V078T011 V078P012

(Da “L’Unità Cattolica“ - Mercoledì 1° Settembre 1909 pagina 1 e 2)

29 Agosto



Lettere Tortonesi

La lettera anonima comparsa nel n° 195 di codesto spett. giornale (27 Agosto) mi sorprese e mi addolorò. Vi si fanno sul mio conto degli apprezzamenti ingiusti e maligni, e si infligge ad un Clero e ad una Diocesi intera una nota ben grave, perché se fosse vero ciò che la detta anonima espone tutto il Clero sarebbe complice del mio misfatto, non avendo, come Ella soggiunge nella N. d. R. protestato, anzi avendo accolto con applausi le mie parole (dica meno corbellerie. N. d. R.)

Mi permetta dunque di rettificare le cose, non tanto per purgare me, ma per cancellare, se mi riesce, ogni sinistra impressione dei lettori a riguardo di questo Clero e di questa Diocesi, ove la riverenza e l’affetto alla S. Sede è sentito, schietto e profondo (sapevancelo).

La frase incriminata è stiracchiata sino a significare ribellione e disprezzo di una disposizione di una S. Congregazione Romana, fu detto, ma fu detto in tutt’altro senso dal sottoscritto, il quale si protesta di non aver avuto nel profferirla nemmeno la idea della più lontana allusione a quanto gli si vuole attribuire. Ognuno sa che quella frase non fu creata lì per li; era una frase fatta, e le frasi fatte, vanno prese nel senso che hanno nella accettazione comune: ora accettazione comune di quella frase è soltanto quella di indicare che per dovere d’ufficio, di “magistero” si vive lontano dal luogo nativo: onde per il sottoscritto era semplicemente un sinonimo di “ vivere per ufficio fuori dalla città natale”.

Il senso delle frasi deve essere dato anche dal contesto; ora quella frase fu detta semplicemente per opposizione a “cittadino”.

Il sottoscritto, da 12 anni vivente in una parrocchia di campagna, per parlare a nome di Tortona, aveva bisogno di far rilevare che sebbene dimorante altrove per ragioni di ministero, era però per origine ed affetto sempre tortonese.
















V078P013


Questo è il preciso senso che l’uso e il contesto davano alla frase incriminata: e questo assicuro essere stato il preciso e l’unico senso datole dal sottoscritto.

Chi tenta ritorcerla ad altro senso, fa venire in mente la frase di quel tale: “Datemi due righe di un galantuomo qualsiasi, ed io ve lo faccio impiccare”.

Ella sa che un senso nuovo, soggettivo, direi, non si può dare ad una frase, quando nella vita di chi la proferisce non c'è o non ci fu mai nulla che possa legittimare quella nuova spiegazione. Ora io non sono né modernista né semi modernista né in relazione con i modernisti: sono prete da 20 anni, e scrivo, predico, insegno, e professo coll’esempio la più ampia, la più sentita soggezione a tutte, anche alle più piccole direzioni della S. Sede, e tutta la Diocesi, ed anche un po’ i lontani sarebbero pronti a testimoniarlo, Sign. Direttore. E posso gloriarmi non solo di aver sempre aderito “toto corde” alle superiori direzioni in tutto; ma di aver anche speso fatiche, fatto sacrifici per attuare e nell’azione pratica e nell’istruzione, e nel ministero sacerdotale, quelle direzioni, che vennero sempre e che sole tengo per norma della mia condotta.

Che poi il mio brindisi sia stato accolto dagli applausi cordiali dei convenuti (che ci sia stata qualche estensione me lo fa credere la lettera pubblicata nel suo giornale), è ancora una prova della perfetta ortodossia delle mie parole. Poiché nella Diocesi di Tortona per quanto si sforzino certuni di mostrare il contrario, forse per darsi l’aria di indispensabili fautori dello spirito sacerdotale, no, non ci fu e non c'è, lo creda Signor Direttore, ombra di modernismo.

Quegli applausi poi avevano una ragione.

Il Comitato per le feste a P. Michele, avrà avuto le sue buone ragioni per chiamare a far nel mattino il discorso di circostanza un forestiero: ma certo la scelta di un forestiero a parlare in una festa tutta di famiglia spiacque ai più, tanto più quando il forestiero ebbe risposto così poco alle circostanze e alla aspettazione.

Il sottoscritto nel suo dire (non lo nasconde) sottolineò più volte la parola festa cittadina, e gli astanti, coi loro applausi gli diedero ragione. Questa fu la colpa del sottoscritto, e lo confessa candidamente.



















V078P014


Il sottoscritto parlò e parlò per il primo a nome del Clero Diocesano e della città di Tortona e non gli pare di aver commesso una improntitudine. Per quanto umile prete, era stato incluso nel comitato promotore delle feste, di più era stato più che pregato, spinto dai 7 o 8 Parroci presenti, a parlare, proprio a nome del Clero. Ed egli persuaso di non essere in nulla modernista e di non aver mai commesso nulla che rendesse indegno di quell’incarico, ha parlato, ben lontano dal sospettare che la sua parola guadagnasse da qualcuno una patente di modernista (?) a tutto il Clero.

E se si vuole, (è pure un’altra ragione, sì, degli applausi che accolsero le parole del sottoscritto, (vi) sono qua attorno alcuni che, mettendosi al di sopra dei legittimi Superiori, hanno regalato al sottoscritto la taccia di modernista, facendone arrivare una eco persino a Roma. E tutta la Diocesi non ha protestato, no, perché non si protesta mai contro l’autorità, ma con numerosi attestati ha voluto dimostrare che quelle accuse non hanno alcun fondamento: e gli applausi del 15 Agosto furono anche un po’ una dichiarazione di stima e di affetto all’umile sottoscritto.

Non Le pare Signor Direttore, che ci sia qualcosa di meglio da fare che suscitare di questi scandali?

Domandi un po’ al suo anonimo corrispondente, se non gli pare un bell’e e buono modernismo malignare sull’intenzione dei Colleghi, denunziare in pubblico, saltando di piè pari quella legittima autorità che governa e veglia in ogni Diocesi, domandi un po’ se non gli pare un modernismo bell’e buono, mettere sossopra una Diocesi, screditare il Seminario, un Clero e finire così col far ridere i nostri avversarii.

(Non si esageri!. N. d. R.)

E poi domandi un poco se è costumanza umana mettere l’occhialino per cogliere una frase sfuggita in brindisi, buttata là con impreparazione (? ) e con la confidenza che ci vuole in una accolta d’amici stretti dall’affetto attorno ad una persona veneranda e venerata.

Senza paragonarmi a San Giovanni Battista che “convivali tempore, convivali praecepto”, tentano decapitare un confratello?



















V078P015


Perdoni la lungaggine, ma non potevo dir tutto in meno; la colpa di averle rubato tanto spazio non è mia che non mi sono mai sognato di diventare un uomo tanto grande da interessare di me un giornale forte e potente come quello diretto da V. S. ma le garantisco che sarà per una volta sola.

Gradisca ossequi e ringraziamenti.

Di Vostra Signoria Dev.mo


C. Testone

Parroco di Casteggio




Ora che il M. R. Testone si è sfogato, ci preme, per mettere le cose a posto, fare alcune osservazioni.

I) Il M. R. Testone afferma anch'egli che la frase pronunciata nel suo brindisi “che era un parroco condannato a domicilio coatto intellettuale” “fu veramente detta” ed il nostro corrispondente, attesi certi precedenti, la commentò nel senso più ovvio e naturale e secondo l’impressione che fece ad altri.

Il) Il M. R. D. Testone non nega la destituzione avvenuta in questi mesi da professore in Seminario, ma pare che indirettamente l’affermi come cosa vera, specie là ove dice che la taccia di modernista ebbe “persino” l’eco a Roma.

Tutte le altre cose sono accidentali affatto e noi facciamo al M. R. D. Testone plauso per le sue intenzioni se veramente le aveva quando pronunciava quella frase, come ci congratuliamo con lui se non fu mai e se non è nemmeno oggi né modernista né semi modernista.

Con ciò non intendiamo di togliere la parola al nostro corrispondente se questi avesse intenzione di rispondere alle asserzioni del M. R. Testone.   (N. d. R)