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Anime e Anime !
da Victoria, F.C.C.A. (Buenos Aires)
il 21 febbrajo 1922.
Caro don Camillo e cari miei chierici,
È oggi un mese che ho lasciato Mar de Hespanha, e dopo aver scritto,
durante questo tempo, a don Mario e a don Dondero più d’una volta,
ho pensato oggi di scrivere una lettera anche a voi.
ma
Indirizzo a voi, ma però desidero sia letta anche ad
essi, per il maggior consenso
delle
idee degli animi e delle idee, e per dare uniformità
d’indirizzo e di spirito alla casa.
Con l’ajuto del Signore fra non molti giorni andranno dunque a riaprirsi
le
scuole interne di codesto Istituto di Mar de Hespanha, ed io
vivamente amerei
ho desiderato trovarmi con voi altri, o miei carissimi figli, che a me vi siete generosamente
uniti per servire insieme e insieme amare N. Signore Gesù Cristo e la Sua Chiesa
nei poveri, e specialmente negli orfani, lavorando sotto le ali della Divina Provvidenza.
Valga questa lettera a riparare in qualche modo, la mia forzata lontananza,
e
abbiatemi e vogliate avermi spiritualmente presente
sempre, ma in modo particolare
all’inizio di questa nuova riapertura di scuole e nelle vostre preghiere.
Io pure sempre vi ricordo al Signore, e nel Signore, e Iddio solo sa quanto ho desiderato
trovarmi e trattenermi di più con voi, e con ciascuno di voi più a lungo, nella dolce carità
del
Signore di Gesù Cristo; ma Iddio sa anche che ho
pure altri doveri,
e che venire ora non m’è possibile, e sia fatta la sua santa volontà!
Spero però di passare ancora a rivedervi avanti di ritornare in Italia,
e
allora vi racconterò porterò
tante buone notizie di questi fratelli nostri, che
i quali qui vivono cor unum et anima una e sono l’esempio e l’edificazione di tutti,
a gloria di Dio benedetto.
Ed ora lasciatemi entrare in tema, poiché breve ho il tempo, e molto è il lavoro.
La Scuola secondaria, che ora, col divino ajuto, si riapre in codesta città,
penso
che riuscirà di
molto merito a voi che la fate, o cari miei figli in Gesù
Cristo,
e penso darà certamente buoni ed efficaci risultati per quei giovanetti che la frequenteranno
(siano essi del I che del II anno) se, come già disse Tommaseo, la scuola sarà tempio
di vera educazione cristiana e civile e di soda istruzione, irradiata dalla fede.
La scuola nostra dovrà essere rispettata come una chiesa, e da noi trasformata
in una cattedra di ministero sublime, in una palestra di vero apostolato.
Essa deve essere amata da noi, e deve farsi amare dagli alunni,
anzi
chi insegna deve farla amare, così amare
che essa dovrà diventare come la casa sacra
al
sapere e alla virtù naturale dei
nostri alunni: essi non devono quasi avere altro pensiero
che trovarsi con i loro Maestri e la loro Scuola.
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E chi insegna otterrà questo se renderà amabile (non mai pesante)
e attraente l’insegnamento, conducendo avanti i suoi scolari come fa la mamma,
che conduce a mano i suoi bambini. Per rendere meno faticoso lo studio, il Maestro,
dopo aver studiato lui, ed essersi bene preparato per conto proprio,
studierà quasi insieme con la scolaresca.
La scuola dev’essere una famiglia, ma famiglia morale bene disciplinata,
e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con molta cura.
Ogni tanto vogliate fare vibrare nella scuola la corda del sentimento e del cuore,
elevandovi poi fino a Dio, voi e i vostri alunni: così si educa!
Un Istituto di educazione è sempre una grande opera di carità, e dice la S. Scrittura:
qui ad justitiam erudiunt multos, quasi stellae fulgebunt in perpetuas aeternitates!
E specialmente fatta da noi, e nel Brasile, che è così insidiato nella sua Fede,
la nostra scuola debba essere un vero apostolato, e una vera scuola di formazione cattolica
di tutti i giovanetti che a noi vengono. Oggi il Brasile, e, in genere, quasi tutta l’America
del Sud, è presa d’assalto dai protestanti, dal teosofismo e dallo spiritismo.
I soli protestanti dell’America del Nord hanno votato ben 150 milioni di dollari
per evangelizzare a suono di monete d’oro l’America del Sud.
Sotto c’è lo scopo politico: il dominio. Ma purtroppo, intanto molti deboli
o ignoranti nella fede si lasciano adescare e comperare, e vendono l’anima loro
per un piatto di lenticchie, come già fece Esaù. Bisognerà prevenire
e premunire la gioventù, e valerci della scuola per istruirla bene nella Religione,
per portarla a vita pratica cattolica e salvarla. La buona riuscita sarà assicurata,
anche negli studî, se noi li educheremo a coscienza, e se formeremo in essi
un solido fondamento di fede, e una volontà e un carattere forte e sinceramente cristiano.
Oh quanto bene sarà per cotesta Parrocchia specialmente! sarà assicurato l’avvenire
e la vita morale e religiosa del paese, che è base di tutto.
Ma, per riuscire, dovete essere altamente persuasi e ben compresi
che non v’ha che una sola forza a rendere buoni i giovani e a farne degli araldi di fede
e di bontà e di progresso morale e civile per la società: non v’ha che una sola forza:
la benedizione di Dio sul nostro umile lavoro, e la verità data in tutta la sua estensione,
nella sua forma naturale e imperfetta e nella sua forma soprannaturale e perfetta,
che è la grazia di Gesù Cristo.
La benedizione di Dio invocatela con una S. Messa e col Veni Creator Spiritus,
presenti tutti gli alunni. E voi, cari chierici, farete in essa Messa la S. Comunione
anche ad exemplum, e pregherete per i vostri alunni e indi si dia la benedizione
col SS. onde nostro Signore benedica Lui questo nuovo anno scolastico.
Poi un sacerdote dica brevi parole e spieghi il significato, e ricordi che:
initium sapientae timor domini! e che i giovani devono studiare
per compiere il loro dovere, per crearsi il loro avvenire e rendersi capaci di aiutare
la famiglia, di onorare la loro città e di rendersi utili alla loro patria.
E si invochi la SS. Vergine: Sedes sapientae!
E non solo a principio, ma si dicano sempre ai giovani parole di incoraggiamento,
cercando che siano sempre animati al bene e anche entusiasmati allo studio, al lavoro,
impegnandoli con discorsi ardenti e pieni di elevatezza e di bontà.
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I giovani vanno educati tenendo sempre presente che sono esseri ragionevoli
e che sono cattolici: si devono dunque adoperare due mezzi: la ragione e la Fede cattolica,
cioè fede universale ed integra. Ricordiamoci sempre che i mezzi esteriori e meccanici
non potranno sostituire mai né dare il bene che consiste nella verità e nella grazia di Dio,
ma solo possono disporre gli animi a coadiuvare, in qualche modo, a ricevere la verità,
e la grazia.
Quell’educazione che riponesse ogni sua confidenza nei mezzi puramente negativi,
esterni o dispositivi, e trascurasse poi i mezzi immediati e formativi,
produrrebbe negli animi giovanili effetti aridi e fors’anco funestissimi,
gli effetti proprii della scuola laica, e tutt’al più produrrebbe una bontà apparente, posticcia,
alla moda, una bontà che si potrebbe definire bontà da collegio, - e quanto a pietà,
una pietà che è una inverniciatura, una vera ironia di pietà, se non una simulazione,
una pietà che non va all’anima, che non fa pio il cuore, perché non è sentita
e
non da l’amore ha
penetrato lo spirito, pietà che presto svanirà e lascierà
peggio di prima.
Noi dobbiamo avere e formarci ad un sistema tutto nostro di educare,
un
sistema che completi quanto già di buono abbiamo negli antichi e
pure anche
nei moderni sistemi di educazione, un sistema che reagisca contro la educazione cristiana
data all’acqua di rosa, di apparenza più che di sostanza, di formule più che di virtù.
Noi vogliamo e dobbiamo educare profondamente l’animo e cattolicamente la vita,
senza reticenze e senza equivoci: educare ad una vita cattolica non alla francese,
cioè di nome e non di fatto, ma a vita cristiana cattolica di preghiera e di pietà vera,
vissuta e ignita, di virtù.
Cari miei, noi non avremo però mai fatto niente finché non rifaremo cristiana
nella sua anima di Fede e nella vita privata e pubblica la gioventù:
finché non avremo fatte cristiane le coscienze ed il carattere dei nostri allievi.
La Fede cattolica ed il carattere saldamente cristiano formato sul Vangelo
e sugli insegnamenti della Chiesa, sono le forze più potenti del mondo morale,
e i
giovani poi, quando vi uniscono sanno
unire il loro ardore giovanile, si impongono
allo spontaneo omaggio di tutti, e trascinano! Ma per trasfondere questo carattere
bisogna avere noi il cuore pieno di Dio e saper educare a Dio il cuore dei giovani,
perché è il cuore che governa la vita, e non l’ingegno, onde già i latini dicevano:
«Corculum quod facit homines»; un po’ di cuore: è il cuore che fa l’uomo,
cioè è il cuore che fa la grandezza morale dell’uomo, ma quando il cuore è,
quale dev’essere, un altare sacro a Dio!
Lo stesso sistema, così detto preventivo, non dice tutto, per me non mi soddisfa
pienamente, non mi pare completo.
Mi pare che oggi non sia più sufficiente o da tutti non così sufficientemente battezzato.
Finché esso è in mano di Don Bosco e dei salesiani, praticamente è completato
dalla religione onde essi lo animano, ma quando è in mano di educatori borghesi,
è quello che è, e fa quello che fa!
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Fondamento del sistema non solo deve essere la ragione e l’amorevolezza,
ma
la Fede e la religione cattolica ma
praticata, e il soffio di un’anima e di un cuore
di educatore che ami veramente Dio e lo faccia amare, dolcemente, insegnando ai giovani
le vie del Signore.
L’educatore deve sempre parlare il linguaggio della verità con la ragione, col cuore,
con la Fede! L’educatore cerchi di farsi altamente e santamente amare più che temere,
e si faccia stimare e amare nel Signore, se vuol farsi temere.
Viviamo in un mondo che va ridiventando pagano in fatto di Fede, ed è la Fede,
soprattutto, e la Carità di Gesù Cristo che devono ricostruire il mondo.
E chi voglia veramente educare ed edificare Gesù Cristo nell’anima dei giovani
e
della società, deve viverla la Fede e la Carità di Gesù Cristo:
esse devono
deve farle risplendere nella sua vita; si devono vedere risplendere fin sul suo volto,
nelle sue parole, in tutto il suo insegnamento! Allora la scuola riuscirà al suo fine cristiano
e
civile: riuscirà di molto merito a chi la fa e di efficacia
veramente consolante agli
per gli alunni, perché infonderà in essi il santo timor di Dio, che è base e principio
di ogni verace sapienza, e le massime di una vita intemerata e cristiana.
Per cui gli insegnanti non devono essere solo forniti di virtù per essi,
ma devono avere nella loro lampada olio per sé e olio per gli alunni, onde illuminarli,
condurli: comunicare loro la moralità e la religione, tutte cose che non devono esser
l’opera di una lezione o di una mezz’ora alla settimana, come si fa con altri insegnanti,
ma deve essere la sollecitudine di tutte le ore dell’anno scolastico
e di tutta la nostra impresa e della vita stessa.
E dove qualche estraneo venisse a fare scuola da noi, non potendo noi da essi esigere
tutto questo, suppliremo noi a ciò che a loro mancasse, soprattutto col buon esempio,
che
è di tanta forza sullo spirito dei giovani. Vedano questo in noi:
molto
tutto il nostro desiderio del loro vero bene, del loro miglior avvenire: vedano in noi
puntualità
e imparino così ad essere puntuali: vedano diligenza, nei
bontà di modi,
molta educazione, serietà (mai mai leggerezze), attività e zelo misto a dolcezza: fattività,
lavoro;
vedano studiare noi anche per
farli studiare essi.
Oh quanto impareranno dalla nostra pietà, ad essere a loro volta religiosi e pii!
Se il professore non si farà mai aspettare, darà agli scolari esempio di esatta diligenza!
Se vedranno che il Professore si prepara a far scuola, ed è sempre ben preparato,
- anch’essi non perderanno più tempo - Chi è che fa, che crea la scuola? È il maestro!
Chi è che fa gli scolari? L’esempio del maestro!
Da
chi dipende il xxxxx risultato
della scuola? in gran parte dal maestro!
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I giovani guardano il professore: vivono più del suo esempio che delle sue parole:
verba movunt sed exemple trahunt! è sempre vero.
Anche Seneca - e cito un pagano, mentre potrei citare cento Padri della Chiesa, -
diceva: Hunc elige praeceptorem quem mireris cum videris quam cum audieris.
E
il grande Severino Boezio morto in carcere per la Fede e sepolto a
Pavia, dove fui
sulla cui tomba da chierico prima e poi da sacerdote, andai per attingere forza
e
per ispirarmi nei in
momenti che erano decisivi e poi e
difficili, Severino Boezio,
santificato ora dalla Chiesa (scrisse egli in carcere il celebre trattato De Consolatione)
al Cap. VI, de dis., scrive: «Magister sit in sermone verax, (la verità sempre),
in judicio justus, pius in affatu, virtute insignis bonitate laudabilis,
mansuetus.... ita ut discipulis seipsum bonorum operum praebeat exemplum.
Esempio, esempio! esempio!
I giovani non ragionano tanto: seguono e fanno ciò che vedono fare.
E oltre al buon esempio, i Figli della Div. Provvidenza dovranno avere,
qualche nota speciale del loro insegnamento, di far risplendere Dio dappertutto
e la Provvidenza di Dio «che l’universo penetra e governa» come direbbe Dante,
farla risplendere la Div. Provvidenza e vedere dappertutto. E cogliere ogni occasione
perché
l’istruzione serva all’educazione e al perfezionamento morale, e
a formare
formi il giovane a salda coscienza cattolica, educandolo e rafforzandolo
nella parte migliore dell’uomo, la volontà, sede della virtù.
Niente di più commovente su questo punto di quanto poi leggerete nel Trattato
De Ordine di S. Agostino, specialmente al Cap. IX.
Bisogna i nostri ragazzi portarli alla bontà e alla formazione non solo,
ma alla perfezione e grandezza morale, che, come già dissi, sta soprattutto nella volontà
e nel cuore. Ed essa deve servire di scala per salire in alto, excelsior! per salire a Dio
e all’amore della S. Chiesa di Dio, che è il nostro grande e sacro amore.
Non vi dirò, anzi, vi dirò di guardarvi dal far prediche tutti i giorni,
né si dovrà trasformare la scuola in una chiesa, né la cattedra in pulpito, no,
ma tutto deve essere atto e santo, nella scuola come nella chiesa, però mai prediche
nelle
scuole; ma tutto in voi dovrà predicare Dio, e di tutto servirvi di
tutto per infondere
e
diffondere la Fede e l’amore di Dio benedetto: xxxxxxx
sarà oggi una parola
a metà spiegazione, sarà domani un riflesso; sarà bollare d’infamia una mala azione
di un personaggio storico: oh quando si ama Dio, tutto vibra di Dio! E si ha sempre
un gesto, una parola che fa di più di una predica intera!
Fate ben comprendere che mai la virtù nuoce all’uomo: gli nuoce sempre il vizio.
E fate, o miei cari, di tener sempre occupato l’animo dei giovani,
e dirò anche con diletto, non mai pesantemente.
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Fate scuola in modo che s’interessino e fate amare le materie di studio,
anche le più aride: non dite mai mai che esse sono difficili: fatele o rendetele loro facili.
Io una volta andavo in montagna a predicare, sopra Gabella, a Volpara Ligure!
Vado su a piedi da Cantalupo, vado vado e poi trovo un montanaro: quanto c’è ancora?
gli chiedo. Mezz’ora, risponde - Allora riprendo lena, e su! Cammino una buona ora,
e ancora non vedo spuntare nessun campanile. Trovo una donna, e le chiedo:
quanto c’è di qui a Volpara? Eh! mi risponde - ci sarà una mezz’ora!
Allora dico alle mie gambe: su gambe, coraggio! E così sono andato ancora due o tre ore,
finché
venne notte. ero su Mi
trovai su di un monte e in un bosco: vedo lumi più in basso:
vado,
vado, là era Volpara! Arrivai. Se m’avessero detto che sono
c’erano
quattro o cinque ore, mi sarei forse perduto di coraggio, e il dì dopo
non avrei certo potuto trovarmi a subito cominciare la S. Missione.
- Fate così voi con i giovani. Essi hanno coraggio: hanno le gambe buone
e dai 14 ai 20 anni possono e devono fare un grande cammino!
Emilio De-Marchi, sul frontespizio del libro «L’età preziosa»
riporta un detto di G. Baretti, che dice: «O se sapeste, Pino,
quante cose si possono apprendere dai quattordici anni sino ai venti!
Più assai che non in tutto il restante della vita, e sia lunga quanto può esserlo».
Fateli camminare, fateli camminare, i vostri alunni, ma in tutto, veh! in tutto:
nella pietà, nella virtù come nel sapere: guai a chi non mettesse Dio davanti ai giovani,
a
guida dei giovani! E
Allora la scuola sia
sarà così condotta che sia
amata e desiderata,
e
provano gli alunni
proveranno tale gioja spirituale, tale
felicità, che quasi non desiderano
desidereranno
più di andare a casa
loro, ma sempre vogliono
vorranno stare in Istituto,
e stare con noi, onde, affezionati altamente a noi e avendo piena fiducia e alta stima
della
nostra parola, credono crederanno
più facilmente a quanto noi diciamo
diremo:
comprendono
comprenderanno che ciò che noi consigliamo è il
loro vero bene,
e così ci sarà facile condurli a Dio, e occuparli nel coltivare la virtù e il sapere,
acciò non vadano a cercare diletti nelle cose frivole o, peggio, nelle basse ed indegne.
Il giovane deve avere l’animo sempre altamente occupato,
e
provare diletto nelle alte cose onde non si perde
diletti nelle cose basse e volgari.
E qui ricorderò la grande frase del grande S. Tommaso d’Aquino:
Nullus diu potest esse sine delectatione: ideo carens delectationibus, transit ad carnales.
Non temete di appassionare troppo i giovani secolari a sentire vivo il desiderio
di sapere, di studiare, di darsi alle lettere, alle scienze, alle arti:
cercate di dare ad essi il desiderio di formarsi uomini, di progredire, di sentirsi migliorati
e sempre più istruiti, di ambire di onorare in sé Dio, che li ha creati
e di cui siamo l’immagine: di onorare la famiglia, la città natìa, e il Brasile,
che molto aspetta dai giovani: unite sempre questi due più grandi e più sacri amori:
Dio e Patria, e infiammateli di essi: farete dei prodigi!
Non dividete mai questi due grandi sentimenti:
sarà, per i giovani una luce che durerà e si stenderà su tutta la vita.
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Pensate pure, o voi tutti di codesta casa, che l’avvenire dell’Istituto S Geraldo
sarà deciso in gran parte da voi, sì, proprio da voi! A voi, con più alta ragione,
si
può possono ripetere
quella quelle parole
che Catilina, nell’ultima arringa, diceva
rivolgeva
ai suoi soldati
commilitoni e che per me sono ora una reminiscenza classica
di un tempo lontano: Mementote in brachiis vestris vitam patriam et libertatem portare!
Se le parole non sono queste, questo n’è il significato:
ben più a ragione io vi dico: ricordatevi che voi porterete nelle vostre mani la vita
e
direi tutto l’avvenire
dell’Istituto: la vita o la morte sua sarà decisa da voi,
dall’andamento di quest’anno.
Ci vuole nella casa armonia di animi e desiderî, unità di desideri e lavoro in X.sto.
Pensate
alla vostra
responsabilità che avete davanti a Dio,
davanti alla Congregazione, davanti alla società: vi sono certi fallimenti
che non si possono ripetere: essi dannano a morte!
Io non vi raccomando le macchine, vi raccomando le anime dei giovani,
la loro formazione morale, cattolica e intellettuale. Curatene lo spirito,
coltivate la loro mente, educate il loro cuore! vi costerà fatica, vi costerà lacrime:
vi costerà disinganni e dolori; ma volgete lo sguardo a Gesù e pensate che lavorate per Lui
e con Lui e per la sua Chiesa, e che dalla mano di Dio avrete la vostra mercede.
Del resto, o miei cari, anche l’umana sapienza ci insegna che i dolori più fondi
ci danno le grazje interiori più alte, - e, come senz’acqua non fiorisce la terra,
così l’anima senza lagrime non fiorisce agli occhi di Dio. Senza forza d’animo
e
senza sacrificio e senza patire
soffrire, senza croce, non c’è virtù.
La croce in algebra, in politica e in religione è il segno del positivo.
Dio e il prossimo si amano in croce! Dio e il prossimo si amano e si servono in croce! -
grande verità! E sappiate nascondere le vostre lacrime nel seno della Vergine Addolorata,
e versatele quale balsamo sulle piaghe di Gesù crocifisso: sarà un balsamo
ben più prezioso e più gradito di quello che gli portava al sepolcro la Maddalena.
Chi cela il dolore è migliore di chi nasconde la gioja!
Chi ama veramente Dio, ama patire per l’amore di Dio: S. Teresa non diceva:
aut pati aut mori? E chi è uso a patire è uso a tacere. Chi poco sa tacere, poco ha patito,
poco sa patire, poco sa amare Dio e gli uomini. E tutto rivolgete al fine
per cui siamo venuti: la gloria di Dio! l’amore alla Chiesa di Gesù Cristo!
l’amore alle anime di Gesù Cristo.
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Fin qui sono giunto il 21, riprendo la lettera che siamo al 24 febbr.
Questa lettera, scritta a sbalzi, vedo bene che va a riuscire un grande zibaldone,
e ripeterò qua e là le stesse cose, gli stessi ammaestramenti, le stesse norme
date in una o due pagine innanzi, ma ciò che importa, è intenderci bene
e
formarci nella sostanza! Voi poi non la distruggerete, così
poi ci metterò ancora
le mani,
e
toglierò togliendo ciò che abbondasse, e vi
metterò mettendovi ciò che mancasse,
e che certamente mancherà, e potrà forse servire anche per altri fratelli.
Prendetela ora nel suo senso, nel suo spirito, più che nella forma:
è quasi il caso di ripetere qui: la lettera uccide, ma lo spirito, voglia Iddio che vivifichi
queste povere righe.
La bellezza delle cose, più che l’utilità e la forma, innalzi l’anima nostra
e dei nostri alunni a Dio.
Bisogna regolare subito bene l’orario, e fare in modo che sia da noi
e dagli alunni osservato con scrupolosa puntualità, e con severità anche.
L’insegnante senza metodo, ben poco concluderà.
Ogni gioja de’ vostri alunni sia vostra gioia: ogni loro dolore sia vostro dolore.
Non fate scuola a voce troppo alta. Non punite mai tutti: lodarli si!
lodare insieme, e punire divisi: grande massima; se li punirete tutti insieme
non
sentiranno l’umiliazione, crolleranno
le spalle e rideranno
ancora
perché sarà il castigo preso alla leggera, non fa mai l’effetto:
solatium miseris socios habere penantes! E qui è vero: tutti castigati, non è più castigo,
non fa effetto più.
Studiate i vostri ragazzi, osservateli, meditateli! volete istruire ed educare
e che il vostro educare sia un ministero sublime? Osservare, meditare, prendere appunti,
e
incoraggiare qualunque profitto, e anche
abbiate un vero e fraterno zelo
pel profitto di ciascuno, e che ciascuno veda che vi interessate di lui con premura,
come con amorevolezza come d’un fratello. Educate i giovani alle necessità
come alle gioje del dolore: la vita è seminata di lacrime! Anche in ogni gioja
vi è sempre una vena di dolore. Quando tocca loro un dolore, fatene ricercare subito
la ragione, e, come il Renzo del Manzoni, troveranno che la colpa bene spesso,
per diretto o per indiretto, è nostra.
Ma i dolori più fondi hanno le gioje più alte, e l’umana società è consegnata in modo che
sempre dal male esce un bene più grande, come dice bene il Manzoni
nell’«Addio ai monti». Cercate che i giovani capiscano di progredire tutti i giorni
in
tutti i sensi: e che
ogni giorno sentano di saperne un po’ di più della vita
e di essere diventati migliori e moralmente e civilmente e cristianamente.
Più essi avanzano in sapere e virtù, più cresce il vostro e il loro merito.
Ciò otterrete, o miei cari, rendendo le vostre lezioni vitali, e la vostra scuola
diverrà attraente, facile, interessante. Mantenendo poi ordine nelle lezioni,
puntualità
nelle ore prescritte se vi presenterete forniti della
del sapere, della scienza
e di tutte le cognizioni necessarie a soddisfare e a realmente istruire, -
se studierete non ciò che più vi piace, ma se vi preparerete seriamente sulle materie,
studiando ciò che più vi gioverà per insegnare bene e proficuamente,
studiando voi ciò che più gioverà agli altri per profittare.
V051P028
E
poi ricordiamo che un buon il
miglior professore non è sempre chi più sa,
ma chi meglio sa insegnare.
Rendete facile e popolare ciò che potrebbe essere difficile e faticoso a ritenere:
tenete vivi ed eretti gli animi degli scolari alle vostre spiegazioni, e sopra tutto sopra tutto,
raccomandatevi al Signore, voi e i vostri alunni. Vorrei a questo proposito
che leggeste poi almeno alcune pagine splendide di S. Agostino, grande Maestro,
nel De erudiendis pueris, ad es. il Cap. IV. E fate molto coraggio ai vostri allievi -
di questo già vi ho detto innanzi, ma non sarà mai abbastanza ripetuto - animateli sempre,
sempre, sempre, e non avviliteli mai, mai, mai! Ma se vorrete poi essere
sovranamente efficaci nell’arte di educare e di istruire, prendete a modello Gesù Cristo,
il Maestro dei Maestri. Badate, o figli miei, che il Vangelo è il più sublime trattato
di didattica e di pedagogia che esista. Vedete che metodo pieno di alta
e di popolare semplicità, efficacissimo sull’animo delle turbe, tiene mai Nostro Signore
nell’ammaestrare alla nuova e divina dottrina quel popolo ebreo che era uno dei più tardi
d’intelligenza, tanto che gli Ebrei non ebbero mai un artista un po’ degno,
ed erano ritenuti come i Beati della Palestina. E ad imitazione di N. Signore
nell’insegnare come nel correggere, siate pazienti, sereni, tranquilli, semplici, savii,
senza gridare mai, eccetto in qualche raro caso, ma operate sempre con giudizio,
con maturità, con pazienza (e mi ripeto, lo so bene) con pazienza, sopra tutto.
Sta scritto nel libro di Dio: in patientia vestra possidebitis animas vestras,
ma io vi dirò che possiederete anche le anime dei vostri allievi, se avrete molta calma,
serenità e pazienza con essi: se nella scuola li istruirete e correggerete con amore:
correggere vale a reggere insieme e ammendare altri e sé.
Bisogna considerare come son fatti i ragazzi, sùbiti e momentanei nei loro trasporti,
specialmente i brasileri, io lo vidi lì in alcuni nostri orfani e negli atteggiamenti morali
di quel Claudio, figlio del Capo Stazione. Badate che nel correggere i difetti
non istrappiate la buona qualità che gli è accosto: ricordiamo sempre la parabola evangelica
dove Gesù disse di andar con longanimità e con tatto per non strappare
insieme con la zizzania anche il buon grano.
Sono molto suscettibili e delicati di sentimento i brasileri, né bisognerà dare
eccessiva importanza a certi loro atteggiamenti. Con un sorriso li guadagnate,
con una parola aspra li perdete, li abbattete, perché hanno un carattere un po’ fiacco,
e fin troppo sentimentale. Sono molto portati per la religione come per l’educazione,
e sentono molto di essere brasileri: sono già di natura così fini che con loro
non saremo mai troppo educati né troppo fini. ma ricordiamo che gentilezza senza virtù
è menzogna e tutti i momenti smentita. Non ci sarebbe di peggio che usare con i brasileri
modi ruvidi, assoluti, che usare la verga (non dico proprio il bastone
che deve essere bandito sempre da noi, ma intendo dire la verga morale delle ruvide parole
o di parole offensive o poco parlamentari).
V051P029
Mai usiamo quel rigore soverchio che allontana i cuori, mai quell’asprezza
che ottiene l’effetto contrario, mai quelle parole volgari o villane che umiliano
più chi le dice che non chi le sente dire, ma che in fondo ad ogni correzione,
per quanto seria, vi sia sempre una parola che animi al bene e che riconforti il colpevole.
La virtù sgarbata non è mai della vera: quella è più virtù che ha più cortesia negli atti;
non basta conoscere ed amare la verità, conviene saperla dire ed operare:
noi della Provvidenza siamo molto deficienti nei modi. E quanto ci fosse da usare rigore
sia sempre con saviezza, con moderazione, e piuttosto si avvertano le famiglie,
e se poi poi non va, se poi poi non se ne può a meno, piuttosto si sospendano dalle lezioni,
prima per qualche giorno, poi per altri, e poi, nei casi gravissimi, piuttosto si dimettano
sia
dalla scuola che dalla casa: Qui
qui parlo sia per chi solo frequenta che per quelli
che coabitano con noi. Sed dimittantur cum consolatione, dice S. Ignazio: non vadano via
con l’animo pieno di veleno, mai!
Ricorderò sempre Mg.r Novelli, mio Rettore di Seminario, e tanto benevolo a noi
che, quando doveva allontanare dal Seminario qualcuno, lo faceva
con
santa si buona grazia
di persuasione che lo stesso espulso riportava sempre di lui
la migliore ricordanza. Così farete voi, tanto più che poi si tratta di parrocchiani
o di gente che ha aderenze in città. Esaurite prima tutti i mezzi che la Religione,
il cuore e la ragione vi suggeriscono. E quando dovrete pur dare qualche castigo
il vostro animo sia sempre elevato, e non abbia niuna apparenza di perturbazione,
ma fate vedere il dispiacere che avete di dovere, di essere obbligati - vostro malgrado -
a dover castigare. E le punizione siano date con parole e modi urbani,
che vi acquistino l’affetto e la stima, e non vi alienino mai l’animo né di chi è punito,
né dei suoi parenti, né di chi vi vede punire. E le ragazzate, prendetele per quelle che sono
per
ragazzate, e non castigate mai a
animo eccitate ad animo eccitato,
ma, possibilmente il dì dopo o dopo alcune ore. Date i consigli a tempo, e ne darete pochi.
Ripeto forse per la terza o quarta volta: molta pazienza, molta discrezione ci vuole,
molta bontà, molto amore di Dio e del prossimo.
Ma, attenti bene, non connivenza con le mancanze, non indulgere con i pigri,
non tolleranza con i viziosi! Altro è compatire i falli, altro è farsene complici.
E imparzialità con tutti, non beniaminismo, con nessuno, sia pure un S. Luigi o un Dante
o il figlio di Re: non parzialità, non preferenze, non beniaminismi, con nessuno!
Vi ricordate un gesto forte che ho fatto a tavola, nei primi giorni dopo il mio ritorno
dall’Argentina? Le avete sentite e le ricordate quelle parole? La lezione fu capita,
e quel ragazzo non comparve più dove, da più giorni, stava sempre. Era necessario!
V051P030
Imparzialità, e tutti siano trattati ugualmente, con uguale e santo affetto
in Gesù Cristo, con lo stesso impegno, con la stessa discrezione, con una buona dose
anzi di discrezione anche nel rigore.
Ai giovani parlate e pensate col cuore.
Da qui passo ad un punto delicato.
Non si tollerino discorsi, gesti, od atti scandalosi, se non volete che la maledizione
di
Dio venga cada su di
voi e sul nostro Istituto.
Guardate l’Istituto da quelli che fossero precocemente maliziosi o già guasti
dal mondo o viziosi. Il Manzoni dice d’esser stato rovinato in Collegio
(tenuto da Religiosi), da un compagno precocemente malizioso.
Vigilate, avvertitevi tra di voi, consigliate, prevenite, richiamate, poi avvertitene,
occorrendo, le famiglie - e, se non ci fosse emendazione - con dolore e facendo vedere
il vostro dolore, ma allontanate.
Prima base della vita civile e d’ogni sana educazione è la moralità e l’onestà
dei costumi, e ciò non solo per noi cattolici, ma per qualunque popolo
e sotto qualunque cielo.
Mi ripeto anche su questo, per non essere frainteso o, meglio, perché tutti vogliate
sempre ricordare quali sono su questo delicatissimo punto le idee del vostro Superiore
e il suo insegnamento.
Quando qualche vostro alunno mancasse nelle materie più delicate e pericolose di tutti,
voglio dire contro i buoni costumi, io voglio nel Signore e ordino nel Signore,
nella mia qualità di Superiore dei figli della Divina Provvidenza,
che si tenga assolutamente e a tutto rigore questa massima: «quando siasi trovato
un solo fatto d’un giovane che induce o tenta un altro al peccato d’impurità,
si licenzi subito». Che se poi vi avessero solo indizî, senza poterne avere una prova,
è dovere con ogni assiduità vigilare su di esso in tutti i momenti, e, alla più lunga,
al nuovo anno non accettarlo più, bastando, per non accettarlo, avere solo un grave indizio,
o parecchi indizî, benché non gravi, quando questi non gravi indizî, non sono dati,
cioè riferiti, da una sola persona, ma da più, e non da assistenti
o persone troppo vincolate fra loro, che l’una dica o si supponga possa dire o subire
l’influenza dell’altra, - o da un Superiore di molto conto, o savio e discreto.
E per salvaguardare i nostri alunni dai lupi, e crescerli a vita onesta e veramente cristiana,
ricordo che una delle nostre regole principali e proprie del nostro sistema di educazione
è quella di tenere i giovani sempre sott’occhio, e di non lasciarli mai e poi mai soli
né dì né notte, ma questa vigilanza dovrà essere esercitata quasi in modo
che
essi non se ne accorgano, onde di un
ogni buon assistente da
qui dovrà fare sua
suo,
quel
che per quanto si riferisce alla vigilanza assidua,
questo canone dato per l’arte:
«l’arte che tutto fa, nulla si mostra»: vigilare, pedinare, seguire sempre e dovunque
i giovani senza mostrarsi, senza farlo intendere. Essi non devono mai pensare
che noi abbiamo diffidenza, ma che li amiamo, che li stimiamo.
V051P031
Ora il cuore di un padre che ama, teme, e perché ama, teme; non è diffidenza,
è amore in G. Cr. Ma come ho detto il modo di regolarvi nei castighi e lo spirito
che si ha da portare nel castigare, così ora dico che si devono fuggire i due eccessi,
egualmente riprovevoli.
Si
bandiscano quei castighi che sono condannati dalla nostra
carità cristiana,
dalla sana pedagogia e dalle leggi vigenti, e ogni altra severa ed umiliante
o troppo lunga punizione che disdica a sacerdoti e Religiosi e ad educatori del cuore
e a salvatori di anime. Il nostro sistema, che chiameremo «paterno-cristiano»,
non solo bandisce assolutamente tutti i castighi troppo lunghi, penosi e umilianti,
ma, per nessun motivo, ci permette di trascorrere più a battere i giovanetti
siano studenti od artigiani, piccoli o alti, poveri orfani o figli di famiglie distinte.
Non si batta mai, per nessun motivo. Chi eccede, cede, ed è finito:
ha finito di poter far bene. Il rigore non si usi se non come medicina, nei casi rari,
rarissimi, e sempre senza passione e senz’ira, ma nella tranquillità dell’animo,
nella tranquillità della luce, nella pacatezza della ragione, tenendo lo spirito ben alto,
in
Dio! In una parola: non infliggere castighi, se non
proprio non ci si è costretti,
e
siano dati con sia il
rigore superato dall’amorevolezza: farsi più amare che temere;
farsi amare in Gesù Cristo e «ottenere tutto per amore e niente per forza»,
come diceva S. Francesco di Sales: farsi amare in Gesù Cristo per farsi temere!
Anche qui so di ripetermi, sed, in hoc, repetita juvant: farsi amare in Gesù Cristo
per farsi temere. Ma, come ho detto di bandire i castighi antipedagogici e anticristiani,
e di usare e instaurare un nuovo sistema nostro di educazione
«il sistema cristiano-paterno», così debbo vietare l’altro eccesso, che cioè si accarezzino
i ragazzi: Niente battere e niente accarezzare! Chi fa carezze, vive male e fa del male.
Si vieti perciò ai nostri alunni di tenersi l’uno l’altro per mano
e di passeggiare tenendosi a braccetto, o di mettersi, in qualunque modo, anche nei giuochi,
le
mani addosso: E e si
dia noi l’esempio!
Quest’avviso sia dato, sia ripetuto tante volte quanto basti,
e ne sarà avvantaggiata la moralità e l’educazione cristiana e civile, seriamente intesa.
Niente effemminatezze, niente sdolcinature, niente mollezza, tra i ragazzi o coi ragazzi, mai! Nessuno di noi usi tale familiarità coi giovanetti, e ricordiamo la nostra fragilità
e la necessità di mortificare il senso del tatto e anche gli sguardi, guardando i ragazzi.
Gli occhi, diceva bene S. Filippo, sono bene spesso le finestre per cui il demonio
entra nel cuore. Si bandiscano i più gravi e disdicevoli castighi,
ma anche si bandiscano le più leggere e quasi insignificanti carezze. Niente carezze!
V051P032
A tutti sia vietato l’accarezzare i fanciulli, di stringere loro le mani, di passeggiare
avvincolati con loro, di toccare loro le guance o il mento e ogni altro atto
di sentimentalismo e di affettività che va poi a finire nella passione e fin nella morbosità:
«Videtur esse caritas, et est carnalitas», dice l’Imitazione di Cristo.
A principio il diavolo si veste di luce, e insinua nel nostro animo che si debba usare
famigliarità per tirare al bene quel giovane, ma latet anguis: ma, sotto la bella apparenza
del bene, ci sta la passione e il demonio!
Questi e altri atti, che possono condurre a gravi disordini contro la moralità,
e dare pretesto ai nostri nemici di calunniarci e di attribuirci intenzioni che non avevamo,
non si devono fare, e non si devono in alcun modo tollerare
nelle Case della Divina Provvidenza, come negli Istituti che da noi dipendono.
Più velenoso d’ogni odio, è sui giovani l’esempio del male. Quindi via le carezze,
via le leggerezze, le scempiaggini, le smancerie che sono sempre suggerite
dal disgraziato sentimentalismo, grande piaga di certi Collegi ed Istituti:
via ogni affezione che in carne desinit. Via i regalucci dati più a questi che a quello:
via le preferenze a quelli ben vestiti, ben puliti e dal volto più rotondo:
via quelle affannose cure, quelle sollecitudini che vengono già da passione sregolata,
quegli sguardi, quelle parolette: «donariola, dice S. Girolamo, quae sanctus amor nescit».
Guerra al beniaminismo! guerra senza tregua alle amicizie particolari,
vera peste degli Istituti di educazione e anche di certe Case di formazione religiosa
e di Religiosi già fatti. Le porte dell’amore spirituale e dell’amore sensuale, dice S. Basilio,
sono molte vicine l’una all’altra, ed è assai facile scambiare la prima con la seconda:
già ve l’ho detto col Gerson: videtur esse caritas, et est carnalitas!
In guardia dunque, o miei cari: preghiamo e vigiliamo e raccomandiamoci
alla Madonna sempre! In guardia dal beniaminismo e da ogni amicizia particolare
che soppianterebbero la virtù più bella, e manderebbero a fallire le più belle vocazioni.
Ogni soave affetto è severo. L’austerità è necessaria nell’amare i giovani.
Pregare dunque, e in guardia sempre: la nostra anima anzi tutto!
Chi amò la gioventù più santamente di S. Filippo Neri?
Chi quanto S. Giuseppe Calasanzio? Chi potrà assomigliarsi al cuore grande in Gesù Cristo
per
la salvezza della gioventù quanto Don Bosco? Ebbene
O miei cari, nessuno di questi apostoli della gioventù si crederebbe però mai lecito
di attirare a se i giovanetti con tali mezzi, e rimproveravano con molto zelo
e allontanavano da sé quelli che facevano diversamente.
Ebbene, ciascuno di noi faccia altrettanto, e Dio benedirà il nostro lavoro,
e Dio sarà con noi!
V051P033
Se alcuno vi piace troppo, diffidate, non già di lui, ma di voi stessi,
e mettetevi una mano sul cuore, che già avete dato a Dio.
Alle anime dei fanciulli noi dobbiamo portare un grande amore in Gesù Cristo,
ma come ad angeli, e amarli come fratellini più piccoli,
e come tra loro si amano gli Angeli di Dio: amarli tutti, senza eccezione alcuna,
amandoli non per il loro bell’ingegno, non per la loro perspicacia o memoria,
non perché vestono elegantemente, non perché hanno modi urbani, voce fina,
o perché di famiglia amica o di più civile condizione: non pel sembiante,
o per la punta del naso più o meno aquilino, più o meno rossa, ma noi li dobbiamo amare
perché in essi vediamo e amiamo Gesù Cristo: noi amiamo la loro anima, che vogliamo
salvare, e l’amiamo sull’esempio di Gesù Cristo, ma li ameremo tutti ugualmente,
e se una preferenza dovrà darsi sarà per i più infelici, per i più tardi d’ingegno,
per i più derelitti, per i più brutti, per i più cattivi, per i più ingrati, pure confortando molto
i più diligenti ed i più buoni.
Siccome pianta negletta e abbandonata ne’ monti, talvolta si abbarbica profondo,
così s’è visto più d’una volta che ragazzi non di apparenza, o negletti, ajutati,
se forti di volontà, di bontà e d’ingegno, mettono frutti ammirabili
di virtù e di sapienza meravigliosi. E tutti ameremo con molto rispetto,
anzi con la massima riverenza. Maxima debetur puero reverentia, disse già Quintiliano,
ed era un educatore pagano! Da che cattedra dobbiamo imparare!
Il
Ven.le Don Bosco aveva pei
giovani una specie di venerazione, e
vedeva
il bene grande che ne sarebbe venuto da essi alla Chiesa ed alla
Società, xxx
- i giovani sono l’avvenire - ma sovra tutto il Ven.le Don Bosco vedeva in essi
l’immagine di Dio, i piccoli di Dio, i più cari al cuore di Gesù!
E pregare dobbiamo, o miei cari, pregare incessantemente Iddio e la SS. Vergine
per noi come per i nostri alunni, perché il giovanetto non viene corretto e fatto virtuoso,
cristianamente parlando, che dalla grazia di Dio.
Dove noi abbiamo fatto così, o miei cari, noi abbiamo ottenuto con la divina grazia, dei risultati più che soddisfacenti, meravigliosi. Dio non si perde più dal cuore
e dalla vita dei nostri alunni, e, se per qualche ora passa una nube a velarlo,
Iddio presto riappare sull’orizzonte a illuminare la vita dei nostri ex alunni.
Noi abbiamo occupato tutto il loro cuore di Dio, tutta la loro giovane anima di Dio:
noi lo abbiamo Iddio arato ben profondo nella loro vita: e impossibile, direi,
che possano più farne a meno, che possano più perderlo: Iddio, se anche sepolto, rinascerà!
Abbiamo ex alunni nostri che sono giudici modelli, pretori, Ingegneri, Sacerdoti,
Medici, avvocati Notari, farmacisti, negozianti professori, proprietarî onesti, laboriosi,
cristiani, buoni padri di famiglia, Consiglieri e Sindaci:
ne abbiamo un po’ dappertutto, anche qui in America.
V051P034
Ecco
che un antico alunno, Console Italiano
del Governo d’Italia in Columbia,
mi scrive che colà vi è la Colonia Italiana numerosa e senza un sacerdote, e ci invita
e ci apre le porte della Columbia, e per terra e per mare: io me li vedo davanti:
tutti hanno Dio che illumina e conforta la loro vita, vivono stimati e contenti,
e chi ha famiglia, trasmette Dio e la fede cattolica ai suoi figli.
Noi
abbiamo i primi figli
del primo giovane
che iniziò l’Opera della Div. Provvidenza. Sono famiglie cristiane che si formano,
o sono Sacerdoti che hanno vita zelante e illibata e tutti amano la Divina Provvidenza -
Diamo grazia al Signore, o miei figlioli del Signore! Gratias agimus Domino Deo nostro!
Abbiamo dato molti Sacerdoti alla Chiesa, figli devoti della Chiesa, e sentinelle
e araldi della Fede: abbiamo dati molti buoni elementi alla Società, perché si rinnovi
cristianamente e cattolicamente. Ma non siamo che alla prima ora della nostra giornata, -
non parlo di me ormai vecchio, ma della vita dell’Istituto nostro, che Dio misericordioso
si degni coltivare, benedire e prosperare per la sua gloria e per la sua Chiesa.
E noi faremo ancora molto, e molto molto molto di più, se terremo e metteremo sempre
a base di tutto Iddio: se cammineremo alla presenza di Dio, come tanto ci ha raccomandato
il S. Padre Pio X, nell’udienza a cui ci ammise tutti, dopo la benedizione della prima pietra della Chiesa di Ognissanti: se lavoreremo non per noi, ma per Gesù Cristo non cercando
quae nostra sunt, sed quae Jesus Christi: se penseremo di consumare così in Gesù Cristo
la nostra vocazione e la nostra vita, per l’amor suo!
Allora sì che meriteremo di ricevere poi dalla sua mano stessa la mercede,
perché per Lui avremo lavorato, e Lui ci pagherà, com’è detto nelle opere di misericordia:
«Ero ignorante, e mi avete istruito: ero abbandonato e mi avete accolto: avevo fame,
m’avete dato da mangiare: avevo sete, m’avete dato da bere etc..». E noi gli diremo,
«Ma quando mai, o Signore?» E il Signore ci risponderà:
Ogni
qualvolta avete fatto quello questo
ad uno dei piccoli, per l’amor mio,
l’avete fatto a me: venite a ricevere quel premio che vi sta preparato a constitutione mundi.
Ma per educare così bisogna amare Dio: per istruire ed educare così
bisogna avere caldo il petto di Dio: bisogna rendersi fanciulli con i fanciulli,
farsi «piccolo coi piccoli sapientemente» com’è scritto sul Gianicolo,
sotto la quercia del Tasso, parlandosi di S. Filippo Neri.
Bisogna non cercare la sublimità dei concetti, non la peregrina erudizione,
ma spiegare con chiarezza la verità che vogliamo imprimere nella mente
e nel cuore degli alunni, stare alla portata di tutti, e fare la scuola intendendo proprio
di lavorare per conto di Dio e di compiere una delle opere più belle di misericordia.
Udite ciò che quel grande filosofo cristiano ed educatore, che fu il Rosmini -
filosofo non scevro da errori, ma umilissimo e di santa vita, ciò che scriveva a Tortona,
a certo Prof. Sac. Ambrogio Gatti, che aveva aperto un collegio là dove dopo tanti anni
noi si aperse S. Chiara. «Si deve inculcare per tempo nella gioventù
la diffidenza del proprio giudizio e la deferenza e il rispetto all’autorità,
prima della Chiesa e poi degli uomini gravi e virtuosi: dimostrare spesso quanto sia facile
che l’uomo, che pronunzia con troppa sicurezza di sé, cada in errore.
V051P035
Dobbiamo mettere in guardia contro le affezioni, le passioni, i pregiudizi,
che tolgono così facilmente all’uomo la serenità e tranquillità della mente,
e quindi l’equilibrio della bilancia: mostrare la bellezza della verità,
e quanto siamo obbligati a vegliare sopra di noi stessi per non offenderla
con giudizi frettolosi: insomma insegnare per tempo una logica pratica e morale
ai giovanetti, parmi, più che in altro tempo mai, al presente necessarissimo.
A sostegno di tutto questo, come di ogni altro bene, conviene trovar la via
di suscitare nel fanciullo un sentimento religioso: la forza dell’uomo sta nel sentimento.
Se si arriva a insinuare nel giovane un’altissima stima delle cose divine,
una persuasione che ad esse niun’altra cosa sia comparabile, né per grandezza,
né per bellezza, né per sapienza, né per utilità:
se si arriva ad infondergli una cognizione di Dio, un timore ed un amore di questo primo
e massimo Essere, e di Gesù Cristo e dei suoi benefizî e delle sue promesse;
se si arriva a questo, le fondamenta della buona riuscita sono poste,
e queste solide fondamenta, gittate in anime ancora pure,
difficilissimamente saranno scosse dalle secolari tempeste».
Ecco
quello ciò che
scriveva il celebre Rosmini ad un educatore tortonese, nel
1852,
tre
anni dalla avanti la
morte. Ora che voleva egli mai suggerire con tutto questo,
se non il dovere di formare a coscienza e a vita cristiana i giovani,
facendo ad essi conoscere la verita confortata dalla grazia?
facendo che amino la bellezza della verità, e che operino in conformità di essa? -
Bisogna, a veramente, a solidamente e cristianamente educare,
porre ben chiara all’intelletto del giovane la vista della morale verità di cui si tratta,
esponendola con semplicità e con coerenza (non con artifizî); - la luce poi onnipotente
di questa verità non viene che dalla divina grazia.
In tutto quello che noi diciamo e insegniamo, con la parola e con l’esempio,
dobbiamo far risplendere la virtù e dimostrarla amabile e degna di esser seguita,
coprendo il vizio d’infamia, in modo da doversene avere tutto l’orrore che merita.
E sopra tutto, dobbiamo dare alla verità morale quell’infinita luce che divinizza,
per così dire, le anime che in sé la ricevono, rendendole superiori
a tutte le seduzioni del mondo per opera della grazia.
È necessario quindi che i nostri alunni usino degnamente e frequentissimamente
dei Sacramenti per cui si riceve la grazia.
«L’educazione ed istruzione della gioventù senza spirito religioso,
ecco la piaga del nostro secolo!» scriveva ai Direttori ed Ispettori d’America
il mio venerato confessore don Rua, del quale proprio in questi giorni
si è iniziato il processo canonico, nella Curia arcivescovile di Torino,
per farlo poi dichiarare Beato e Santo. E nel 1899, dando norme e consigli,
scriveva ancora ai Direttori salesiani, parlando di Don Bosco:
«La sua profonda conoscenza del cuore umano lo aveva reso persuaso che la confessione
era il mezzo più efficace per trasformare i giovani già stati preda del vizio,
e di preservare dal male gli innocenti. Penso che senza di essa sarebbero tornati di poco
o nessun profitto i ritrovati della moderna pedagogia, ond’è che egli (Don Bosco)
pose a base del suo sistema preventivo l’uso dei SS. Sacramenti».
V051P036
Quindi, per il Ven.le D. Bosco, non solo i Sacramenti sono le fonti della grazia,
ma, specialmente la confessione ha un’efficacia grandissima per preservare dal male
e per educare a vita onesta e cristiana la gioventù.
E infatti subito il sig.r don Rua aggiunge, sempre parlando di Don Bosco:
«L’esperienza poi gli insegnava, ad ogni piè sospinto, che per rendere i suoi figliuoli
forti contro gli assalti del demonio, costanti contro gli allettamenti del mondo,
invincibili nelle lotte contro le passioni, era necessario che, nel Sacramento
della Misericordia, la mano del Sacerdote facesse piovere su di loro
il preziosissimo sangue del Redentore».
Ecco dunque Don Bosco!, l’apostolo della gioventù e mio venerato Padre e Maestro
che pone i Sacramenti a suggello: essi danno, anche nell’opera educativa,
l’efficacia al nostro povero lavoro. La confessione non solo sia settimanalmente
da noi frequentata, e la S. Comunione quotidianamente, ma la Confessione
e la S. Comunione siano frequentatissimamente consigliate ai nostri giovani.
Ogni giorno sente il corpo il bisogno del suo cibo, e non sentirà l’anima
il bisogno del suo Pane, del Pane vivo disceso dal cielo, per essere a noi,
come già scriveva S. Ignazio Vesc. e Mart. «farmaco d’immortalità»?
Il
giovane sarà onesto se sarà pio, se frequenterà bene i
Santi Sacramenti. ,e
Quindi alla domenica fateli venire a Messa, anche gli esterni, ma non puniteli,
se non venissero: sempre confortateli a venire, e tenete conto, per un’altro anno,
di chi non viene: vedremo poi insieme i provvedimenti da prendersi.
Però nelle altre pratiche di pietà usate discrezione e sobrietà, e non stancate i ragazzi,
e
non si dicano facciano
dire due Rosarî dai ragazzi: le
pratiche di pietà non bisogna
renderle pesanti e uggiose: deve la religione essere come un alto raggio di luce
che illumina, che riscalda, che fa bene, che è desiderata e che dà vita: così dev’essere
la pietà. Le pratiche di pietà sono utili, sono necessarie, ma non dimentichiamo
che sono mezzo, non fine: tutto in noi, come nei giovanetti, pratiche di pietà, disciplina,
studio, lavoro, debba essere subordinato alla pietà solida, cioè all’amore di Dio,
allae
virtù cristianae, alla
vera santità, che non consiste nel dire: Domine, Domine,
ma in fare, disse Gesù Cristo: Voluntatem Patris mei!
Curate l’ingegno, ma più coltivate la virtù, l’ingegno è superficie, la virtù è solido.
Ed ora vorrei ricapitolare, ma come fare, con tante cose dette e ripetute
e gettate là alla rinfusa?
Io prego per voi, e specialmente in questi giorni sempre penso a voi,
e vorrei esservi vicino per tutti confortarvi,
specialmente i cari miei Chierici venuti qui da tanta lontana parte per salvare anime.
V051P037
Ecco
che Iddio,vi anche a
voi o cari chierici,
apre un grande campo di apostolato sublime, anche non siate ancora sacerdoti.
Chi giova ai giovani, giova a di molti: come egli non sa: Dio lo sa.
Voi lavorate già per Gesù Cristo, e così la vostra fatica si fa dolce,
pensando che Dio vi sta vicino, che tiene conto dei vostri sacrificî.
Egli che ha detto che avrebbe tenuto conto pure d’un bicchiere d’acqua dato per amor suo.
Amate Iddio e lavorate per Iddio, che grande sarà la vostra mercede in Paradiso
e anche le soddisfazioni morali e le consolazioni su questa terra -
Edificate Gesù Cristo nella vita dei giovani col vostro esempio.
Quei che insegnassero la virtù non con l’esempio, ma solo con precetti,
sono come ho visto a Venezia che fanno i veneziani: a chi domanda la via, rispondono:
sempre diritto! Sempre diritto, sempre diritto; ma si volta ad ogni dodici passi
per quei corti e angusti calli. A conoscere tale dirittura, ci vuole una guida:
ci vuole l’esempio, esempio e un metodo: l’uomo senza metodo è infelice
e senza metodo non si istruisce e non si educa. Esempio e metodo di pietà,
esempio di umiltà, di fervore, di bontà religiosa, di unione fra di voi,
di dipendenza dai sacerdoti nostri; e promovete in essi giovani
la vita sinceramente cattolica pratica ed un efficace amore allo studio colla santità
e nobiltà della vostra vita, e con un grande amore a Dio - creando e formando in essi
la coscienza e il carattere cristiano-cattolico, tutto d’un pezzo granitico.
Come il dovere non s’adempie se non facendo più del dovere, e così bisogna essere
più che cristiano, bisogna essere cattolico e papale per esser vero cristiano.
Date loro l’abitudine di un sentire alto e d’un pensare elevato, generoso, spirituale,
ed educateli alla sincerità, alla rettitudine, alla purità d’intenzione, alla presenza di Dio,
alla fuga delle ignobili azioni, degli ignobili compagni, delle ignobili e vane
e pericolosissime letture. Ogni vostra parola ispiri loro quella gioja intima che fa pensare,
che fa dilatare il cuore, che fa piangere. Date buone nozioni sul buon uso del tempo,
sulla fuga dell’ozio, sul lavoro, come legge e dovere impostoci da Dio: preghiera e lavoro!
diceva Don Bosco - Gesù ha lavorato, tutti dobbiamo, o in un modo o nell’altro, lavorare:
nella natura non c’è ozio.
Molto gioverà se vedranno voi a non perder tempo: se vedranno che possedete bene
e perfettamente le materie d’insegnamento: se vi vedranno studiare e prepararvi sul serio.
Allora i giovani avranno subito di voi altri, cioè dei loro insegnanti, grande stima,
e, per conseguenza, grande stimolo a studiare e a fare bene.
S. Ambrogio, che fu prima governatore e poi grande Vescovo di Milano
e grande Padre della Chiesa, nel trattato «De Virginibus» dice parole che io posso ora
ben applicare al caso vostro, o miei figli: «Primus discendi ardor nobilitas est Magistri».
L’ardore lo dovete infondere voi, con lo spirito vostro, con la nobiltà vostra,
con la vostra virtuosa e religiosa condotta, col far sentire tutto il dovere cristiano
dello
studio, la delizia dello studio, la bontà dello studio, il premio di
ogni lavoro lavoro
fatto secondo la fede e la coscienza cristiana e civile.
Ma lo slancio più efficace e più duraturo lo avranno soprattutto dalla vostra virtù.
V051P038
Trasformate
in voi ed in essi il lavoro in virtù, come dev’essere e
come realmente è:
quando il lavoro è santificato, il lavoro diventa preghiera: oportet et semper orare,
cioè anche lavorando, e il lavoro allora santifica veramente la vita.
E poi pregate ancora Iddio che avvalori le vostre povere fatiche, le vostre sollecitudini.
E poi ancora - ah! questo non bisognava, no, dimenticarlo: e poi una tenerissima
e filiale devozione alla Madonna SS. e alla S. Chiesa di Roma. E qui finisco: sono stanco.
O Signore, benedite voi queste righe!
Oh! quanto, quanto bene farete, o figli miei, camminando attaccati
alla Vergine Celeste, alla nostra Madre fondatrice!
Quanto quanto bene farete alle anime dei giovanetti, se accenderete nei loro cuori
la
lampada della’amore
alla Madonna benedetta!
Quanto bene farete, o figli miei, se farete così! In mezzo ai disgusti
e ai disinganni amari della vita, i nostri alunni non troveranno pensiero più consolante
che di ricordarsi della Madonna e di rifugiarsi tra le sue braccia.
E qui finisco davvero. Vi abbraccio tutti spiritualmente nel Signore
e vi benedico tutti, voi e tutti. Datemi vostre notizie.
Non vogliate distruggere questa lettera, che desidero riavere per rifonderla
e mandarla alle Case. Intanto la passerete per raccomandata alla Casa di Rio.
Devo qui riferirvi che parlando con una persona a noi benevola di Mar de Hespanha
le sfuggì detto che nella città si era in passato formata l’opinione in parecchi
che non si volesse mantenere l’impegno delle scuole, vedendo forse
che quelle poche energie erano rivolte ad ajutarsi col lavoro della terra o in altro,
da cui si sperava di trarre i mezzi per fare del bene e creare l’Istituto in modo che portasse
non
indegnamente questo codesto
nome d’Istituto.
Chi mi parlò in questo senso è il sig.r Rocco Mongo, persona a noi molto benevola.
Bisogna distruggere subito e impegnarvi a disperdere al vento questo pregiudizio
che può nuocerci non poco.
Anche questo deve essere uno stimolo ad impegnarvi di più; quando vedranno
che si fa scuola, che si sa fare bene e che tutto procede ordinatamente, con serietà,
con profitto, con disposizione generale: penso che allora potremo avere
anche qualche ajuto, di cui abbiamo pure tanto bisogno per sistemare in parte almeno,
la posizione economica di codesta Casa.
E qui non so, non devo finire senza raccomandarvi anche molto l’igiene,
il portamento decente e decoroso, e la nettezza in casa, come addosso e nelle Scuole:
noi, fin qui ne abbiamo avuto poca. Bisogna che ci rifacciamo.
V051P039
Gente sudicia non ha intero il senso della virtù.
La decenza delle vesti e del portamento, è una tacita assicurazione
del nostro rispetto verso le persone che dobbiamo avvicinare.
Dobbiamo portare dappertutto un’attitudine più decente più composta,
più decentemente cristiana e religiosa, anche questo educa ed edifica in Cristo.
Figliuoli miei, molti spendono la vita nel male, e sono i figli delle tenebre, -
in
che la spenderemo noi, che siamo e dobbiamo essere figli della luce e
della verità? Facciamo del bene davvero, e facciamo
spendiamoci tutti nell’amore di Dio
e del prossimo, e facciamolo il bene per l’onore della nostra Madre Chiesa,
e facciamolo il bene, bene!
La lontananza non mi divide da voi: più sono lontano e più sento di amarvi
in G. Cr. Io sono con voi sempre con tutto il mio spirito; io vivo tra mezzo a voi,
e grande grazia di Dio è questa, che mi fa vivere e consentire insieme
della comunione vostra del bene: «Particeps ego sum omnium filiorum meorum
custodientium mandata tua, Domine!»
Vi metto nelle mani della Madonna e di San. Giuseppe -
Abbraccio spiritualmente ed in osculo Christi i sacerdoti
e li benedico insieme con ogni singolo chierico e giovane, orfani e non orfani.
Gratia Domini nostri Jesu Christi cum spiritu vostro -
Orate pro me!
Vostro in Gesù e Maria SS. aff.mo come Padre in X.sto
Sac. Luigi Orione
dei Figli della Div. Provv.
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