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Copia conforme

Sac. Orione

3 ottobre 1923


 +         Anime e Anime !

          Tortona, il 2 ottobre 1923


[dattiloscritto]


 Eminenza Rev.ma,


 Sant’Agostino dice che quando il grande Vescovo di Cartagine Cipriano

fu condannato ad avere tagliata la testa, gli fu data la scelta e il mezzo di riscattare la vita,

se, soltanto con a parole, avesse velata quella fede in Gesù Cristo per la quale

veniva condannato a morire.

 E non solo gli fu data licenza di farlo, ma, quando fu innanzi a Galerio Massimo,

proconsole nel governo dell’Africa sino all’ultimo gli venne affettuosamente fatta istanza

perché pensasse se meglio non fosse provvedere a salvare la propria vita,

che soffrire la pena di pazza e sciocca ostinazione.

 Al che, in una parola, rispose il ven.do Vescovo: «Fate quel che vi è prescritto[»]

in cosa di tanta santità, non v’è luogo a deliberare.”

 E con quella fede e grandezza di coraggio che sapeva veramente di apostolico,

col cuore fermo nell’amore a quella Chiesa, della quale aveva scritto lo stupendo trattato

«De Unitate», che è il capolavoro dell’intrepido Vescovo e martire: forte della grazia

di Dio e della fortezza del suo Dio che lo chiamava a confessare col sangue la religione

cristiana, - pieno di gioia, camminò verso il luogo del martirio.

 E Ponzio, suo diacono, racconta che, là giunto, si levò di dosso il mantello, si pose

in ginocchio e si protese a pregare; poi si spogliò della sua dalmatica che diede ai diaconi,

e fece dare al carnefice venticinque scudi di oro.

 Si bendò da sé stesso gli occhi, disse ad un diacono di legargli le mani e presentò

il suo collo alla mannaia.

 Così moriva per la sua fede il grande Vescovo di Cartagine Cecilio Cipriano:

il difensore di Papa Cornelio: Colui che nel Papa aveva salutato: “il Vescovo posto

sul Vertice apostolico” (Epist. 3).

 E che, nella Epistola 73 ad Tubajanum, chiama il Vescovo di Roma:

«Ecclesiae una caput et radium».

 Ora, riflettendo che è massima di nostra fede, fortemente







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inculcata anche dallo stesso S. Cipriano, che noi dobbiamo tener dietro ai Santi coi nostri

più vivi desiderî, se vogliamo un dì regnare con essi; - io, miserabile peccatore, benché

indegno e le mille e mille miglia lontano, senza alcun paragone, da lui, che fu aquila,

mentre io non sono neanche un moscerino, - pure, per la grazia che Gesù Cristo nostro

Signore mi dà, volendogli, anche lontanamente, tener dietro anelo e voglio che gli stessi

sentimenti che egli ebbe di amore dolcissimo alla Chiesa e di devozione indefettibile

al Vicario in terra di Gesù Cristo, il Papa, - voglio implorare umilmente, e con docile

spirito e cuore di figliuolo ogni carità e grazia xxxxxxx della santa apostolica

Sede di Roma e dai Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a governare la Chiesa di Dio.

 Ed è con questi sentimenti che scrivo e mi rivolgo a vostra Eminenza Rev.ma.

 Come è con questi, e unicamente con questi sentimenti di amore e di devozione

alla Chiesa, che al don Sterpi, il quale telegraficamente mi comunicava come dovesse

regolarsi, essendo che ora gli sono giunti da Roma e dal Ministero della P. I. i consaputi

manoscritti, (per cui vostra Eminenza già ebbe ad essere prevenuta da grave lettera delle

Segreteria di stato), ho risposto jeri l’altro che volesse presentare a vostra Eminenza

i manoscritti stessi.

 E che la pregasse di degnarsi di farli diligentemente esaminare a filo di fede

cattolica, e da revisori avveduti, i quali, forti e sicuri nella dottrina e purezza della

ortodossia cattolica, possano segnalarmi ogni possibile errore e lacuna.

 Umile ed unico desiderio mio in è: che mi vengano fattibile vare tutti gli errori,

tutte le lacune, tutte le espressioni che suonassero male, non solo quanto alla fede,

ma anche quanto a tutto che possa riferirsi a sentire pienamente con la Chiesa.

 Così potrò giusticarmi, potrò dire: vedete, o signori, che la vostra buona volontà

non è sufficiente: le correzioni e aggiunte fatte da voi al vostro lavoro non bastano,

non soddisfano la Chiesa: voi se volete dare un vero insegnamento cattolico dovete

lealmente fare ancora questo e quest’altro e quest’anno, e così essere quali dovete essere,

e piacere alla Chiesa e meritare la benedizione del Vicario di Gesù Cristo,

che è poi la benedizione di Dio.

 Se questo non facessero, pur con tutte le forme della educazione, io restituirò loro

codesti manoscritti e ripeterò al Ministero On.le Gentile e al don Brizio Casciola le mie

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morabili e sante parole del grande Cipriano: «in cosa di tanta santità,

qual è la fede, non v’è l’uomo a deliberare»

 Per la grazia di Dio, non venderò una virgola sola della mia fede per nessun piatto

di lenticchie: - per me e per i Figli della Divina Provvidenza, i quali tutti posso ben dire

che la sentono pienamente con me, tutto l’oro del mondo e qualche cosa di più e di meglio,

non vale un alito dei desiderî del Papa.

 È una carità quella che chiedo per potermi, come ho detto, giustificare; ma lo farò

come si deve fare, cioè senza compromettere alcuno.

 Però se chiedo questa carità, non vorrei che per essa, vostra Eminenza Rev.ma,

avesse in alcun modo quasi a compromettersi presso taluno che, stando in alto loco,

non mi conosce, o non abbastanza, tanto da dubitare forse della mia fedeltà a Roma,

come, se ho ben capito, trasparirebbe dalla lettera venuta da Roma a vostra Eminenza.

 Se ciò mai potesse darsi, io umilmente la pregherei di ritornare senz’altro

a don Sterpi i manoscritti, poiché nessuno deve soffrire per me.

 So che molto avrò a partire per l’amore di Dio benedetto e in espiazione

dei molti miei peccati:

 E poi sento che nulla di buono ho fatto sin qui, prego la misericordia del Signore

di parteciparmi del suo calice e farmi gustare un poco del suo calvario.

Ma questo dev’essere per me, non per gli altri, o almeno non lo vorrei per colpa mia.

 Certo sarebbe un’angoscia mortale se il mio dolore fosse lo stesso mio amore

alla Chiesa, voglio dire ciò che ho sempre avuto e voglio avere sempre di più caro:

la mia fede papale! Che è ciò che ho più amato e che più amo: il Papa, i Vescovi,

la Chiesa di Gesù Cristo.

 È da giorni che vado pregando, e mi conforta il pensiero che questa umile prova

è certo tutta per il bene dell’anima mia, e che da essa uscirà una grande luce

di misericordia e un più grande attaccamento al Vicario di nostro Signore e alla Chiesa.

 Per quanto una prova di tal genere mi rechi un’amarezza profonda essa, per

i miei peccati, è poco, - e prego n. Signore di andare avanti, d’andare a fondo

nella mia anima, ma di voler assistermi con la sua grazia.

 Oso chiedere la revisione di codesti manoscritti dopo avere inviato un breve

memoriale a sua Eminenza Rev.ma il signor card. Segretario di stato, con preghiera,

di comunicare ogni cosa al Santo Padre.

 E dopo che in questi ultimi giorni vengo assicurato che il don Brizio è andato

personalmente da sua Eminenza il Card. Gasparri,

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e poi anche da Mons. Borgoncini, Duca, dai quali sarebbe uscito rassicurato e confortato.

 Sarei andato a Roma anch’io, ma ho qui un chierico, orfano di tutti, grave di tifo,

che ho raccolto nella mia camera, data la natura infettiva del male,

e mi pare che una madre non abbandonerebbe questo suo figliuolo.

 Ho scritto però a Roma che, qualora desiderasse maggiori schiarimenti, sarei tosto

andato di persona, perché nella lettera al Card. Gasparri non ho detto che una parte

di quello che io feci per assicurarmi che il lavoro di don Brizio riuscisse del tutto conforme

alla nostra santa fede e di pieno gradimento della Sede Apostolica e dei Vescovi.

 Vostra Eminenza Rev.ma, che da anni mi conosce, sa bene che io non desidero fare

xxx che ciò che il S. Padre può desiderare, e null’altro.

 La mia fede è la fede del Papa, è la fede di Pietro: una fede che, per grazia di Dio,

va sino a credere x a ciò che non più dogma, né morale, né disciplina ecclesiastica

strettamente parlando, né materia di fede religiosa; ma va oltre, molto oltre.

 Essa abbraccia e fa suo, umilmente, tutto che può riferirsi alla libertà ed effettiva

indipendenza della Santa Sede, e ciò senza reticenze e senza piagnistei, ma con amore

di figliuolo; onde io sento di poter dire che per la divina grazia, credo ancora anche a ciò

a cui forse neppur più in Vaticano più da tutti si crede.

 Esuli da questa espressione ogni più lontana intenzione di offesa

o mancanza di riverenza e di venerazione.

 Mi esprimo così, unicamente per dire tutta la mia anima e il mio cuore di figliuolo,

senza limite devoto alla Chiesa e alla Sede Apostolica, e ai suoi diritti, senza limiti.

 Io pensavo di poter dare un po’ di lavoro e di pane ai miei orfani; ma «non di solo

pane vive l’uomo» e prima, molto prima del pane, x c’è la fede.

 Quanto al pane ci penserà la Provvidenza di Dio benedetto!

 Per la fede, per il Papa, per la Chiesa, ben poco sarebbe il mio sangue, e ben vorrei

poter dare mille e mille volte al minuto tutta la mia vita!

 “Non ci ha che un Dio, un Cristo, una Chiesa, una fede scriveva S. Cipriano

nel «De Unitate Ecclesiae». -

 Che la misericordia di Dio mi faccia sempre vivere, umile e xxxxxx fedele ai piedi

della Chiesa: mi faccia nella fede di Pio XI, Vicario in terra di Cristo, che è la fede stessa

di Pietro, vivere e poi morire: abbandonato alla Provvidenza del Signore e alle mani

materne della Madonna santissima.

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Non ho altro sospiro!

 Perdoni vostra Eminenza Rev.ma questa lunga lettera, scritta, non perché ritenessi

che vostra Eminenza avesse bisogno di conoscere quali sono i miei sentimenti,

ma unicamente a libero sfogo nell’animo mio.

 Voglia scusarmi il tempo che le ho rubato, e la ricompensi nostro Signore

di ogni sua carità.

 Bacio con profonda venerazione e affetto, come di figliuolo, la sacra porpora,

e la prego di volermi benedire e di pregare per me.

 Di vostra Eminenza Rev.ma

 Obbl.mo e dev.mo servitore in Gesù Cristo crocifisso


       Sac. Luigi Orione  dei figli della Div. Provv.


A Sua Eminenza Rev.ma

Il Sig.r Cardinale Pietro La Fontajne

Patriarca di Venezia =

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