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[Da copia stampata]

Il Vangelo

Domenica IV. di Quaresima

(Giov. VI, 1-15)

La prima moltiplicazione dei pani.

(Matt.XIV.- Marco VI.- Luca IX).

Dopo queste cose, Gesù se n'andò all'altra riva del mare di Galilea, o di Tiberiade (1). E gran moltitudine lo seguiva, perché vedeva i miracoli ch'egli faceva sugli infermi. Ma Gesù salì sopra un monte, e quivi si pose a sedere coi suoi discepoli. Era poi vicina la Pasqua (2), la festa degli Giudei. Or Gesù, alzati gli occhi, nel vedere la grande moltitudine che veniva a lui, disse a Filippo: Onde compreremo noi del pane per dar da mangiare a questa gente? Ma diceva questo per metterlo alla prova, perché egli sapeva ben quel che stava per fare (3). Filippo gli rispose: Duecento denari (4) di pane non bastano, anche a darne un pezzetto per uno. Uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro, gli disse: V'è qui un fanciullo, che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma questo che cos'è per tanta folla? (5) Ma Gesù disse: fate che la gente si metta a sedere. C'era molta erba in quel luogo. La gente dunque si sedette, in numero di circa cinquemila persone. Gesù quindi prese i pani, e, dopo aver rese grazie, li distribuì alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, fin che ne vollero. E, poiché furono saziati, disse à suoi discepoli: Raccoglie i pezzi avanzati, che non vadano a male. Essi quindi li raccolsero (6), ed empirono dodici panieri di avanzi, rimasti a coloro che avevano mangiato di quei cinque pani d’orzo. E la gente, veduto il miracolo, che Gesù aveva fatto, diceva: Certo, questi è veramente quel Profeta che doveva venire al mondo. Ma Gesù, conoscendo che stavan per prenderlo a forza e farlo re, si sottrasse di nuovo tutto solo sul monte”. Gesù era venuto a mostrare la via del cielo e a salvare le anime, quindi si sottrasse all'insidioso tentativo d’esser fatto re. Egli però quella sera dovette pensare melanconicamente all'umana miseria: se si fosse presentato al mondo colla fronte cinta da diadema di gloria, tutti sarebbero corsi dietro di Lui, ma veniva invece nell'umiltà e nella virtù a predicare la carità e il sacrificio, e per questo il Regno di Dio non era creduto. Il giorno dopo, infatti, le turbe lo raggiunsero, e Gesù con accento di tristezza disse loro: Non perché avete visto dei miracoli voi mi cercate, ma perché avete mangiato di quel pane: cercate non il cibo che perisce, ma quello che dura nella vita eterna.

E il discorso volse sull'Eucaristia. La moltiplicazione del pane era dunque stata preordinata ad adombrare e a rendere meno difficile la cognizione del più grande, del più bello e amorevole mistero del Cristianesimo, quasi per elevarci da un miracolo di cibo umano a un miracolo di cibo divino. Questo Vangelo, all'avvicinarsi della Pasqua, mi dà buona occasione di parlarvi dell'Eucarestia. Gli Ebrei erano alquanto scusabili se non vollero comprendere la espressione più sublime dell'amore di G. Cristo; ma noi, dopo 20 secoli di luce e di conferma, come potremo ancora, o fratelli, restare indifferenti? e come non andremo a far Pasqua? Vide Dio con un palpito di gioia la felicità che avremmo provata e ci credo, e ci infuse la grazia, che ci unì a Dio, e fece suoi figli, consorti della divina natura (S.Petr.). Ma l'amore di Dio non è sazio: l'unione fra Dio e l'uomo sarà sorpassata da un'altra più intima: il Figlio di Dio si unisce colla natura umana in unità di

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Persona. Non basta. Questa unione Dio la vuole come estendere singolarmente a tutti gli uomini, più che si unisce il cibo con chi lo mangia. E` l'amore di Dio! - Deus charitas est, e la carità spinse Gesù Cristo nostro Dio a non abbandonarci orfani su la terra, ma a donare se stesso all’umanità. E istituì l'Eucarestia. Nell’ultima Cena, “Gesù prese del pane, e, dopo averlo benedetto, lo spezzò, e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: Prendete, mangiate: questo è il mio Corpo.(S. Matt. XXVI). Poi preso un calice, e, reso grazie, lo diede loro, dicendo: bevetene tutti, questo è in vero il mio Sangue, il Sangue del Testamento, versato per molti, in remissione dei peccati”. (S. Matt. XXVI)

S. Marco (XIV-XVI), S. Luca (XXII), S. Paolo (I Cor. XI), usano quasi le stesse parole, solo le formole di Luca e di Paolo sono più diffuse che quelle di Matteo e di Marco; esse aggiungono pel Corpo: “dato per voi: fate ciò in memoria di me”, e Paolo, anche pel calice, “fate ciò in memoria di me, ogni volta che ne berrete”. E qualche altra variante di minima importanza, che nulla altera. Così Gesù Cristo istituì il Sacramento dell'Eucarestia, che è un mondo di prodigi e di amore, e il focolare della pietà cristiana. “Perciò, dirà San Paolo, chi mangerà il pane e berrà il calice del Signore indegnamente, sarà colpevole contro il Corpo e il Sangue del Signore... egli mangia e beve la sua condanna”. (I Cor.). Del resto Gesù stesso, commentando il senso intimo e profondo della moltiplicazione dei pani, aveva detto: “Se non mangerete la carne del Figliuol dell'uomo, e non berrete il suo Signore, non avrete la vita i voi”. (S. Giov. Cap. VI,33). Dunque il pane consacrato non è più pane, il calice consacrato non è più vino, ma è il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità di Gesù Cristo. Questa fu sempre la fede cattolica. S. Ignazio Martire, (I secolo), immediato successore di S. Pietro, nella sede di Antiochia, nudrito alla culla della nostra fede, e che aveva seguite le orme del Redentore, parlando dei Gnostici, setta di eretici, dice: “Essi si astengono dall'Eucarestia, perché non confessano che L'Eucarestia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo”. (Ep. Smyr. VII). E scrivendo ai Romani, VII,4 “Io non desedero i cibi corruttibili, ma voglio il pane di Dio, ch'è la Carne del Cristo, della stirpe di David, e, per bevanda, il suo Sangue; ch'è carità incorruttibile”. La Didachè‚ la Dottrina degli Apostoli, pubblicata solo nel 1883, documento collettivo e principe, anteriore certamente alla metà del II secolo, ma che potrebbe essere anche prima del Vangelo di San Giovanni, ha alcuni capitoli sul dogma e sulla pratica dell'Eucarestia alla fine del I o alla metà del II secolo dopo Cristo. Essa ci prova che allora si aveva la fede nell'Eucarestia che abbiamo oggi. Così San Giustino Martire (II secolo), nella prima Apologia, dice: l’Eucaristia non è “come pane ordinario e bevanda comune, ma il cibo divenuto Eucaristia, di cui si nutrono per mezzo di un cambiamento il nostro sangue di quel Gesù incarnato”. E ne scrive anche chiaramente nel Dialogo con Trifone. Sant'Ireneo, (II secolo), onorato dallo stesso Fozio del titolo di divino, dice dell’Eucarestia, che il pane è il Corpo del Signore e il calice il suo Sangue. Dell’Eucaristia con precisione di linguaggio parla l'Epitaffio di Abercio. Vescovo di Geropoli in Frigia, scoperto nel 1882, monumento autenticissimo. I dotti si accordano nel datar l'iscrizione della fine del II secolo dell'e. v. Come il Signore aveva ordinato a suoi discepoli, così essi fecero: gli Apostoli portarono l'Eucarestia per il mondo, la distribuirono in cibo ai fedeli, e il Sangue di Gesù venne offerto nelle catacombe e sulle tombe dei Martiri. Ove avete voi attinto, o deboli donzelle, o teneri fanciulli, o vecchi cadenti, la forza per sostenere tanti e si atroci tormenti! Dall’Eucaristia, ci rispondono i Martiri.

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L'Ostia santa segretamente entrava nelle oscure ed umidi prigioni, ed era il cibo dei forti; era il Sangue di Cristo che inebriava quelle anime ardenti di carità.

La Chiesa, che è “del Sangue incorruttibile conservatrice eterna”, rinnova ogni giorno il divino sacrificio sui nostri altari. Essa ha sempre insegnato ad intendere le parole della consacrazione in senso proprio e reale, e che l'Eucarestia “nutre la nostra carne del Corpo e del Sangue del Signore” (S. Ireneo), secondo la parola di Paolo agli Etes. V,30, “Noi siamo le membra del suo Corpo, della sua Carne, delle sue ossa” S. Agostino (IV secolo, Contr. Faust.) assicura che, dai tempi apostolici, coloro che si comunicavano intendevano riconoscere la presenza reale del Corpo e Sangue di G. Cristo nell'Eucaristia col rispondere Amen, che in ebraico significa così è, così sia! - quando venivano loro presentate le specie sacramentali. “Tutte le più antiche e venerande liturgie greche, latine, arabe, siriache ed altre sciolgono al Sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo inni di fede di amore dolcissimo e di adorazione”.

  

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Così scrisse Grozio, protestante, nel suo “Votum pro pace”. L'Eucarestia è nei simboli e pitture cemeteriali di S. Callisto e di Priscilla (II secolo), e nei monumenti primitivi dell'arte cristiana. Dai Vangeli, da S. Paolo, dai Padri Apostolici, dalla Chiesa primitiva risulta indubbiamente che l'Eucarestia: E` “Convito spirituale”, presieduto dal Sacerdote, che spezza il pane, “fractio panis”, “il Corpo di Gesù Cristo nutre il nostro” S. Ireneo. E` “Comunione”. “Il calice di benedizione che benediciamo non è la comunione del Sangue di Cristo? e il pane, che spezziamo, non è la comunione del Corpo di Cristo?” (San Paolo. I. Cor. XII). E` “Ringraziamento”. L'etimologia propria del vocabolo greco Eucharistia significa appunto “ringraziamento”. Questo stesso nome le dà S. Ignazio M. La Chiesa considerò sempre l'Eucarestia anche come un rito di ringraziamento. E` “Commemorazione”. “ Ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete questo calice annunciate la morte del Signore”. (San Paolo, I Cr. XI). San Giustino dice: noi celebriamo l'Eucaristia “in memoria della passione del Signore”. L'Eucarestia, nei documenti primitivi della Chiesa, mette sempre sott'occhio gli ultimi momenti del Salvatore. E’ “Sacrificio”. Il carattere suo sacrificale è continuamente affermato.

La Didachè, XIV, chiama tre volte l'Eucaristia “Sacrificio”. Ne parla S. Paolo. (Ep. ad Hebr., XIII). S. Giustino e S. Ireneo vedono nell'Eucaristia il sacrificio perpetuo e puro. Il Sacrificio Eucaristico era destinato, nei decreti della Provvidenza, a sostituire tutti i sacrifizî dell'antico patto. L'Eucaristia è dunque il Sacrificio eterno ed universale, come la Chiesa cattolica di cui è l'anima: è il Sacrificio divino, di efficacia infinita ed inesauribile.

I Papi, i Concilî, i Padri, i Dottori della Chiesa insegnarono, e tutte le generazioni cristiane credettero sempre così. Erasmo, Pascal, Bossnet, Tommaso Moro piegano dinanzi al miracolo ineffabile. E quando Raffaello vorrà darci in Vaticano la disputa del Sacramento, là, tra i difensori dell'Eucarestia, tra venerandi pontefici e martiri, tra Sant’Agostino e S. Tommaso, porrà Dante e il fierissimo Savonarola. E Lutero stesso si darà vinto! Ma, come nel breve giro d'un’ostia si trova il Corpo, e il Sangue di Cristo? E` un mistero! Ma Dio ha detto che è così: Gesù è là! Del resto ricordiamo che Tommaso d'Aquino, Cartesio e Leibnitz, i tre più grandi filosofi d'Italia, di Francia e di Germania dimostrarono che la scienza nulla ha da opporre. E lo stesso fecero fisici e chimici insigni del tempo nostro: anzi i progressi della fisica rendono omaggio all'Eucaristia.

Ma, perché‚ dubitarne? L’uomo non sa staccarsi da chi ama: l'uomo anela a sacrificarsi per chi ama, e Dio sarà vinto dall'amore dell'uomo? Nessuno consentirebbe di morire a quelli che egli ama, e Dio, la cui potenza passa infinitamente la nostra intelligenza, non avrebbe saputo gettare se stesso attraverso i secoli, per soddisfare alla carità del suo cuore, per vivere con noi, per farci vivere di sé? Ah! crediamo all'amore di Dio e siamo logici, e poi ogni nube svanirà. Qui, due soltanto sono logici: l'ateo e il cattolico, il protestante no. Come possono essere logici i protestanti, se, dopo aver ammesso la creazione e l'Incarnazione, negano l'Eucarestia? Noi crediamo all'Eucarestia, perché crediamo all'amore di Dio per l’umanità. L'eroe lascia alla Patria le sue ossa: la madre lascia al figlio il suo cuore: i figli del Conte Ugolino, gettati a morire con lui nella torre che “ha il titol della fame”, dicono al padre: “..... Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi, tu ne vestiti queste misere carni, e tu le spoglia”.

Storia o Invenzione, queste et abundantius habeant? Dio ci ama! Davanti al suo amore nell'ultima cena, davanti all'Eucaristia un Pietro Leroux è obbligato ad esclamare: O Gesù, quanto sei grande!


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Si, quanto sei grande, o Gesù! Grande quando, Ostia pura e santa, discendi sino a noi, caduti, per sollevare noi dal fango sino a Te! Grande quando, Consolatore degli umili, entri negli ospedali, o vai fra gli orfani e gli afflitti della vita! Grande, o mio Gesù, grande oggi sul campo della battaglie come un giorno sul Carroccio, o nei petti dei 25000 eroi di Courtrai: grande a Sant’Elena, là sulla deserta coltrice, o nel tugurio del povero in una valle dimentica, più ancora che sui troni e nei palazzi dei re. Chi non ti amerà, o mio Dio? E perché non ho io la fiamma dei serafini? perché non ho la luce di un angelo da trasfigurare la terra di amore di Te, o Gesù mio? Ah! mille volte ti adoro e mille volte ti amo, o Gesù! Pane degli angeli e dei vergini! divina sorgente di vita! “O Vita intera d'amore e di pace!”. O fratelli, non avete mai esperimentato di che amore soavissimo, di quanta vita spirituale, di quanta pace è sorgente l'Eucaristia? Voi che, forse, vedeste rovinare ad uno ad uno i castelli sognati nella gioventù: voi che, adulti, vi trovaste lontani da Dio, stanchi, disillusi, nauseati: perché, o miei fratelli, non riannodereste la vita che vi resta ai ricordi di un’infanzia che sorgeva bella di speranze, piena della luce di Dio e di gioia? Perché, in questa Pasqua, non andrete a Gesù? Perché non risorgerete ad una vita più onesta e più cristiana? Si vive senza padre e senza madre: non si vive senza Dio! Tutta la natura accenna a rinascere: fra quindici giorni una gioia spirituale farà eco alla festa della primavera. Le campane, echeggianti a gloria per la città e pei villaggi, ridesteranno un inno che salirà a Cristo risorto. O fratelli, facciamo Pasqua! Che quell'eco di gioia serena non sia un semplice ricordo!


(1) “Il mare di Galilea” è chiamato altrove lago di Gennesaret (Giardino del principe) (Luca 5,1) e mar di Tiberiade (Giv. 21,). (2) La festa di Pasqua durava sette giorni. Pasqua è nome che deriva dall'ebraico Pesach, passare, e significa passaggio, in ricordanza del passaggio del Mar Rosso, che era stato un passaggio dalla schiavitù alla libertà, o dell'angelo sterminatore che, giunto alle case israelite, segnate col sangue dell'agnello, passava oltre (Esodo 12,23). Alla Pasqua, gli Israeliti mangiavano un agnello. L'agnello della Pasqua israelita era l'ombra d'un altro Agnello, di Gesù, Agnello di Dio “senza difetto né macchia”, “che toglie il peccato del mondo”, che redime quelli i quali si convertono a Lui, che appartengono alla sua Chiesa, che si raccolgono all'ombra del suo sacrificio, e li fa passare dalla schiavitù del peccato alla gloriosa libertà dei figliuoli di Dio (I PIetro, 1 18, 19); “La nostra Pasqua è Cristo”, dice S. Paolo. (I. Cor.5). (3) Per esperimentare la sua fede, e vedere sino a qual segno sapesse confidare nella bontà e potere di Gesù Cristo. (4) Il denaro equivaleva a una dramma, ossia a circa 90 centesimi. Duecento denari eran dunque circa 180 lire. (5) Queste parole mostrano che Andrea aveva più fede che Filippo. Ma quanto ce ne voleva ancora! E` evidente che la domanda di Gesù e la risposta di Filippo e di Andrea, e l'accertamento che erano cinque i pani e due i pesci, fossero tutte cose affinché‚ il miracolo della moltiplicazione risplendesse in tutta la sua luce agli occhi degli Apostoli e delle turbe.

(6) Non è lecito disperdere nulla di quello, che, se non è necessario né utile a noi, lo può essere ai nostri fratelli. Oh quanti poveri languiscono!


Chi desidera di questi foglietti, per diffondere il Vangelo nelle famiglie, si rivolga a Don Orione - Tortona.

Con permissione Ecclesiastica