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[Il corsivo azzurro è grafia di altri]


          Bs. Aires, 19 Agosto 1936

          Calle Carlos Pellegrini, 1441


 A Sua Ecc.za rev.ma il sig. Abate Caronti nostro Visitatore apostolico.


 La grazia del Signore e la sua pace siano sempre con noi!

 Quanto la ringrazio, Ecc.za rev.ma della sua lettera, data nel giorno di S. Gaetano,

e piena di tanto spirituale conforto! - Ho desiderato risponderle subito,

e nei di passati mi sentivo come a disagio, ma ella mi vorrà scusare, che non potei

perché sempre un po’ qua un po’ là fuori di Bs. Aires. Sì, il Signore è tanto buono,

che mi ha fatto venire a conoscere v. Eccellenza nella sua Badia,

quel ricordo subito mi è corso alla mente. Deo gratias! Della grande carità di v. Eccellenza

verso di me e della Piccola Opera il Signore la ricompenserà largamente,

e tutti le saremo sempre grati. Ho dato a leggere la sua lettera al Nunzio apostolico

e al mio confessore, un cappuccino di q codeste parti,

fratello del superiore delle Missioni Estere di Parma, padre Filomeno,

e ne furono edificati. - Come fa bene lo spirito di carità!

 Grazie, Eccellenza, delle disposizioni che ha dato;

grazie di quelle che crederà di dare, qualunque esse siano; non solo le ricevo

con piena adesione di mente e di cuore, ma con la più profonda gratitudine.

E, col Divino aiuto, io ed i miei riceveremo, con sempre maggior gaudio

dello spirito tutto quello che si deciderà, a bene delle nostre anime e della Piccola Opera.

Le sono anche molto tenuto della carità che usa a me e a questi figli di lasciarmi,

per ora, qui; c’è, veramente, ancora molto da fare e molto lavoro.

 Non conosco don Calabria che per le cose belle che ho udito di lui,

mi hanno fatto del bene e ne ho ringraziato Iddio; e penso che qualche volta

avrà pregato anche per me, come ho fatto per lui, benché, mi senta purtroppo

tanto da lui lontano nel cammino del Signore.

 Mi farò premura di dare a v. Ecc.za quelle informazioni su cose e persone

che ella desidererà, e le manderò anche esatta relazione di queste Case.

 Come don Sterpi avrà detto a v. Ecc.za, le Costituzioni vennero stese

da un Eminen.mo che fa parte della stessa Congregazione dei religiosi:

fu una grande degnazione e carità che ci ha fatto; deve aver sacrificate tutte o buona parte

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le vacanze d’un autunno, chiudendosi nell’Eremo dei Camaldolesi sopra Frascati.

Non cesserò mai di essergliene riconoscente.

 Eppure, così come sono, confesso che non mi sentivo di presentarle

alla s. Congregazione dei religiosi, e ciò è anche uno dei motivi della nostra tardanza.

M’ero rivolto a lui, religioso, già professor di Diritto canonico, e prima anche parroco,

membro della Congregazione dei religiosi e Vescovo di diocesi, in concetto di prelato

piuttosto esigente, attaccatissimo alla S. Sede e piuttosto stretto,

perché più sicuro che avrebbe fatto una cosa tutta chiesa e Papa,

come vuol essere lo spirito della Piccola Opera; tutta fede e carità, ben definita e stretta,

perché io, veda, rev.mo Padre, sono piuttosto inclinato ad essere largo,

ed avevo bisogno come una diga ben forte.

 Ora non dubito che se per noi è venuto l’ora di Dio, nostro Signore

ci porrà la sua santa mano, valendosi di vostra Eccellenza rev.ma.

 Noi preghiamo tutti che si compia la volontà di Dio sopra di noi,

e la riconosceremo in quello che la S. Sede stabilirà.

 Sono tanto contento che v. Ecc.za sia a Tortona, e cominci la s. Visita

nei giorni della santa Madonna della Guardia, e veda e prenda il primo contatto

coi figli della Divina Provvidenza come ai piedi di Maria SS.ma -

Il Signore la conduca e la conforti nella apostolica fatica.

 Sì, don Sterpi è veramente un buon religioso, di poca apparenza

ma di molta sostanza in Domino: ci conosciamo dai banchi del Seminario,

e sono più di 40 anni che la Divina Provvidenza ci ha uniti nella sua Piccola Opera.

 Anche il maestro dei novizi è di poca, anzi di ruvida apparenza, ma è fino di spirito,

è molto discernimento. Veramente io lo tartassavo anche un po’ troppo,

promettendogli sempre mille lire ad ogni novizio che allontanasse,

ma lo facevo perché stringesse, e non fosse troppo madre pietosa.

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Però ho stima di lui, che è venerato da chi resta e da chi va, e che anche dopo anni

e anni del noviziato, tutti lo portano nel cuore.

 Quanto al fatto doloroso che mi riguarda, e che, in un primo tempo ho dubitato

avesse provocata la visita, è cosa un po’ lunga a dirsi quì. Ma v. Ecc.za potrà

a Tortona conoscere come la cosa andò da don Sterpi, e dal can.co Perduca,

da don Gatti Vittorio. - Il can.co Bornaghi del Canton Ticino fu quello che avvertì i miei

della diffamazione giunta ai suoi orecchi - credo egli stia a Bellinzona.

Io ero all’oscuro di tutto, quando un giorno, giunta la posta, apersi anche una lettera diretta a don Sterpi, assente. Vedi con gioia che era di s. Ecc.a Monsig. Bacciarini

di S. M. amministratore del Canton Ticino che conoscevo tanto e con venerazione.

Ma, leggendola, non compresi subito, tanto la cosa era strana; egli rispondeva

a lettera di a don Sterpi, e gli mandava una dichiarazione di un suo parroco, -

(non era il don Bornaghi) - il quale dichiarava d’aver avuto in sua casa

due preti del tortonese, uno dei quali arciprete, e d’aver saputo che Don Orione,

quando era a Messina, in qualità di Vicario generale, avrebbe frequentata

una casa di prostituzione, e che c’era il nome sui registri.

 Don Sterpi portò al Vescovo di Tortona la deposizione; furono chiamati i due,

i quali pare fossero già stati prima prontamente avvertiti da quello che già era stato chiamato da Mons. Bacciarini, o da altri, e fu un corri corri ai ripari. A Tortona si giurò,

(credo), il contrario; il parroco di Melide (Svizzera), quello che, preso all’improvviso,

aveva giurato, giurò pure il contrario di quanto aveva giurato prima. -

La diffamazione però si diffuse in Svizzera e nel tortonese, anche secolari la seppero.

Il can.co Bornaghi poi non l’aveva udita dal parroco di Melide, ma già da un altro.

La cosa mi parve anche più grave in quanto io avrei commesso tali azioni indegne

mentre ero Vicario generale, posto là da Pio X.

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 Fosse stato solo per me, non avessi avuto dietro di me Sacerdoti e chierici

e la Congregazione; - (per quanto minima) - sostenuto dalla grazia del Signore,

avrei portato tale obbrobriosa infamia in silenzio e in adorazione ai piedi del crocifisso;

tale umiliazione mi avrebbe servito a purgarmi dei purgare i miei peccati,

e a portarmi al possesso dell’umiltà, dal momento che humiliatio via est ad humilitatem.

Ma le dichiarazioni scritte, che dicono smentissero, rimasero segrete,

mentre la dichiarazione è corsa, e nulla fu fatto per smentirla.

Così che si potrà poi sempre dire che la cosa è vera. E so che questo si tentava

anche un po’ prima della mia partenza da Tort dall’Italia . .

 Ho aspettato, ho aspettato tanto. Purtroppo

mi sono dato conto che non si volevano fastidi, e uno stato di cose molto penoso.

Quando dopo qualche quattro anni circa conobbi che non c’era nulla più da sperare,

son partito per porre un atto e salvare l’onore.  Ho perdonato a tutti;

non chiedevo né chiedo l’umiliazione di nessuno; ho pregato e pregherò sempre per tutti.

Non ho turbato (per l’aiuto che mi ha dato n. Signore) la carità con nessuno.

Mi limito limitai a chiedere che, fatto l’esame dei documenti,

si rilasciasse una dichiarazione che dicesse che la diffamazione corsa sul mio conto

mancava di fondamento. Mi pareva fosse il minimum che dovessi richiedere, per me

e per la mia Congregazione, da lasciare in archivio, per ogni buon conto, e pel futuro.

 A Messina c’era con me Mons. Paolo Albera, allora ora Vescovo di Mileto,

che potrà deporre sulla mia condotta. C’era Mons. A. Paino. Egli era in Curia con me,

come c’era il can.co Dattila. L’attuale Arcivescovo Mons. Paino

non era ancora Arcivescovo di Messina, ma mi conosceva e può dire che cosa facevo.

L’onorevole Micheli e il Senatore Mariotti, (se vivesse), potrebbero riferire,

ma più il Conte Roberto Zileri Dal Verme (Padova), che si fermò colà alcuni anni.

 Ero pure delegato del Patronato Regina Elena per gli orfani del terremoto,

e di frequente dovevo andare anche a Reggio C. L’Arcivescovo di allora,

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Mons. Russet, è morto, ma vive suo fratello, Mons. Agostino Rousset,

che è Vescovo di Ventimiglia; io sempre andavo dall’Arcivescovo,

e tutti sapevano la mia vita. A Messina c’è anche il can.co Vitali, Superiore generale

della Congregazione del can.co Di Francia, il can.co Celona, il padre Francesco Narbone,

gesuita, che, sino a qualche anno fa, fu assistente del Generale per l’Italia,

quando io ero a Messina. Egli pure era a Messina, superiore.

Anche il Duca Gallarati Scotti fu laggiù per qualche tempo, a sollevare le miserie,

e può riferire. - Mons. Emilio Cottafavi, che morì Vescovo di Civitavecchia,

era delegato Pontificio, e da Reggio veniva frequentemente a Messina

per combinare su le chiese e gli Istituti, che la carità del S. Padre Pio X

faceva sorgere in tutta la zona desolata dal terremoto. Se egli avesse mai sospettato

in me un vizioso, mi avrebbe mai dato l’Istituto di S. Prospero in Reggio! Ed io ero là,

un Vicario imposto, veduto come erano veduti i settentrionali, mandati da Roma

al g Governo della diocesi di Sicilia. E in una posizione più difficile

che quella di un Vescovo, perché in sottordine, et ad tempus,

per le circostanze eccezionali di Messina: posizione delicatissima, con ordini da Roma,

e anche col mandato di fare da ponte tra l’Arciv. e l’Autorità civile.

Come non si sarebbe saputa la mia vita male, se mi pesavano fin il fiato,

e se si teneva conto di tutti i miei passi! Poiché io passavo come un intruso

che era là a togliere quel posto ad uno di loro, e come fossi stato una spia di Roma.

Il Signore sa come stavo là e i miei dolori, ma mi pare di non aver fatto piangere nessuno,

avendomi la Madonna molto aiutato.

 Fu in quel tempo che il S. Padre Pio X si degnò darmi la facoltà

di far ordinare i miei chierici. - Dopo la morte di Pio X, m’è sorto il dubbio

che gli autografi non avessero più la loro forza:

mi presentai alla s. Congregazione dei religiosi e portai gli autografi.

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 Avrei potuto presentarmi al S. Padre Benedetto XV

che aveva per me tanta benevolenza, ma ho ritenuto meglio andare per tramitem.

E da sua Eminenza il Cardinal Scapinelli, prefetto, ebbi la più ampia assicurazione

che la facoltà permaneva: munì gli autografi del suo sigillo, e ricordo bene,

come fosse adesso, che mi disse: la facoltà dura fin che lei vive,

perché è data ad personam.

 Io ben capî però che durasse fin che ero superiore,

o non fosse da altro Papa revocata. Dopo parole così esplicite

del Card. prefetto dei religiosi, io non ebbi mai alcun dubbio

di non avere la facoltà per le ordinazioni. Questo scrivo perché so che alcuno a Roma

deve aver sollevato qualche dubbio, e sentivo doveroso far conoscere esattamente

a v. Ecc.za la cosa, e, se occorresse, sono pronto a darne giuramento,

unicamente per la verità. Ciò detto, l’umile scrivente, non avrà maggiore felicità

che di compiere la volontà di Dio nella volontà, disposizioni e desideri di V. Ecc.za

e della s. Congregazione dei religiosi.

 Ma ora m’avvedo d’esser diventato davvero prolisso, e voglia perdonarmi.

 Vorrei potere poterle esprimere tutto quello che sente la mia anima verso di lei

e della sua Comunità per le orazioni che fanno; anch’io voglio pregare

secondo le intenzioni di v. Ecc.za rev.ma, e farò pregare tutti questi miei,

religiosi, fanciulli e poveri. - Per la misericordia del Signore vivo qui nella povertà

e tra i poveri di Gesù Cristo. La Provvidenza non è mai mancata, e si serve della pietà

e generosità di anime buone. Non ho mai chiesto danaro a nessuno,

e non ci è mai mancato nulla. Non ci sono debiti; è tutto il Signore che fa,

è tutto la S. Madonna e S. Giuseppe Benedetto Cottolengo. Con questo non Le dico

che mi manchino pene, no... la più grande è di vedermi così cattivo e freddo col il Signore,

che sempre prometto, e poi... faccio soffrire il cuor di Gesù con tante mie magagne.

Confido nella Divina Misericordia e in Maria SS.ma v. Eccellenza

non dimentichi questa mia povera anima mentre già farà tanto bene a codesti cari figlioli.

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 Faccia da padre a tutti, cominciando da me che più di tutti ne abbisogno;

ci nutrisca nella pietà, nella umiltà, nella orazione, nell’osservanza poi della vita religiosa,

soprattutto dello spirito di carità. Ci faccia conoscere sempre più il Signore,

ci faccia amare n. Signore di un amore puro, l’amore della santa carità, senza misura.

 E ci faccia conoscere noi stessi, me stesso, e il mio nulla,

e c’insegni a porre tutta la nostra fiducia nella Divina Provvidenza.

 Le bacio con profonda venerazione le mani; mi inginocchio ai suoi piedi

e la prego di benedirmi, e porti la sua benedizione e carità a tutto e a tutti.

 Suo dev.mo servitore in Gesù Cristo


         Sac. C. Luigi Orione

         dei figli della Divina Provvidenza

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