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Chiaccherata confidenziale con i Benefattori del Santuario


 Sapete ? oramai mi danno un nome che nessuno me lo leverà più:

mi chiamano il prete delle pignatte rotte.

 E ben venga anche questo nome, basta servire la Madonna!

Benché col collo arato tutti i giorni e fasciato da più d’un mese,

nelle feste passo da un paese all’altro alla questua del rame fuori uso, e l’aiuto di Dio

e dei buoni non mi manca.

 La raccolta del rame, fatta per divozione alla SS. Vergine, va incontrando ogni dì

più il favore del Clero, e suscita una santa gara un vivo entusiasmo nelle popolazioni.

 Certo si deve ai Molto Rev.di Sig.ri Parroci, coadiuvati da ottime Zelatrici

e Zelatori, se l’iniziativa procede di bene in meglio.

 Sono invitato anche fuori Diocesi, e giunge rame pur dal Veneto, dal Genovesato,

da Torino e fin dalla Sardegna e Sicilia.

 La storia del nuovo Santuario Votivo dovrà avere un capitolo sulle pentole rotte;

sarà una pagina che metterà in rilievo le benemerenze del Clero e di tante anime

veramente benefiche, una pagina che farà buon sangue per notizie ancora ignorate

per particolari interessantissimi, pieni di buon umore.


***


 A Castelnuovo Scrivia quel Sig. Prevosto Teol. Don Bianchi,

coadiuvato dal Parroco Don Angelo Cristiani, che già predicava in quella grossa borgata

un triduo solenne in onore del Beato Don Bosco fece trovare la chiesa parrocchiale

gremita di tanta popolazione che pareva una testa sola; e sì che ne contiene di gente

la chiesa di Castelnuovo!

 Castelnuovo Scrivia è stato un po’ la mia Cafarnao negli anni più giovani

e più fervidi, ed io lo porterò sempre nel cuore. È un paese di benedizione:

ci predicò S. Bernardino da Siena, vi celebrò S. Francesco di Sales,

è patria del Beato Stefano Bandello, grande Missionario, e di uomini insigni per virtù

e sapere, per spirito di religione, di lavoro e di carità.

 Si sono raccolti più di sei quintali di rame, oltre a trenta chili di monete fuori corso.


***


 In quello stesso pomeriggio ho potuto andare anche a Molino de’ Torti.

Vi giunsi un po’ sul tardi, che le funzioni erano finite; ma quell’Arciprete,

cui tanto devo, aveva preparata la popolazione così che tutti erano in grande aspettativa.

 Entrato subito in chiesa, mi vidi innanzi un gran mucchio di rame ben ordinato

e deposto davanti all’altare della Madonna, a significare la intenzione della offerta.

 Bastò un tocco di campana, e in brevi minuti la chiesa fu ripiena.

Data la benedizione a quel rame, salî il pulpito.

 Il discorso fu un po’ lunghetto, ma molto alla famigliare, poiché

con quei di Molino io ci ho assaì confidenza e da molt’anni sono come uno dei loro.

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 Non dimenticherò mai i giorni di quand’ero ragazzo, che a Molino

ci andavo dal mio paese, per raccomandarmi al Signor Arciprete, proprio a Don Milanese,

perché mi mandasse nei frati, a farmi di S. Francesco. E mi ci mandò, e in quel Convento

di Voghera ove sono ora i Chierici della Divina Provvidenza. Ma poi caddi

gravemente malato, e andai a battere alla porta dell’eternità, onde il Dott. Odisio

medico del Convento, disse che sarei morto presto, e così i frati mi dimisero.

 Che dolore, che pianto, nel lasciare quei santi Religiosi, quel caro Convento!

Ma quanto sono mirabili le vie di Dio!

 E quando poi andavo a trovare i Padri, si meravigliavano

che non fossi ancor morto. Ma, cosa volete? La Madonna mi tenne in vita,

anche dopo altre pericolose malattie, forse perché voleva che facessi ancor questa:

la cerca delle pignatte rotte!

 A Molino fui lungo, anche perché avevo voglia di sfogarmi un po’.

 Ero già stato sul pulpito di Castelnuovo una buon’ora e mezza, ma avevo

ancor voce, pareva anzi che la voce mi sorgesse; e dunque, che farne, se non spenderla

per la Madonna? Poi pensavo: chissà che non siano le ultime prediche?


***


 A Castelnuovo, era entrato in canonica il Dottor Stoppino, e, vedendomi

col collo fasciato, chiese di visitarmi. Rimase un po’ spaventato, e mi disse

che bisognava tagliar subito e bruciare, perché si trattava di un vespaio,

che aveva già quindici e più giorni, e che c’era pericolo d’infezione del sangue.

E mi fece una mezza lezione d’Universita, mi parlo di seticemia e del compianto

Cardinal Perosi, che cominciò con un vespaio al collo, e finì poi l’anno scorso,

proprio in questo giorno, 22 febbraio, col morirmi tra le braccia.

 «Ma non sa, caro don Orione, - mi diceva con calore quel bravo chirurgo,

guardandomi con uno sguardo pieno di sincerità da gran galantuomo, - non sa lei che,

se io sapessi esservi in Castelnuovo qualche persona con un bubbone

di quella brutta stirpe, mi leverei di notte per portarmelo all’ospedale e operarlo?

Lei ha febbre, e sul pulpito non deve andare». Ci fu un po’ di discussione ma non mi fu

difficile persuaderlo di non aversela a male se, dopo Castelnuovo, andavo anche a far

la mia discorsa a Molino; ché, al ritorno, mi sarei dato tranquillamente

nelle sue mani. E infatti, vista la gran buona volontà e il piacere che gli avrei fatto,

verso le 20,30, nel ripassare, andai difilato all’Ospedale, dove ero aspettato

anche dal Prevosto e dal Cappellano, e tutto era pronto.


***


 All’Ospedale di Castelnuovo non ero più stato da circa un anno,

quando fui a visitare un umile, ma indimenticabile nostro benefattore,

che da più di trent’anni mi onorava della sua amicizia: Don Vincenzo Torti,

Cappellano di quella Casa di pietà. Egli, che amò tanto la Piccola Opera

della Divina Provvidenza, si considerava come dei nostri, ed era malato a morte!

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 Corsi allora al suo letto a confortarlo a dirgli tutta la nostra gratitudine,

e che essa si sarebbe prolungata anche dopo: che sempre avremmo pregato

per l’anima sua.

 E non ho potuto non piangere!

 Don Vincenzo fece poi una morte tranquilla, da prete povero, da santo prete;

e tutto il paese, che lo venerava per la sua illibatezza e carità, lo volle accompagnare

al camposanto, benché piovesse a dirotto.

 Io non potei esservi; ma sarò sempre tenuto al Prevosto Teol. Bianchi

che mi volle invitare a dir poi due parole su Don Vincenzo, quando Clero

e popolo gli vollero fare un funerale solenne.

 Sentivo dunque entro di me come una contentezza di sottopormi

a quel piccolo atto: chirurgico là dove Don Vincenzo era vissuto piamente tanti anni,

di patire qualche poco, dove Lui aveva patito ; e mi pareva fin di fargli piacere.

  Nell’entrare dunque in quell’Ospedale nel salire quelle scale,

nel visitare Gesù in quella Cappella, io mi vedevo come davanti la santa figura

di quel sacerdote, fatto secondo il cuore di Dio; e vicino a Lui in ispirito,

mi sentivo diventar un po’ buono di quella sua modesta, ma tanto grande bontà.

 Oh come fa del bene la vicinanza o il ricordo delle anime buone!


***


 L’egr. Dott. Stoppino ha tagliato con mano maestra,

e mi portò via un bubbone grosso come una noce; poi ha bruciato ben bene,

sì e come la scienza vuole. Io, in tanto, avrei dovuto pregare o pensare

all’hic ure, hic seca, hic non parcas ut in aeternum parcas; invece, vedete un po’?

mi passavano per la mente le figure dei vecchi piemontesi descritti dal D’Azeglio;

era proprio il diavolo, che si beccava anche quei preziosi momenti

che avrei dovuto tesoreggiare per un po’ di bene all’anima mia.

 Quel valente chirurgo mi ha liberato da un nemico maligno

e gli sarò riconoscentissimo sempre.

 Con collo e testa fasciata me ne tornai a Tortona, come chi torna

da una battaglia; e venni ancora a tempo da spaventare questa brava gente di casa,

che già stava in ansietà pel ritardo, e che, al primo mostrarmi, credette a un pericoloso

incidente di macchina.

 Così, da un mese circa, me ne sto fermo, facendo il poltrone,

eccetto qualche corsa qua e là, coi debiti permessi del nostro incomparabile

Dott. Codevilla, che mi curò ogni giorno con vero intelletto d’amore.

 La propaganda per le pentole rotte se non del tutto interrotta,

dovette subire un rallentamento.

 Però ora il male, grazie a Dio, se n’è andato, onde potrò riprenderla

e con maggior intensità per recuperare il tempo perduto.


***

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 E la Divina Provvidenza mostrò di venirci incontro. Il Molto Reverendo Parroco

di Lungavilla, Sig. Teol. Don Vittorio Carrera, mi aveva visto un po’ sciancato e stanco,

quando ero stato a Lungavilla per la questua del rame. Ne sentì pietà, e, mosso da Dio

e da quel suo gran cuore, volle, con gesto munifico donare e consacrare la sua bella

e forte automobile agli alti fini di un più vasto apostolato di fede e di carità.

 E risparmiarmi tempo, fatica e non pochi quattrini, ché ce n’è già così pochi!

 Di questa auto e dell’insigne Benefattore vorrò parlarvene altra volta

e più ampiamente; ma non dovevo tardare a darvi la buona notizia, certo, come sono,

che essa farà piacere a quanti ci vogliono veramente bene, e che non si scandalizzano

di vederci adoprare i mezzi più celeri per svolgere maggior lavoro,

tanto più quand’è la Provvidenza che ci viene incontro.

 La macchina servirà solo a scopi di propaganda religiosa, di beneficenza

e di carità, e sarà l’automobile della Divina Provvidenza.

Ho il piacere di dirvi, o Amici, che essa già ha iniziato,

Domenica 22 febbr. le sue corse, partendo dai piedi della Madonna della Guardia;

e vedo che serve mirabilmente, guidata con mano sicura da un giovane nostro orfano,

munito di debita licenza.

***


 La brevità dello spazio m’impedisce di potervi informare sulla abbondante

raccolta di rame fatta a Rivanazzano, dove quel Sig. Arciprete, Don Giovanni Massone,

si è sempre interessato tanto per noi ed è un amico della prima ora. Ci ho mandato


il nostro Sac.te Prof. D. Sparpaglione, che trovò una chiesata di gente;

io non potei andare perché operato di recente.

 A Monleale, invece, a Basaluzzo, a Fresonara, a Viguzzolo, a Casalnoceto

ho potuto recarmi in persona. Ma di quanto, col divino aiuto, si è fatto,

vi parlerò altra volta. Solo dirò che ho trovato quantità di rame superiore

a ciò che potevo immaginare, e accoglienze festosissime, da sentirmene umiliato.

 Io sono a tutti infinitamente riconoscente, ma nessuno più di me sente

di non meritarle.

Non nobis, non nobis!

 Non a me, omiciattolo da nulla, so bene che vanno applausi e feste,

ma alla Santa Madonna! A Lei, e unicamente a Lei lo slancio fervido dei cuori

delle nostre religiose popolazioni. E allora sono contento di tanta onda di gioia

che traspare dai volti, sono lieto delle feste, poiché solo a Dio e alla Vergine

va ogni onore e gloria!

 Domenica, 1° Marzo, sarò a raccogliere le pentole rotte in Val Borbera:

la Madonna SS. mi assista!


            Don Orione

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