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[Minuta]

Tortona

1) Ho detto che, mentre era qui in un primo maggio, prese parte ad una dimostrazione socialista, fuggendomi dal Collegio, e che poi di era messo molto bene, aprendomi l’animo a ben sperare.

Che in premio, in estate, lo feci andare un po’ di giorni a visitare Venezia.

Che a Tortona stette due anni scolastici non interi, e che qui diede la licenza Ginnasiale.

A San Remo si diede sfrenatamente allo sport e marinava la scuola, tanto che dovetti ritirarlo ad istruzione privata. Poi lo restituî al Patronato Regina Elena.

Lo vidi, qualche anno fa, mi disse che non studiava più, che faceva il Tipografo: che aiutassi a farlo uomo, che aveva a Velletri la fidanzata, che voleva crearsi una famiglia onorata e vivere da galantuomo.

Si raccomandava di essere posto in ambiente sano, tra operai laboriosi e di buoni principii.

Io, conoscendo personalmente il Direttore della Tipografia Vaticana, Commendator Scotti, gli feci un biglietto di presentazione per lui. Ma non fu accettato pe.

Nel Luglio Nell’estate del 1927 mi scrisse di nuovo, dicendomi che pativa la fame e scongiurandomi di aiutarlo: che era linotipista, ma non perfetto che gli bastava qualche mese per diventare un vero operaio: che lo raccomandassi ancora al Commendator Scotti; io non ho creduto di tornare a raccomandarlo, ma gli ho detto: vedrò se posso fare qualche cosa magari pers direttamente.

E, poiché a Venezia ho la Tipografia Emiliana, con la linotype, gli ho detto che, se era per qualche mese, per apprendere cognizione della macchina, lo avrei mandato là, ma non a carico dell’Istituto Artigianelli, perché non si trovava in una situazione da poter pagare operai in più.

Egli disse che avrebbe potuto mantenersi per qualche tempo vivere del suo, perché mi pare che avesse aveva realizzato una somma dalla vendita, credo mi pare, di una casa.

Passò a Tortona in Dicembre e gli feci una breve lettera di presentazione pel Direttore della Tipografia Emiliana, perché lo prendesse per un mese o due, da poter














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apprendere la sua arte.

In Gennaio sono stato a Venezia, lo vidi e lo animai a far bene. Però, siccome già produceva qualche cosa, così gli pagavano un tanto al giorno per vivere, perché abitava fuori.

Tuttavia, benché non fosse tanto, era un sacrificio che non si poteva continuare e d’altronde non avevamo bisogno di un linotipista di più, onde si parlò di dimetterlo in bel modo, e di fargli capire che si cercasse lavoro.

Il 17 Marzo ho ricevuto da Venezia un telegr. che il Tranquilli, il giorno dopo, sarebbe arrivato a Tortona, e che vedessi di non lasciarlo più ritornare.

Infatti, ancora di mattino, mi dissero che era giunto e che cercava di me. Io non voleva riceverlo: avevo febbre ed ero molto preoccupato, perché doveva quel giorno, alle 3.1/2, tenere in Genova una Conferenza ai Benefattori delle tre Case del Piccolo Cottolengo, che ho a Genova.

Ma, dopo, qualche poco, me lo vidi sentii bussare e mi capitò in camera.

La impressione che ebbi fu di trovarmi davanti ad un animo in agitazione, tanto che sospettai che egli, non trovando lavoro, volesse abbandonarsi ad atti di disperazione, e mi venne il sospetto che avesse potuto lasciarsi trascinare dalle teorie di suo fratello, del quale avevo saputo, dal Patronato Regina Elena, che era in Russia.

Ed egli stesso mi aveva detto, più volte, di aiutarlo a salvarlo dall’influenza malefica del fratello. - Tanto che nel sospetto che il fratello lo avesse sobillato, gli ho chiesto: vedrai tuo fratello? Mi rispose “non lo so”. Mi disse che andava a Genova. Mi salutò, e non ne seppi più nulla.

Quando gli ho fatto la raccomandazione pel Commendator Scotti, ho la sicurezza che non era più a Velletri. Forse Io, solo ora, dai giornali, ho appreso che egli era un vigilato dalla P. S., prima non nessuno mi disse.

Ora capisco il perché, da Venezia, mi telegrafarono di impedire che tornasse: oltre a levarsi un aggravio, c’era forse anche la preoccupazione e il desiderio di liberarsi da un individuo, che aveva a fare con la Questura.



















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Il Patronato Regina Elena era solito affidarmi quegli orfani che erano più insofferenti di disciplina e che da non facevano avevano fatto buona prova presso altri Istituti.

Col sentimento religioso, col form coll’educarne la coscienza, con lo studio e lavoro, ho potuto mettere sulla buona via molti, che parevano casi disperati.

Io speravo che il Tranquilli si potesse diventare un buon operaio, volevo aprirgli una via onorata nella vita: desiderava che si sposasse e si creasse una onesta famiglia.