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[Testo dattiloscritto - Discorso di saluto agli Argentini in occasione del suo ritorno in Italia, nel 1937 - in lingua spagnola, con correzioni autografe; tradotto in italiano]

Ave Maria!

È arrivata per me l’ora della partenza; quell’ora che suole essere dolorosa ma non è triste per il cristiano che si sente rassegnato in ogni momento ad una volontà paterna come è quella di Dio che noi amiamo.

Parto dall’Argentina dopo una dimora che doveva essere breve e che Iddio Nostro Signore con segni tangibili della sua provvidenza ha voluto prolungare per tre anni a partire dal vostro miracoloso Congresso Eucaristico e in quest’ora propizia per l’effusione del cuore voglio approfittare della gentile offerta della Radio Ultra per parlare ancora una volta a tutti voi o amati argentini: Quantunque invisibili corporalmente sento di qui che le vostre anime e la mia palpitano in una medesima fratellanza cristiana, e che con molte di esse si è formata una ben profonda comunità di ideali soprannaturali e di quegli affetti che formano una amicizia superiore a tutte le contingenze, una amicizia che confermerà eternamente nel cielo.

Ebbene, voglio dire a tutti ed assicurarvi che in Argentina ho trovato per sempre la mia seconda patria e che coll’aiuto di Dio ritornerò in essa, vivo o morto perché voglio che le mie ceneri riposino nel Piccolo Cottolengo Argentino di Claypole confortate dalle preghiere di tanti cuori che per la vostra inesauribile carità troveranno qui, tra le braccia umili ma ricolme di affetto dei miei amati figli, i religiosi della Divina Provvidenza.

L’asilo della loro orfanità, il rimedio dei loro dolori, il conforto delle loro afflizioni, l’alimento nella loro indigenza e soprattutto la dignità cristiana e l’amore proclamato dal Vangelo, l’unico capace di strappare alla disperazione i naufraghi della vita che si sentono oggetto di disprezzo da parte della società paganizzata dei nostri giorni.

Trae questa Opera tutto il suo spirito dalla carità di Cristo. Il Signore ama tutte le sue creature senza escluderne nessuna, ma la sua provvidenza non può lasciare di amare specialmente quelli che soffrono tribolazioni di qualsiasi genere, dopo che Gesù si presentò come loro modello e a capo sottomettendosi Egli stesso alla povertà, all’abbandono, al dolore fino al martirio della croce.

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Perciò l’occhio della Divina Provvidenza guarda con predilezione un’Opera di questo genere e il Piccolo Cottolengo Argentino terrà sempre aperte le sue porte, ad ogni classe di miserie morali e materiali.

Separati in seguito in altrettante famiglie, accoglierà nel suo seno come fratelli i ciechi, i sordomuti, i deficienti, gli invalidi: storpi, epilettici, anziani e inabili al lavoro, ragazzi scrofolosi, infermi cronici, bambini e bambine da pochi anni in poi, giovanette nell’età dei pericoli morali, tutti quelli in una parola che per una causa o per l’altra hanno bisogno di assistenza o di aiuto e non possono essere ricevuti in Ospedali o Istituto e che veramente si trovano abbandonati: siano essi di qualsiasi nazionalità, siano essi di qualsiasi religione ed anche senza nessuna religione: Dio è padre di tutti.

Nel Cottolengo non dovranno esservi posti vacanti e alla porta d’entrata non si domanderà a chi entra quale sia il suo nome, ma quale sia il suo dolore. In esso niente di impiegati, niente di formule burocratiche, che tante volte intralciano e rendono umiliante il bene che si riceve; niente che si assomigli ad una amministrazione: il Cottolengo è una famiglia fondata sopra la fede che vive dei frutti di una carità inesauribile. Perciò in esso si vive allegramente: si prega, si lavora nella misura delle forze di ciascuno, si ama Dio e si ama e si serve Cristo nei poveri in santa e perfetta letizia perché essi non sono ospiti, non sono ricoverati: sono i padroni e noi altri siamo i loro servitori. Perciò essi sono contenti e Nostro Signore anche, e continuamente sgorga e si innalza al cielo una sinfonia di orazioni, di gratitudine per i benefattori, di lavori di cantici e di carità.

Voi altri forse crederete che possediamo fondi e rendite.

No, amici miei, di tutto questo possediamo meno che niente.

Il Piccolo Cottolengo non ha redditi e non potrà mai potrà mai possedere tali redditi; va avanti giorno per giorno: panem nostrum quotidianum.

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Quel Dio che è il gran padre di tutti, che pensa all’uccelletto dell’aria e ci comanda di non impensierirci per il domani, invia con mano benefica il pane quotidiano, ossia ciò che fa bisogno ogni giorno.

Perciò la nostra debolezza non ci spaventa, la consideriamo come il trofeo della carità e della gloria di Gesù Cristo nostro Dio e nostro Redentore.

Niente è più gradito al Signore che la fiducia in Lui. E noi altri vorremmo possedere una fede un animo intrepido una fiducia così grande come il cuore di Gesù.

Il nostro banco è la Divina Provvidenza, ed essa fa e farà tutto per mezzo della carità dei cuori misericordiosi, mossi dal desiderio di fare del bene a quelli che più ne hanno bisogno, come ci insegna il Vangelo, e la Chiesa Cattolica, la Chiesa Romana Madre della nostra fede e delle nostre anime.

Ho accennato al Vangelo, o cari fratelli, e voglio che questa parola sacratissima sia l’ultima colla quale io vi saluti, perché quando Gesù mandò i suoi discepoli affidò loro soprattutto la missione di far conoscere il Vangelo, non già la sapienza degli uomini né le dottrine dei filosofi…