli mandava che 15 (o) 20 lire

all’anno o due volte all’anno.

Ed io dovevo pagargli fin il tabacco.

 L’arciprete mi disse sempre che avrebbe fatto il suo dovere,

e mi tenne anche qualche discorso che mostrava intenzioni di ricordarsi poi,

in modo caritatevole, oltre all’impiego assunto del fratello.

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 Se l’erede fiduciario è il signor arciprete di Busalla, che tu conosci,

ed esecutore testamentario è Monsignor Peagno, che io pure conobbi,

quando Monsignor Bandi di S. m. mi mandò a Croce Fieschi,

in quei brutti momenti critici che ricorderai, - vorresti parlarne loro?

 Tutti sanno bene che l’Arciprete, per liberarsene, mi mandò suo fratello,

e s’impegnò con me; e per timore che glielo rimandassi a casa,

si protestò più volte che non solo non ci avrei rimesso un centesimo,

ma mi avrebbe dimostrata largamente la sua gratitudine.

 Io non ebbi però mai nulla, e ho tenuto quell’uomo alcuni anni:

i parenti suoi lo sanno.

 Siccome tu mi dici «se posso servirti in qualche cosa, mi scriverai»,

ecco che abuso della tua bontà. Il Signore ti ricompensi.

 Porgi per me tanto a Monsignor Peagno, che al Rever.mo Arciprete di Busalla

ogni ossequio, e dì loro che mi scusino.

 E tu abbimi, in Nostro Signore e nella Santa Ma donna per aff.mo tuo


       Sac. L. Orione  della Divina Provvidenza

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