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[dattiloscritta]


           5 aprile 1932


M. Rev. Signore, [Parroco di S. Benedetto dei Marsi]


La grazia e la pace di Gesù C. siano sempre con noi!

 Quando, ieri, ebbi il suo telegramma, non avevo ancora ricevuta la sua lettera,

quindi non capivo perché ella chiedesse a me «urgentissimamente dichiarazione

sua innocenza e riparazione». Capisco ora dalla lettera che devono aver malignato

sul telegramma che ho indirizzato a lei, perché volesse farmi il favore di avvertire

don Gismondi che urgeva la sua presenza a Roma.

 E lei mi ha fatto la commissione, e la ringrazio ancora.

 In tale disposizione dichiaro che la S. V. non c’è entrata per nulla; io neanche avevo

il piacere di conoscere la S. V. né sapevo il suo nome, onde ho telegrafato

al parroco di S. Benedetto dei Marsi. E mi rivolsi al parroco perché si trattava

di un sacerdote; e non ho telegrafato direttamente al don Gismondi, perché avevo il dubbio

che non fosse più in paese, ma fosse andato a trovare dei parenti, che so avere

in altro paese, o fosse partito per le Marche dove so che voleva andare.

 Ho pensato: se telegrafo a lui e non è a San Benedetto, mi respingono indietro

il telegramma; come si chiami la famiglia dei suoi parenti, presso cui è venuto,

non lo sapevo e non lo so; e allora, per essere più sicuro, ho pensato di rivolgermi

alla cortesia del parroco, e ho disturbato lei, - dicendo tra me: se il don Gismondi

non è più a S. Benedetto il parroco mi avvertirà o nella sua bontà gli farà pervenire

il telegramma dove si trova.

 Mai avrei sospettato che ella potesse averne dei dispiaceri!

 Bisogna pur avere molta malignità, ma già chi non ha semplicità di cuore

stima sempre doppio il cuore altrui!

 La assicuro, Signor Parroco, che ne provo viva pena, e prego Iddio di confortarla.

 Il Don Gismondi non mi ha ancora scritto, solo mi telegrafò da S. Benedetto

che partiva subito, e questo era il suo dovere.

 Egli, forse, mi aspettava a Roma, dove io dovevo andare negli scorsi giorni,

ma i medici me lo vietarono, perché sono fresco di bronco-polmonite.

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 Che sia avvenuto alla partenza di don Gismondi né dopo, non so altro

se non quanto ella brevemente accenna; - però scriverò a lui, affinché in quello

che egli avesse mancato, compia doveroso atto di riparazione.

 E, intanto, autorizzo la S. V. a valersi di questa mia dichiarazione

contro ogni malevola insinuazione a suo riguardo. Benché ancora debole di malattia,

non ho voluto che questa lettera, benché abbastanza lunga, le fosse dattilografata,

ma ho voluto scriverla tutta di mia mano e munita del timbro dell’Istituto,

perché ella meglio se ne valga a dimostrare la sua innocenza e a confondere i denigratori,

chiunque essi siano.

 Io ancora la ringrazio del favore, e vivamente deploro che la S. V.,

per farmi un piacere, abbia avuto tali dispiaceri.

 Prego Iddio di esserle largo di spirituali consolazioni, e mi è grato segnarmi,

con ogni stima, di V. S. Ill.ma dev.mo in Gesù Cristo


       Sac. Luigi Orione

       Superiore dei Figli della Divina Provvidenza

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