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[Il corsivo azzurro è grafia di altri]
A Sua Ecc.za Rev.ma
Il Sig. Abate O. S. B. Emanuele Caronti
Visitatore Apostolico dei Figli della Divina Provvidenza
Badia di S. G. Evang. - Parma
Buenos Aires, 1 Agosto 1936
Calle Carlos Pellegrini, 1441
Rev.mo padre abate E. Caronti, Visitatore apostolico
La grazia del Signore e la sua pace siano sempre con noi!
Il sac.te Sterpi, mio sostituto, mi ha comunicato la buona lettera di v. Eccellenza,
e il decreto con cui la sacra Congregazione dei religiosi
ordina la Visita apostolica all’Istituto dei Figli della Divina Provvidenza,
e la nomina nostro Visitatore - Deo gratias!
Come già le telegrafai, accetto in pieno, con ispirito di ubbidienza umile
e senza limiti devota, con amore di figlio in Gesù Cristo, la sacra visita,
e qualunque disposizione o provvedimento la sacra Congregazione dei religiosi
e vostra Eccellenza rev.ma crederanno di prendere, qualunque ordine o consiglio,
e tutto come ci venisse dal santo Padre e dallo stesso nostro Signor Gesù Cristo.
E ringrazio particolarmente il Signore di averci dato per visitatore
vostra Ecc.za. rev.ma padre. vostra Eccellenza può pensare lo stato della mia anima
nel trovarmi lontano dalla mia Congregazione in questo momento,
in cui vorrei essere il primo a dare a tutti i miei l’esempio di piena sottomissione
e di umile divozione. A tutti però già ho indirizzato una lettera, della quale unisco copia -
dandole e vi ho posto la data del 10 luglio, poiché l’incarico a v. Ecc.za
mi pare sia stato conferito da quel giorno.
D’altra parte l’esser lontano gioverà a mettere in rilievo la piena libertà d’inchiesta, -
e di qui, intanto, pregherò.
Però, qualora v. Ecc.za credesse veramente indispensabile la mia venuta,
io mi metto a sua piena disposizione, quantunque qui mi tengono ragioni molto gravi,
che mi pare rendano necessaria la mia presenza ancora per qualche tempo -
come alla santa sede e a vostra Ecc.za rev.ma potrà riferire questo Ecc.mo Nunzio,
che è in procinto di partire per Roma, perché trasferito in Ispagna.
Quel po’ di bene che, sorretto dal Signore, si è potuto fare,
fu sempre con la approvazione cordiale di questo Eminent.mo Cardin. Arcivescovo,
del Nunzio apostolico e dei Vescovi e con la loro benedizione,
per non dire per compiere i loro desideri.
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E qui mi par conveniente manifestare a v. E., in via riservata,
che, quando ho lasciato l’Italia, non sono venuto in America
solo con l’intendimento di visitare gli Istituti che la Piccola Opera già aveva qui,
ma, senza dirlo. neanche al don Sterpi, per non dargli più grave dolore,
mi son gettato in mare, quasi come un Giona, sperando che la mia lontananza
avrebbe calmate onde furiose, e salvata la povera barca della mia Congregazione.
Ed era pur necessario che io mi allontanassi, per porre un atto, a tutela del mio buon nome.
Da oltre quattro anni avevo atteso invano, - in silentio, in oratione et in spe,
che si dicesse una sola parola a riparazione di una terribile calunnia,
divulgata in diocesi e fuori, molto simile a quella del cattivo prete Fiorenzo.
Vedendo che oramai, era vano sperare, ho creduto di dover seguire
l’esempio di S. Benedetto che abbandonò Subiaco e si ritirò a Montecassino. -
E mi sono tolto silenziosamente da Tortona.
Lasciai la Congregazione in buone mani e la mia causa nelle mani di Dio.
Col mio Vescovo mi lasciai benissimo: - in venti anni di Episcopato
gli fui sempre come un cane fedele, lo amai più che padre, lo sostenni,
lo difesi in tutto quello che si poteva, e gli fui tanto divoto e attaccato
che tutti ritenevano che fossi come il suo confidente e che potessi su di lui.
Invece io non gli feci mai una domanda che si riferisse al governo della diocesi;
e quando egli accennava a qualche cosa, cercavo sempre di calmare, di addolcire,
e poi deviavo il discorso. Mi pare di essergli stato sempre figliolo devotissimo,
e anche da Genova gli telegrafai, dal piroscafo.
Quando sono andato a prendere la benedizione della partenza,
ben sapevo che non l’avrei più veduto, ed ho pianto tanto, da solo, che Dio lo sa.
Io portavo con me un grande grande dolore! Qua giunto, dopo le sante giornate
del Congresso Eucaristico, e con lo stesso piroscafo che ritornava, gli ho scritto
che perdonavo tutto, che avrei pregato sempre per tutti, ma che egli, che sapeva
che teneva in mano i documenti, avesse detta almeno una parola a tutela dell’innocenza,
e con lagrime e cuore di figlio lo supplicavo che non volesse morire così.
Pur troppo quando la mia lettera giunse era morto da un giorno.
E anche quella lettera, scritta d’inginocchio, pare che qualcuno ne abbia fatto un arma, e fu messa non nella sua luce anche presso l’Em.mo Cardinal Minoretti.
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In che mani poi sia andata a finire non lo so. - Al mio nuovo Vescovo di Tortona
io
non glieno ne
ho mai scritto per evitargli noie. Ma siccome la diffamazione
era stata diffusa anche fuori diocesi, credevo che il Vescovo Mons. Grassi
fosse in dovere di rilasciare almeno una parola scritta da restare in archivio, -
che avesse dichiarata l’innocenza, tanto più che non si chiedeva l’umiliazione di alcuno. -
Ora siccome sono all’oscuro, e non so che cosa possa aver provocato la sacra visita,
mi perdoni Iddio e vostra Ecc.za, se ho creduto doverla mettere al corrente
di qualche mia pena; che volentieri avrei sepolta con me nella tomba.
I miei, purtroppo, hanno saputo anche questo, e loro prima di me;
vostra Eccellenza se si trattasse di questo, faccia tutte le inchieste, anche in Isvizzera,
dove l’infamia sarebbe stata diffusa, e Dio la assista.
Io, sapendo che affidavo la Congregazione a buone mani, a don Sterpi,
ho creduto di assentarmi, ed ho lasciate nelle mani di Dio la mia causa.
Penso che la sacra Congregazione dei religiosi abbia trasmesso a v. Ecc.za
alcuni quesiti, ai quali dovrà rispondere. don Sterpi mi ha scritto che ai religiosi
gli hanno detto di avermi mandato un ricorso a cui io non avrei risposto.
Dio mi è testimone che io assolutamente non ho ricevuto,
e so che neanche al protocollo della stessa s. Congregazione risulterebbe
che sia stato spedito. Perciò, se non sono indiscreto, vorrei pregarla, fin dove può,
di mettermene a conoscenza, perché possa, a mia volta dare qualche lume
sulle ragioni che possono aver determinati i fatti, sui quali si sono avanzati i dubbi.
Quando, prima di partire, fui dal S. Padre, in udienza privata,
Egli dolcemente si lagnò che da tanto non ero più stato da lui. Ed era vero, era un anno,
quantunque lo avessi veduto più volte durante l’anno nelle udienze pubbliche.
Ma se il Santo Padre avesse mai conosciuto certe sofferenze, oh; avrebbe capito tante cose
e avrebbe pianto con questo suo povero figlio.
Per divina grazia, mi pare d’aver sempre lavorato e sofferto d’inginocchio,
ai piedi della s. chiesa: - l’unico mio sospiro è di vivere e morire d’amore
ai piedi di Gesù crocifisso, del Papa e della chiesa, stretto alla Madonna SS.ma.
E finisco. Si degni pregare per me, caro padre Abate, come farò io per lei,
e Iddio sempre la conforti.
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La ringrazio, con amino profondamente grato, del bene che farà a me
e ai miei religiosi; le ripeto, saremo tutti e sempre lietissimi di tutto che ordinerà
e disporrà in Domino.
Le bacio con grande stima e venerazione le mani e sono di v. Ecc.za rev.ma
umile e divoto servitore in Cristo.
Sac. Luigi Orione
dei figli della Divina Provvidenza
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