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O Lingua benedicta!
(Il XV Febbraio).
Luce del pensiero, il fuoco dell’affetto l’anima tutto lo rivela per la parola:
dalla parola noi giudichiamo l’elevatezza dell’ingegno e la nobiltà del cuore.
Quindi, sebbene essa sia perfezione secondaria nell’uomo, pure ne è la più bella
la più utile e, direi quasi, la più necessaria dote. Una donna di fatti,
quanto s’accorge che il suo bimbo, giunto agli undici o dodici mesi,
malgrado tutte le cure e tutti gli sforzi, non pronunzia ancora quel nome
che è premio ai sofferti dolori e dolcezza all’anima sua, s’attrista,
sparisce dalla sua fronte tutta la gioia di madre e, piangente, si chiama «disgraziata».
Lo stesso Michelangelo, vedendo che al suo Mosé mancava la sola lingua
per dirlo vivo, indignato gli gettò lo scalpello al ginocchio, esclamando: «Parla!»
Dunque la lingua, che ci dà la parola, organo sì delicato, sì molle e piccolo,
forma tutta la appariscente perfezione dell’uomo. Poiché, se nel bruto forma i ruggiti,
i sibili, gli ululi, nell’uomo articola la parola, che rivela gli affetti agitantisi
nel nostro interno, che affascina, attira e che è la leva più potente della società.
Ma la sua potenza, più che nel bene, si esercita nel male, giacché anche la lingua,
soffrendo del peccato d’origine, volentieri e più facilmente emette delle parole,
scivolano discorsi che sollecitano le passioni, accendono di invidia, di odio,
di livore gli animi e trascinano potentemente al vizio e alla distruzione,
per lo che anch’essa ha bisogno della grazia e del fuoco divino.
Il Re profeta cantava: O Signore, apri tu le mie labbra!
Queste ad Isaia vennero purificate da un carbone acceso: lo Spirito Santo
discese in forma di lingua sugli apostoli da indicare che egli solo è la vera guardia
e il rettore della lingua umana, ministro nel mondo della verità di Gesù Cristo.
Epperò tutti i Santi, i veri rinnovatori della società, sono ricorsi a Dio acciò snodasse
la loro lingua al bene, a formare inni, che sublimano l’anima, la riscaldano
e infervorano alla virtù, alla unione dell’uomo con Dio, della terra col cielo.
Ma pochi più di Sant’Antonio si distinsero nel sapere adoperare la lingua al bene;
e lasciando da parte le prove storiche della sua sapienza, dottrina, fortezza e santità,
noi abbiamo il miracolo perenne che lo prova: la sua lingua!
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Essa da sette secoli, si conserva ancora diritta con la punta in alto, rossiccia,
quale d’uomo che parli. E chiunque ha la bella sorte di portarsi nella cappella del tesoro
della basilica di S. Antonio in Padova, dove tra gli altri reliquiari,
spicca per finezza di arte e materia, quello che racchiude la s. lingua,
può constatare questo miracolo, e dinnanzi ad esso si sente spinto da una forza arcana
a cadere in ginocchio, e a ripetere le parola di S. Bonaventura allorquando,
trattala dal teschio, e baciatola esclamò: O lingua benedetta,
che sempre benedicesti il Signore e lo facesti da altri benedire, ora appare chiaro
quanto fosti accetta a Dio!.. Sì, perché questo miracolo è avvenuto
soltanto della lingua di Sant’Antonio. E perciò Padova ne va superba,
e, nel giorno 15 febbraio di ogni anno, si affolla nella Basilica per venerarla,
per contemplare ancora una volta quella lingua, per imprimervi i più caldi baci ...
per parlare delle sue necessità e per riceverne divini insegnamenti.
Essa, che tuonò dai pulpiti contro l’avarizia, ci sprona ad essere più umani col povero;
essa, che infranse le ire di parte nella bella Italia nostra, ci inculca a togliere
qualunque rammarico nutrito verso il nostro simile: essa, che infiammò le turbe
del secolo XIII all’amore di Dio, ci parla ancora per dirci che l’unica felicità è in Dio:
essa, che sfolgorò l’eresia, ci avvisa a tenerci lontani dal modernismo,
subdolo ed infame mostro, che tiranneggia le coscienze e le toglie all’amore di Cristo
e del suo Vicario.
Sì, o lingua benedetta, parlaci di Dio, ma parla ancora di noi a Dio,
e ottieni a noi, ai nostri amici, benefattori, lettori e divoti di Sant’Antonio la grazia
e la carità di Gesù Cristo.
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