V074T185 V074P232
[Minuta]
C’era
una volta un re, un re potente e prepotente, il quale, alla testa del
suo esercito
delle sue bande mongole, uscì dai confini del suo regno, ed entrò
nei paesi vicini, mettendo a ferro e a fuoco villaggi e città, e
traendo schiavi con sé quegli abitanti che la sua barbarie non aveva
potuto massacrare: davanti a lui fuggivano anche le belve, e dietro a
sé non lasciava che sangue, stragi e morte!
Egli
fece scolpire le sue gesta sulle rocce dei monti, perché il nome
suo, la sua fama, passasse terrore anche ai posteri
futuri, e, quando sentì approssimarsi la sua fine, si fece costruire
un grande mausoleo, destinato ad essere la
sua tomba eterna. Le pietre erano colossali, veri blocchi di
durissimo macigno, scavati dal seno di montagne giganti.
E
volle che il suo corpo fosse imbalsamato con essenze preziose,
affinché la cara
morte quasi
morte non lo potesse
alterare
lo toccasse: volle
passare ai secoli
i secoli lo dovevano vedere passare inalterato, invulnerato anche
dalla morte; e ordinò gli mettessero in pugno la sua daga, e lo
scudo mangiato
al braccio, che la visiera fosse calata sulla fronte superba e torva,
- terribile, spaventoso anche morto!
Ma
il suo nome non vive tra noi che nei
in qualche vocabolario, che nei vecchi e polverosi libri di storia,
scartafacci inutili per i nostri egregi
studiosi studenti.
E
chi legge, quando incontra, a caso, quel nome, si
dice a sé, come di Carneade si chiedeva il Don Abbondio del Manzoni:
chi
era costui?
Il suo nome già non vive più tra noi: Gengis Khan!...?
Il
nostro volto non si rischiara e il nostro cuore non batte, anche
quando sent
anche
sentissimo parlare di lui, che fu dei più grandi conquistatori del
mondo.
Le
piogge e le intemperie già hanno distrutto l’ultima pietra del suo
monumento, e gli archeologi incartapecoriti andarono
cercarono
invano andarono cercando tra i ruderi e
vanno da secoli disputando
dove fosse la tomba del terribile guerriero
mongolo, che
essa più non si trova.
La
sabbia del deserto ne ha cancellate fin le traccie,
e la ala vendicatrice dei venti ha distrutto il suo nome, benché
inciso nella viva pietra di quei monti che lo
videro passare
V074P233
il trionfatore, che udirono rimbombare le valli alle grida degli assalti selvaggi, e la terra tremare e gemere sotto il passo del suo elefante.
C’era
però una volta un altro re, re mansueto, e, padre
del suo
più che si
re e signore, padre dolce del suo popolo. Egli non aveva soldati, non
ne volle mai avere, e non ne aveva bisogno. Non sparse il sangue di
nessuno, non abbruciò la casa di nessuno.
Non
volle inciso il suo nome sulle rocce dei monti, ma nei cuori degli
uomini! Questo re questo
non fece del male a nessuno e fece del bene a tutti, come la luce del
sole che piove sui buoni e sui cattivi. Egli stese la sua mano ai
peccatori, andò loro incontro, e mangiava
sedeva e mangiava pur con essi, ad ispirare loro fiducia e onde
per riscattarli dalle loro passioni, dai vizi, e riabilitarli,
indirizzarli a vita onesta, al bene, alla virtù.
Posò dolcemente la mano sulla fronte febbricitante degli ammalati, e li guarì da ogni languore. Toccò gli occhi dei ciechi nati, ed essi ci videro, e videro in Lui il Signore!
Toccò
le labbra dei muti, e parlarono, e benedirono in Lui al Signore! Ai
colpiti da sordità disse: udite!
e udirono; ai lebbrosi e ai rejetti
disse: “voglio
mondarvi”,
e la lebbra cadde a squame, e furono mondati. Portò la luce del
conforto nel tugurio, ed evangelizzò i poveri; attornò
a sé non non chiamò né
vivendo nel paese più povero della Palestina; attorno
a
non cercò seguito tra i grandi né chiamò
esaltò i superbi o i potenti dell’intelligenza, del braccio o
della borsa, ma gli umili e i poverelli, poverissimo anche Lui più
di loro, e si circondò di lavoratori.
V074P234
[Minuta]
C’era
una volta un re, un re potente e prepotente, il quale, alla testa del
suo esercito, uscì dai confini del suo regno, ed entrò nei paesi
vicini, mettendo a ferro e a fuoco villaggi e città; tutto
distruggeva quando trovava sul suo passaggio, lasciando
dietro a
sé
non lasciava che lacrime e sangue, e traeva schiavi con sé quei
pochi
quegli abitanti che nella
la sua ferocia non aveva dannati
alla morte
massacrati o dannati a morte.
Egli
fece scolpire le sue gesta sulle roccie,
perché il suo nome passasse terrore anche ai posteri, e quando sentì
approssimarsi la sua fine, si fece costruire un gran mausoleo,
destinato ad essere sua tomba: le pietre erano colossali, erano
blocchi di macigno tratti
durissimo scavati dal seno dei monti, e volle che il suo corpo fosse
imbalsamato con essenze preziose, affinché la morte non lo potesse
alterare per passare ai secoli incorrotto e invulnerato anche dalla
morte. Volle anche avere in pugno una daga, e lo scudo al braccio e
l’elmo
la visiera dell’elmo calata, in atto
di
guerra anche morto terribile anche morto.
C’era
una volta un altro re, il quale non aveva e non volle aver soldati;
non sparse il sangue di nessuno, non abbruciò la casa di nessuno.
Egli non incise il suo nome sulle roccie;
ma nei cuori degli uomini. e
gli uomini lo amano e lo adorano.
Egli
stese la mano ai peccatori caduti
e posò dolcemente la sua mano sulla fronte febbricitante degli
infermi: toccò gli occhi ai ciechi e ci videro, toccò le labbra ai
muti e parlarono: benedisse i bambini e li amò: spezzò
moltiplicò il pane e lo spezzò agli affamati, asciugò le lagrime
di chi piangeva e
disse,
disse ai morti: sorgete, e riebbero la vita, e
anche
e la morte fu vinta.
Fece
del bene a tutti e del male a nessuno. Agli uomini predicò la pace e
il perdono: portò la luce dove erano le tenebre e il soffio della
carità dove era il
gelo della
di morte.
Fin
sulla croce perseverò nel perdono e lo invocò a gran voce sui
barbari che lo avevano crocifisso e volle morire a braccia larghe e
col cuore largo
aperto per abbracciare a sé tutti gli uomini.