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13 Giugno 1938
Sant'Antonio di Padova
A Sua Eccell. Rev.ma il Sig.r Abate Gen.le E. Caronti
Mio visitatore Apostolico.
Mi riferisco al noto Ricorso del Rev.mo Superiore dei Padri Francescani della Prov. di S. Diego.
Sapevo che P. Antonio da Trobaso aveva, da anni, lasciato l'Ordine dei Minori; qualche volta avevo pregato per il suo ravvedimento, anche perché lo conoscevo tanto egli era stato oratore abbastanza celebre, Ministro Provinciale e pur Segretario del suo Ordine.
Mi pareva che Iddio non lo avrebbe abbandonato, e che ci saremmo ritrovati ancora su la via del Signore.
Dieci
anni fa,
in Voghera era in vendita quel Convento dei Frati Minori dove io
ero entrato
a 13 anni
andato
fanciullo per farmi religioso
di San Francesco, e
dove fui tanto malato, sì
che i Padri, entrato nei 14 anni, mi
hanno dimesso
hanno dovuto dimettermi, con mio grandissimo dolore, perché il
Medico diceva che, entro
dopo
un anno, sarei morto.
Là sono stato fatto Terziario, là feci una grande confessione e là N. Signore mi usò molta misericordia.
Fu
appunto in quel convento che, prima ancora di conoscerlo di persona,
udii
avevo
udito
parlare del P. Antonio da Trobaso, come d'un astro nascente, egli
apparteneva a quei Padri.
Nel
1928 il vecchio Convento era stato lasciato dalla Comunità, che
già si
era trasferita
trasferitasi
in altro
Convento più adatto.
In quel tempo mi trovavo in grande imbarazzo, poiché non sapevo più dove mettere un certo numero di miei Chierici.
Avevo
posto gli occhi su
Pensavo
a
quel Convento, a me caro per
tanti ricordi,
ma non avevo il danaro per acquistarlo, e mi andavo raccomandando a
N. Signore perché mi mandasse un po’ di provvidenza.
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Il
M. R. Arciprete di Voghera, Teol. Biscaldi, conosceva il mio
desiderio, e un giorno mi disse di aver visto l'ex P. Antonio, il
quale mi avrebbe aiutato voleva
aiutare avrebbe aiutato, e
dallo stesso Arciprete seppi che egli era ad Ameno.
Ad
Ameno, sul lago d'Orta, la
Piccola Opera della Divina Provvidenza già aveva
teneva, ed ha tuttora, uno Ospizio di poveri vecchi.
Questa
circostanza mi offriva una buona occasione, mi dava anche
facilità di potermici
trattenere, tra
quei vecchi, magari
occorrendo,
per
qualche giorno, per meglio avvicinare l'ex Padre e fare
fargli un po’ di bene all'anima sua,
poiché pensavo
che,
dopo tanti anni di apostasia e
peripezie, pensavo che ne dovesse avere sentisse bisogno.,
potesse averne bisogno.
L'Arciprete
Teol.
Biscardi
Biscaldi
mi
disse
spedì affermò
confidò anche che
P. Antonio
aveva
gli aveva detto di tenere un
deposito di fiducia
per compiere un'opera buona, e che, saputo da
lui
che io
desideravo
pensavo di acquistare
l'ex Convento dei Frati Minori, aveva mostrato desiderio di
incontrarsi con me, e che volentieri avrebbe destinata, a
quello
tale scopo,
la somma avuta.
Però
io sentivo di dover anzi tutto, compiere opera di Sacerdote, e di
andare
all’ di
cercare l'anima
del Povero Padre.
Questo all'aiuto materiale, mi pareva di dover stare fiducioso nella Divina Provvidenza.
Giunto ad Ameno, e saputolo presso una famiglia di agiati, mi raccomandai al Signore, e sono andato in Nomine Domini. Mi pare fosse jeri.
Risposero, invero, che là c'era il prof. Giovanni Bosio (era lui). Dissi che ero un antico suo amico, che desideravo rivederlo: vollero sapere che io fossi.
Alla persona di servizio sfuggì detto che il Professore si trovava in giardino, e se n'andò ad avvertirlo: io m'infilai dietro per un po’: infatti era là, seduto ad un'ombra con alcune Signore, vestiva in borghese, abito nero, ma senza giubba.
Che impressione mi fece! Quanto era mutato! Invocai il Signore e la Madonna: mi pareva che tutto dovesse dipendere da quel momento.
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Egli s'alzò, e venne verso di me: vedo ancora la catena d'oro che teneva al panciotto. Gli corsi incontro, e lo abbracciai in osculo sancto.
Quello che ci siam detto, non saprei ripeterlo: era la misericordia del Signore che trionfava: la miseria mia e la miseria di P. Antonio non c'erano più, c'era il Signore.
Naturale
e
di dovere
che poi
dovessi continuare poi
ad aiutarlo, e, a
principio,
si prestò bene anche quel
nostro
Ospizio, egli poi fece anche
pure
un buon ritiro spirituale, ma in altra nostra Casa.
Non
ho mai cercato che egli
si facesse della mia Congregazione.
No,
Dio mi
m'è testimonio che solo ho cercato l'anima del fratello, solo e
sempre di riportarlo al suo Convento e a morire fedele alla sua
primitiva vocazione: neanche
un desiderio in me che
P. Antonio entrasse a
far parte
della Piccola Opera della
Divina Provvidenza,
dico anzi, franco, che ne avrei paventato. E il Signore ne sa il
perché.
Solo
confesso ciò che penso
ho
pensato:
che cioè il Signore m'abbia mandato il danaro attraverso quel nostro
fratello lapso,
per confortarmi nell'umile opera di stendere le braccia e il cuore ai
nostri fratelli di sacerdozio lapsi.
Si
è servito il Signore di E
penso che la bontà del Signore si sia servita d'un
Padre Antonio da Trobaso, il quale aveva dato malo
esempio
scandalo
e dolori alla Chiesa, per dare
gloria a Dio e conforto
cavare
un qualche raggio
di gloria a Dio e qualche conforto alla Sua
Chiesa col darle - Deo
adiuvante
- una nuova schiera di umili e
di poveri
religiosi.
Si
capisce che P. Antonio si aperse poi con me come
ad un fratello,
e anche mi ripetè quanto già aveva detto all'Arciprete Biscaldi,
che ciò a un'obbligazione
di fiducia
e che voleva compierla
ad ogni costo, e
prima di rientrare in Convento, poiché, non
dall'incidente d'automobile, ma
molto prima che
gli capitasse l’incidente d’automobile, era già di questo
parere, cioè ,
era
suo pensiero
di voler
far
ritorno al
Convento.
E
mi determinò l'obbligazione,
dicendo che una signora
gli aveva dato £. 200.000, in viva
fiducia
via
fiduciaria,
perché egli ne
facesse
creasse
un'Opera di bene.
Aggiunse
che aveva udito parlare dell'Opera che io volevo fare
istituire
in Voghera, e che egli ne era rimasto entusiasta, e, se accettavo,
egli già la aveva scelta siccome
l'Opera più adatta, e
più
secondo lo spirito della Benefattrice.
Che era libero di affidarsi ad una istituzione per attuare detta Opera, come libero
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sulla scelta dell'Opera stessa, ma che quella di Voghera sarebbe stata la più conforme.
Ne ho ringraziato in cuor mio il Signore, e l'Opera fu quella.
E dal 1928 venne appunto il Seminario di Sant'Antonio in Voghera, già Convento dei Frati Minori, Opera che si mantiene tutt'ora, come si mantiene aperta al culto la annessa Chiesa, che provvede ai bisogni religiosi del popoloso Borgo S. Pietro, vasta zona della città, che, diversamente, sarebbe rimasta senza chiesa, pubblica.
Da
quella
Casa
quel
seminario già sono partiti alcuni per le Missioni.
Il P. Antonio si mostrò sempre soddisfattissimo di tale Opera, e del lavoro che vi si svolge per le anime: venne più volte a trovarci, e vi celebrò anche la Messa, in occasione del suo Giubileo sacerdotale.
In
tanti anni, né prima né poi, non
mai
mi dissero parola che potesse suscitare in me il
minimo dubbio
che quel denaro, datomi in cambiali, e che solo a gran pena, e dopo
anni di questioni e di spese, potei recuperare, fosse, anche
solo in parte,
di sua pertinenza, mai!
Disse sempre il contrario.
Sempre parlò di deposito fiduciario, di incarico avuto, di danaro non suo, di un'Opera buona che aveva il mandato di compiere.
Se anche lontanamente io avessi potuto dubitare che fosse stato, pur in parte, danaro suo personale, roba che avesse dovuta poi andare al Convento, mai lo avrei accettato: oltre tutto, so bene dove portano a finire i mattoni di Chiesa.
Le
£. 100.000 di cui si
parla nel
parla il
Ricorso,
non furono le mutuate a
Milano,
ma altre. Anche all'Arciprete di
Voghera
Don Biscaldi, del resto, prima ancora di veder me, l'ex Padre aveva
detto che teneva altre
somme
oltre
al deposito di fiducia, che voleva destinare per Voghera,
le 200.000, di cui era fiduciario
e da
lui
date per Voghera, erano, come dissi, in
cambiali,
e
assicurate da ipoteca in Milano.
Non
sta vero che il
P. Bosio abbia
fatto
parte della Piccola Opera della Divina Provvidenza: egli
rimase solo
poco nelle
nostre Case
tempo
in qualche nostra Casa,
sempre
come ospite,
e unicamente quel
tanto che parve necessario per aiutarlo a rifarsi
per
essere aiutato
nella vita spirituale: non ha quindi base alcuna
verità
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l'asserzione
che gli si
sia poi
passato un
quid annuo,
perché aveva
avesse cessato di farvi
far parte della
nostra Congregazione.
Il
non aver detto nulla della causa,
né P. Bosio né noi, al Superiore della Provincia Minoritica, depone
per noi
fu
solo
perché non si riteneva di doverne dar conto ad alcuno.
Che
se,
negli atti processuali per il recupero del mutuo, il Bosio ebbe a
dire che lire centomila erano sue, ciò - come
egli stesso poi
dichiarò
- fu unicamente
per rendere più facile il recupero, se non di tutta la somma, almeno
di metà, poiché è sapersi che
le difficoltà sorte non furono facili, come a principio si credeva,
e
per la De Paoli - già morta
defunta
- si
esigevano prove, ricerche procedurali difficili
e
senza fine, tanto che si dubitò seriamente di non
più
riuscirci, onde la causa durò anni e costò spese non
indifferenti.
Che
se, rientrato il P. Bosio in Convento, si addivenne a
passargli
ad assegnargli un quid
annuo,
ciò si fece non perché mi sentissi, per
giustizia,
a ciò obbligato, no! A principio mai si era parlato di
tale obbligo
quid.
E lo stesso Padre Antonio
questo ebbe a dichiarare ai suoi frati, che cioè un
vero e proprio obbligo noi non lo avevamo;
ed ecco perché, quando egli consegnò al suo Provinciale le £.
10.000 avute da Don Sterpi (e altre 5.000 le aveva rifiutate, dicendo
che erano troppe), non disse già che era danaro avuto da Don Sterpi,
ma bensì
"un'offerta
mandata dalla Provvidenza".
IL
P. Antonio era persuasissimo
che i francescani non ne avevano diritto. Era, propriamente, una
elargizione,
che ci siam presa liberamente, e dopo,
presa però con lieto e grato animo per
alleviare un
verso
d'un
povero vecchio settantenne che
tornava dopo un naufragio, e correva voce che non tutti e non sempre
gli avessero certi riguardi che sono pur un bisogno per tali anime:
che
del
resto
lo stesso Ricorso
dei Frati ammette che in
Convento
riceva
rimbrotti,
si è fatto partendo da considerazioni alte, ben lontane e ben
diverse da quelle che sono state addotte.
Quanto
mi fa pena di dover scrivere così!
Ma la
carità
il Cuore di Gesù abbruci quanto non fosse secondo la sua carità: ho
scritto solo per chiarire
e per difesa
dare chiarimenti e a difesa,
e non per offesa.
Postomi
Ed ora mi pongo davanti
a Dio e dichiaro,
dunque,
per
la verità,
che
sono sicurissimo di ciò che depongo:
di
quanto mi fu dato
sempre
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mi
risultò trattarsi di puro lascito
fiduciario,
e
che
onde
ritengo, in
coscienza,
di non dover dare nulla di quella somma a chicchessia.
Se chi ha fatto il Ricorso avesse conosciuta meglio la verità, e avute maggior conoscenza di quanto è passato tra P. Antonio e me, son certo che non avrebbe mai sollevata una simile questione.
Ancora
si avverta che quello che P. Antonio sempre a me disse, che cioè non
era danaro di sua proprietà,
e che nessuno ci aveva a che vedere perché
ma deposito
fiduciario,
lo disse pure
fin da principio, e prima ancora
che io lo vedessi e gli parlassi in
Ameno, (quindi
molto prima di rientrare in Convento) ad altri, estranei
alla mia Congregazione: vedasi
si veda l'Allegato
A,
lettera dell’Arciprete di Voghera.
Già malato poi, e coi piedi, direi, già nella fossa, continuò a dichiarare, ripetutamente, serenamente e pur per iscritto, che quella somma non era sua, che non dovevasi darne conto ad alcuno, di ricordare la Benefattrice e che egli era pronto a “rispondere davanti a qualsiasi Tribunale anche Ecclesiastico”.
Caro
Padre Visitatore, voglia
si degni
voglia
vedere gli allegati B e C, copie di lettere autografe del P. Antonio.
Poteva egli esprimersi più esplicitamente? poteva dire meglio e di più?
Onde confido che, tutto chiarito, la incresciosa vertenza avrà fine in domino, come prego.
E in questa speranza mi permetta di baciarLe le mani con profonda venerazione, e di pregarLa di voler benedire, in N. Signore Gesù Cristo e Maria SS.ma, e a me tutti i poveri Figli della Divina Provvidenza.
[Oltre a Frammenti di minute, è conservata anche una minuta più dettagliata del Ricorso]