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[brano di lettera]

[alle Suore della Michel, in Brasile]


... a quelle vostre consorelle, le quali la passeranno ad altre di Rio, e da Rio a Campos.

Queste poi la vogliano distruggere. Non dico di mandarla qui,

perché qui ho già detto a voce a queste suore, e a S. Paolo ho scritto una lettera speciale

il 17 dicembre, da Rio, ove già si contenevano gli stessi pensieri.

 Queste parole giungeranno ad alcune vostre Case un po’ tardi,

ma, se non altro faranno sapere che nella beatissima notte del santo Natale

ho pregato per voi, e specialmente perché lo spirito di umiltà, di umiltà, di umiltà

vada sempre più radicandosi nelle vostre anime, insieme con la più intima unione

e carità tra le vostre Case e tra tutte le suore «Figlie della Divina Provvidenza»

 Sì, è venuta l’ora di amare davvero Gesù e di servirlo in croce:

è venuta l’ora di dimenticare con religiosa magnanimità e annegazione,

quanto in passato può essere stato fonte di dissapori e di divisione:

è venuta l’ora di pregare di più; e di mettervi tutte nel cuore trafitto di Gesù Cristo

per formare, tra tutte e di tutte, come un cuore e un’anima sola,

rinsaldando in Gesù Cristo l’unione e sigillandola con quella soavissima

e santa pace che Gesù portò sulla terra alle anime piene di buona volontà.

E se voi, o suore, non aveste buona, umile e sincera volontà di far bene

e di vivere in carità, in unione e pace, - chi l’avrà la buona volontà,

se le suore stesse, se le mistiche spose di Gesù Cristo, invece di andare avanti

con semplicità e buon volere, vedo che alcuna ha delle pieghe nell’anima,

dove si nasconde uno spirito che non è lo spirito di Dio?

Come potrete potrà pretendere alcuna di voi di avere la pace di Gesù

e di essere vera suora, se, invece di alimentare in sé lo spirito di semplicità del Signore

andasse avanti con doppia faccia?

 Ah io, servo e schiavo dei servi di Gesù Cristo e della s. chiesa di Dio,

scrivo a tutte e a ciascuna di voi, o figlie della Divina Provvidenza,

e scrivo a voi nel prezioso sangue di nostro Signore

per supplicarvi ad avere più amore di carità verso l’anima vostra

e verso la vostra Congregazione, e ad ardere di più di amore di Dio,

e ad accendere la vostra lampada ogni dì più di divino fuoco di carità,

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alimentando la vostra vita di umiltà, di umiltà, di umiltà e di umile e sincera pietà,

che non stia solo nelle formule materiali, buone anch’esse, ma che non sono la pietà; -

badate che altro è la pietà solida, altro le pratiche di pietà: queste sono mezzo, non fine

 Ma insisto, sopra tutto, sull’umiltà: l’umiltà è la prima lettera dell’alfabeto religioso

e anzi cristiano, - alfabeto che tutti dobbiamo imparare.

L’umiltà è il fondamento e la base di tutto.

L’umiltà non solo è la prima lettera dell’alfabeto della virtù e della perfezione,

ma è tutto l’alfabeto: tutto sta lì. Senza umiltà non s’imparerà mai a leggere bene

il libro delle virtù e della vera vita secondo Gesù Cristo.

Bisogna che riteniamo bene a mente ciascuno di noi che noi siamo i maggiori peccatori

e la più vile cosa del mondo, e che ciascuno ami veracemente

di essere tenuto per roba da nulla e da tutti ignorato e tenuto in bassissima stima

e disprezzato e avuto a vile.

 E questa sommissione d’animo dobbiamo avere in noi,

e sempre desiderare d’essere reputato nulla.

 Ma quando in una Congregazione s’incomincia a fare delle questioni

perché si è o non si è chiamata madre, e se ne fa da alcune un cavallo di sorda guerra

e fin di divisione, - allora ritenete bene, o figlie della Divina Provvidenza,

che molto molto c’è da pregare e da piangere, perché in quelle che così operano

non c’è nulla di quanto è di assoluta necessità per essere religiose non di velo,

non di apparenza, ma di sostanza, di vita e di virtù.

 E di quella roba che si chiama Santità non c’è nulla proprio nulla,

eccetto che un po’ di velo e di finzione.

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