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[copia dattiloscritta]

+      Anime e Anime!

Tortona, il 24 Nov.bre 1924.

Nobile Signora,

Grazia, pace e conforto grande da Nostro Signore Gesù Cristo!

Ho ricevuto la Sua lettera del 9 corr., la quale, benché mi parlasse di cose tanto spiacevoli e fin dolorose, pure la ho gradita, anche perché ho pensato che per Lei, Signora Contessa, era uno sfogo ed un sollievo nelle Sue pene tanto intime.

Le chiedo scusa di tanto ritardo a risponderLe: io ogni giorno sentivo il rimorso di non averlo ancora fatto; ma la mia vita, specie in queste settimane, è come una ruota travolgente. Ogni giorno e più volte al giorno io penso e prego pel Sig.r Conte, e non mi par vero, tornando a Roma, di non trovarlo più. forse

le mie espressioni Le faranno meraviglia, ma ora sento che veramente lo amavo tanto nel Signore: ci sentivamo, per la divina grazia, tanto uniti nell'attaccamento alla Santa Sede e al Vicario in terra di Nostro Signore Gesù Cristo!

Ancora stamattina ho detto la Messa per Lui e quando non gli posso applicare la Messa, gli dico il rosario.

Egli pregherà, certo, per questo povero prete e per i suoi orfani. E in certe ore, quando mi sento stanco e che la vita sento che se ne va, mi consolo pensando che presto forse saremo ancora insieme.

Sia fatta la Santa volontà di Dio!

Io La supplico, Sig.ra Contessa, di non pensare male, perché non Le ho risposto così subito: tra l'altro non mi sono sentito sempre bene, e ho avuto dei giorni e delle notti che mi sentiva morire. Poi però mi rifaccio subito, perché è male di cuore, e, dopo quelle ore, mi rialzo, anche per non tenere in pena questi miei cari figli nel Signore. E così dall'11 Nov.bre che sono tornato in alta Italia, fui già due volte e più giorni a Genova, dove la Divina Provvidenza ha un Piccolo Cottolengo, a Milano, a Novi alcuni giorni, due volte in Alessandria etc.


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Penso che il 27 ci sarà la Trigesima. Oggi ho scritto a Don Risi che, almeno lui, non manchi di venire.

Io non so se convenga che venga o no.

Se sapessi di poter dire una parola all'altra parte, per un accomodamento, verrei.

Ma può darsi che, in questo frattempo, già vi siate aggiustati o che, viceversa, Ella capisca che non potrei far nulla, e allora avrei tali gravi impegni e così urgenti, che pregherei di volermi scusare. Sento che anche il Conte mi scuserebbe, povero Conte!

Quanto a quel sopra luogo fatto a Roma, allorché venne la Sua Sorella con la figlia e il Sig.r. (non ricordo più il nome), insomma l'Agente di essa, e il Sig.r Conte Angelo con l'Amministratore di Vostra Signoria, - fu allora che io udii quella Nepote di Lei, Signora Contessa, dire che non si accontentava che della metà. - Ma fu una espressione da ragazza.

Invece la Contessa Caterina propendeva ad un accomodamento, e pareva ben disposta ad accontentarsi della proposta fatta dal Sig.r Amministratore di V. Signoria.

Quando io li salutai, ed uscii dall'appartamento per recarmi dal Principe Chigi, al palazzo dell'Ordine di Malta a via Condotti, dove era atteso per un appuntamento (sic), precedentemente fissato, - li lasciai ancora tutti nel terrazzo del povero Sig.r Conte, a vedere passare gli areoplani, come forse Le avranno detto il Sig.r Conte Angelo e il Sig.r Marchese.

La Contessa Margherita mi aveva detto quella mattina che essa si fermava a Roma anche il dì dopo, e che sarebbe venuta con la Sua figlia alla nostra Chiesa di Ognissanti.

Io infatti, non mi mossi da casa, nella speranza di dirle una buona parola, e di

confortarla e animarla ad un aggiustamento (come avevo promesso di fare sia al Conte Angelo che all'Amministratore Suo, i quali vennero a parlarmi), ma la Contessa Caterina poi non venne, e non ne seppi più nulla.

Le uniche notizie che ho sono quelle che Ella, Sig.ra Contessa, mi ha favorito con la Sua lettera.

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Le sarò tanto grato dei ricordini, e con me anche i miei Sacerdoti.

Quanto alla somma che il Suo caro Zio aveva alla Banca di Roma, io sarò sempre pronto a dichiarare con giuramento che Egli fece chiamare al suo letto Lei, Sig.ra Contessa e me, e Le diede incarico di ritirare detta somma e disse a Lei: metà la tieni tu ed è per te, sei contenta? E ripeté altre volte questa sua volontà. Ed egli non intendeva che Lei ritirasse quella somma per darne conto ad altri, ma ha detto chiaramente che la metà se la prendesse subito Lei e che era per Lei. Ed io questo ho detto anche alla Sig.ra Contessa Caterina come al Suo Amministratore.

Lei voleva poi dare l'altra metà all'Erede. S'è poi fatta la procura, quando s'è visto che con quella carta di pugno del Conte Lei, Sig.ra Contessa, non poteva ritirare la somma, perché mancante di data; e poi, quando ebbe la data, essa data era riuscita un po’ confusa e di una mano malata e tremante.

Non era la procura, secondo me, che si doveva fare, ma una carta come la copia che mandò il Notaio Buttaoni. Poi s'è fatta dal Notaio e dal Conte la procura, ma io feci osservare quasi subito che quell'atto era il meno male forse, ma non era così che si doveva fare. Siamo noi (e questo dico unicamente per la verità) cioè siamo Don Risi ed io, che abbiamo fatto presente al Conte la convenienza e l'urgenza di ritirare quella somma perché l'erede (chiunque fosse) non avesse a pagare parecchie centinaia di migliaia di lire di eredità, trattandosi di somma così rilevante. Ricorderà che io lo dissi questo pure a Lei; e fu poi quando il Sig.r Conte chiamò al suo letto Lei e me il 15 di Ottobre, e incaricò Lei di andare a Roma a ritirare tutto, e Le ha detto di tenersi la metà della somma che avrebbe ritirata. Fu allora che fece i legati a voce. Io di quello e di quanto legò a me nulla ho detto ai Suoi Sig.ri Parenti; ma ho però sentito di dovere dire, e in San Severino e poi anche a Roma quando venne con la figlia e l'Amministratore la Contessa Caterina che metà della somma ritirata dalla Banca a Roma era stata data a Lei e per Lei. Per puro debito di coscienza sarà poi bene che Vostra Signoria voglia sentire un momento il Don Risi, perché mi risulta che, se si faceva a tempo a ritirare la somma, da non dover pagare al Governo quella forte aliquota, intendeva che si facesse qualche cosa.

Io su questo non dico di più, perché sento quanto la mia situazione è delicata; - e poi anche non vorrei dire una sola sillaba in più o che non ne fossi più che sicuro. Quanto alle S. Messe fa bene a non fargliele ridurre: glie le faccia dire tutte, anche se Le viene di più: il Signore Le sarà largo da un'altra parte.

La Sua lettera è distrutta, e di quanto mi ha detto, stia tranquilla che resta in me.

Per Lei e per i Suoi figli, e specialmente per la Sua figliola, pregherò ogni giorno.

Sì che la benedico, buona Signora, e sento che Gesù la consolerà e la benedirà: si faccia coraggio nel Signore! Preghi anche Lei per me, che ne ho tanto bisogno, e Dio La ricompensi. Confidi nel Signore, e metta i Suoi figli e Se nelle mani della Santa Madonna.

Ave Maria, e Avanti!

La benedico ancora. Suo servitore in Gesù Cristo Crocifisso

Sac. Luigi Orione

della Divina Provvidenza