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[Da copia stampata]
Il Vangelo
I.a Domenica dopo la Pasqua
(S. Giov. XX, 19-31).
Apparizione di N. Signore Gesù Cristo.
(Marco XVI,14. - Luca XXIV, 36-49)
“Allorché fu sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, essendo, per paura de’ Giudei, chiuse le porte (1) del luogo dove si trovavano radunati i discepoli, Gesù venne e stette in mezzo a loro, e disse: Pace a voi! E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato; e i discepoli, al vedere il Signore, gioirono. E Gesù disse loro di nuovo: Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. E, detto ciò, soffiò sopra di essi (2), e disse: Ricevete lo Spirito Santo. Saran rimessi i peccati a chi li rimetterete; e saran ritenuti a chi li riterrete (3). Ora Tommaso (4), uno de’ dodici, detto Didimo, non si trovò con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli adunque gli dissero: Abbiamo veduto il Signore! Ma egli rispose loro: se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nella piaga dei chiodi e la mia mano nel suo costato, non crederò.
Otto giorni dopo, i discepoli si trovavano di nuovo in casa e con essi Tommaso. Venne Gesù, benché le porte fossero chiuse, e si presentò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi dice a Tommaso: Metti qua il tuo dito, ed osserva le mie mani! ed accosta anche la tua mano, e mettila nel mio costato: e non essere miscredente, ma abbi fede. E Tommaso gli rispose, e gli disse: Signor mio e Dio mio! (5) Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, o Tommaso, tu hai creduto: beati coloro che non han visto, eppur hanno creduto!
Or Gesù fece in presenza de’ suoi discepoli molti altri miracoli, che non sono scritti in questo libro; ma queste cose sono state scritte affinché crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, e affinché credendo, abbiate la vita nel nome di Lui”. Gesù in questo Vangelo dà ai suoi discepoli il mandato ch'Ehli ebbe dal Padre. Il mandato ch'Egli ebbe fu di liberare gli uomini dai peccati (Matt. I), e quindi i discepoli di Gesù non sono nel Vangelo uomini come gli altri, ma uomini che esercitano il ministero della riconciliazione, la confessione, per mandato di Gesù Cristo (S. Paolo).
Questo Vangelo prova ancora che Gesù Cristo istituì il Sacramento della Penitenza detto anche la confessione: che Egli diede ai Sacerdoti il potere di assolvere o di non assolvere dai peccati, e a tutti i cristiani l'obbligo di confessarsi. La contrizione perfetta ottiene pure il perdono dei peccati, ma si dovrà manifestarli alla prima confessione; talché in via ordinaria, ogni remissione di peccato grave è legata alla confessione. L'obbligo è solamente per peccati mortali. Iddio stesso però non potrebbe perdonare chi non fosse pentito delle proprie colpe, onde dice bene il Poeta: Assolver non si può chi non si pente, per la contradizion che nol consente. (Inf., XXVII 118).
La confessione! è un'invenzione, un'istituzione umana e non divina, gridano i nostri fratelli protestanti. No, fratelli, non è così! La grande e vitale questione si risolve ricorrendo al Vangelo. A qual prezzo Dio ha voluto concederci il perdono delle nostre colpe? In questo Vangelo Gesù Cristo dice ai suoi discepoli: “A quelli ai quali avrete
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rimessi i peccati, i peccati saranno rimessi, e a quelli ai quali li avrete ritenuti, essi saranno ritenuti” Li stabilì quindi non solo maestri, ma giudici delle coscienze. E` evidente che gli uomini della Chiesa hanno questo potere, e perciò la Chiesa potrà regolarne la procedura. Ma come potrebbe ella condannare piuttosto che assolvere, se il reo non facesse la parte dell'accusatore? Si fa appello alla disciplina antica della Chiesa, ma questa disciplina antica era più severa, e la Chiesa poteva ben modificarla. La penitenza o confessione pubblica si doveva fare innanzi a tutti, e si faceva solamente per tre peccati gravi, cioè l'apostasia, l'omicidio e un altro peccato ben vergognoso. Era quindi una confessione più grave della confessione auricolare che, per altro, fu sempre in uso nella Chiesa. Come può sostenersi che c'era solo la confessione pubblica se questa era permessa una sola volta in vita? se i Padri Apostolici, se i Padri ante-Niceni e post-Niceni, d'Oriente e d'Occidente inculcano la confessione di tutti i peccati gravi, anche i segreti? Né si dica: basta confessarci a Dio, che‚ non basta, e poi in realtà avviene questo: chi non si confessa ai Sacerdoti, non si confessa neppure a Dio. La confessione, del resto appare in San Giovanni (I.a lettera I,9) che ammonisce: “Se noi confessiamo i nostri peccati, Dio è fedele e giusto per perdonarci”. S. Giacomo inculca: “Confessate i vostri peccati” (Epist. V. 16) S. Luca (Act. XIX, 18) dice: “Una folla di credenti accorrevano a confessarsi e a manifestare i loro peccati”. Nella Didaché, che forse fu scritta prima del Vangelo di San Giovanni, o, certo, appena dopo, al capo IV e XIV si parla chiaramente della confessione sacramentale. Interroghiamo i discepoli degli Apostoli, San Clemente Papa, educato alla scuola di S. Pietro (I secolo della Chiesa) scrive: Mentre viviamo, convertiamoci cordialmente, perché usciti di questa vita, non potremo confessarci né far penitenza. E ai perturbatori della Chiesa di Corinto raccomanda “di sottomettersi ai preti, e di ricevere la disciplina per la penitenza, piegando spontaneamente le ginocchia”. (Epist. II,6). Se. Ireneo, discepolo di S. Giovanni Evangelista, narra di certe donne di Lione che si convertirono, e “impiegarono il tempo della loro confessione in gemiti e pianti”. (Lib. II, adversus haer). I Novaziani furono condannati (anni 251) perché sostenevano che alcuni peccati dalla Chiesa non potessero assolversi. Ora questa condanna sarebbe inesplicabile, se non fosse stata creduta necessaria, e quindi praticata, la confessione secreta o auricolare. Origene, (anno 254), dice: “Dopo essersi il confessore mostrato verso di voi medico abile e compassionevole, vi rivolga qualche parola, e vi dia qualche buon consiglio. S'egli viene a conoscere la natura del vostro male è di quelli che devono essere rivelati e guariti nella adunanza della comunità, o che questo sia per voi il mezzo più facile per ottener la salute, voi vi dovete conformare, allorché dopo matura riflessione, il vostro medico ve lo avrà prudentemente consigliato”. (Homil. in Ps. XXXVII).
E altrove avverte i penitenti, che “attendano bene a quale dei presbiteri, (cioè Sacerdoti) debbano confessare il loro peccato”. (Homil. II in Ps. XXXXVII); tratta ancora della confessione sacramentale in Leviticum (Homil. II. c. IV). E` evidente che il grande Origine parla della confessione privata o auricolare fatta al Sacerdote, che è medico spirituale delle anime. “Il malato, dirà poi S. Gerolamo, deve rivelare al medico la sua ferita, poiché la medicina non guarisce ciò che ignora”. (In Ecclesiast. cap. X). E il Concilio di Trento riprodurrà questo testo (Sess. XIV, cap. V). Entrate nelle catacombe e nelle più vetuste nostre basiliche e gli archeologi, che frugano in quelle polveri e illustrano i simboli della fede, vi indicheranno presso l'altare o il battistero lo scanno dove il
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confessore giudicava le coscienze e dove il penitente si inginocchiava e umiliava ai piedi di un Sacerdote. E` poi indubitato che nella Chiesa primitiva ai moribondi si concedeva l'assoluzione, il che prova che c'era la confessione privata o auricolare. Infatti Papa S. Celestino (anno 423) rimproverò i Vescovi di Narbona e di Vienna perché non assolvevano i moribondi. Rimprovero inutile, se fosse vero quanto i protestanti dicono che la remissione dei peccati si potesse avere senza la confessione al Sacerdote, o che non vi fosse altra confessione fuori della pubblica.
Nei primi secoli della Chiesa chi confessava erano i Vescovi, che erano molto numerosi. Basti sapere che in un Concilio tenuto in Africa, a Cartagine, il I Settembre del 256, il processo verbale novera ottantasette Vescovi. Poi essi delegarono ad ascoltare le confessioni i semplici Sacerdoti, che a Costantinopoli erano noti col nome di preti penitenzieri e nell'Asia Minore con quello di “economi” della penitenza. Sozomeno dice che l'ufficio del prete penitenziere venne creato assai presto, prima di Decio, onde facilitare le confessioni segrete, perché i Vescovi, per quanto numerosi, non bastavano più. E aggiunge che “per ottenere il perdono è necessario confessare il proprio peccato”. (Storia Eccl., lib. VII c. XVI). Sappiamo che durante il pontificato di San Marcello (a. 308) il servizio dei penitenzieri era già organizzato in Roma secondo i diversi tituli (Liber Pontificalis t. 1° p.164). Il Pontefice Innocenzo (a. 402) dichiarò (Epist. ad Decentium Eugub Cap. VII): “che appartiene al Sacerdote di tener conto della confessione del penitente e giudicare su la gravità delle colpe”.
A principio, vi fu tanto la confessione pubblica quanto la privata. La confessione pubblica dei peccati segreti, non era di precetto. Ciò che era obbligatorio, era la confessione secreta o auricolare di tutti i peccati gravi sia pubblici che privati. E` indubitato che nel IV e III secolo era dottrina generale nella Chiesa che la confessione è un dovere per ogni cristiano colpevole di peccato mortale, dottrina già dichiarata negli scritti di Tertulliano e di Sant'Ireneo (II secolo). Se non apparisce maggiormente espressa nel II e I secolo, e perché di quei primi tempi non ci sono pervenuti che rari ed incompleti documenti.
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Verso il secolo IV cominciò a cessare la confessione pubblica, e rimase la privata. La penitenza o confessione pubblica includeva anche l'espiazione della pena, non solo della colpa; questo spiega perché‚ i Padri e scrittori de’ primi secoli sembrino darle una più grande importanza. La penitenza o confessione secreta invece o auricolare era per essi cosa facilissima, tanto che talora la chiamano “confessione fatta a Dio”, poiché certamente è fatta al confessore in quanto tiene il luogo di Dio: egli invero assolve per l'autorità di Dio” et ego auctoritate Ipsius te absolvo”.
Questo è bene notare onde meglio si comprenda l'asserzione dogmatica del Concilio di Trento, cioè che la confessione privata (auricolare) fu sempre in uso nella Chiesa, poniamo pure che non sempre né per tutto con la frequenza di oggi, sia per la bontà di vita dei cristiani, che per altre cause. L'assoluto silenzio poi della storia intorno alla supposta mutazione, che cioè la confessione da pubblica sia divenuta privata, sta contro i protestanti. A quanto sopra è detto, aggiungasi questo inesplicabile silenzio, e ne avremo d'avvantaggio a concludere che la Chiesa non mutò affatto la confessione di pubblica in privata, ma che, cessata la pubblica, onde evitare gravi inconvenienti, rimase la privata. Gesù Cristo, costituendo gli Apostoli veri giudici dei peccati, implicitamente volle che i peccati si confessassero. La confessione è, quindi, di diritto divino; e la Chiesa, interprete autentica e infallibile della dottrina di Cristo, così sempre ha inteso e insegnata la dottrina di Lui. La confessione fece prosperare i grandi secoli di Sant'Ambrogio, di S. Basilio, di S. Agostino, di S. Cirillo di Gerusalemme, di San Giovanni Grisostomo. Nella biografia del grande Sant'Ambrogio si legge “che custodiva con religiosa cura il segreto delle confessioni che ascoltava” (Paul. Ambrosî vita. Cap. XXXIX). San Leone I, Papa, (a. 440) dice :“basta rivelarle ai soli Sacerdoti (solis sacerdotibus) per mezzo di una confessione secreta, lo stato della propria coscienza “(Ep. ad Episcop. Campaniae) c. II). E gli abusi da lui deplorati nella Campania dimostrano la consuetudine della confessione segreta dei peccati. Col diffondersi poi del monachismo, prima in Oriente (S. Basilio), poi in Occidente, San Benedetto (+543) e San Colombano (+615), la confessione sacramentale divenne esercizio frequentissimo anche presso i fedeli cristiani. Non ignoriamo che i protestanti dicono che la confessione Sacramentale è stata istituita da Papa Innocenzo III al Concilio Lateranense IV, nel 1215. Ma l'asserzione dei nostri cari fratelli separati è frutto d'un equivoco volgare, per non dire puerile. In quel Concilio fu ordinato ai cattolici di confessarsi almeno una volta l'anno, ma non fu affatto creato l'obbligo nuovo di confessarsi. Se si fosse inventato un nuovo Sacramento e un obbligo nuovo e un sì grave obbligo per tutti, si sarebbero levate le voci di tutti a protestare, le voci della Chiesa latina come della Chiesa greca. Ma invece nulla di tutto ciò: nessuna voce né dai cattolici né dai scismatici orientali, i quali tutti si accordano anzi con noi cattolici romani nella fede che la confessione sacramentale e d'istituzione divina.
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Essa infatti fu sempre ed è tuttora praticata dai Scismatici Greci, Armeni, Copti, Abissini, e presso tutte le altre sette orientali di Nestoriani e Monofisiti, che si separarono dalla Chiesa romana fin dal secolo V. Essi nella loro fuga hanno recato seco questa divina istituzione anziché farne argomento di critica o protesta di ribellione.
Come dunque è possibile sostenere che la confessione fu introdotta nella Chiesa da Papa Innocenzo III nel secolo XIII? E` un fatto fuori discussione che al secolo XIII la confessione era la legge comune, poiché Papa Innocenzo III, sanzionando una consuetudine accettata, inveterata, incontestabile, ne prescrisse a tutti i cristiani la pratica
annuale, fissandone solo il tempo dell'adempimento. Fu la legge di tutto il Medio Evo, perché la confessione si trova nei Monasteri, nelle Chiese, nei libri, nell'innodia di quell'età. Serva di documento, per non citarne che uno solo, quella vetusta e ingenua scultura dell'Abbazia di Murbach, rappresentante un penitente ai piedi di un confessore, curvo sotto una gerla traboccante di peccati, mentre il demonio gli sussurra parole all'orecchio per indurlo a tacere una parte delle colpe della sua vita.
Fu davanti a questo monumento che un protestante, picchiandosi il petto, esclamò: Ma dunque, Lutero ha mentito asseverando che la confessione fu inventata dal Papa Innocenzo III! E perché la natura di questo scrittarello c'impedisce di produrre qui altri innumerevoli testimoni della tradizione ecclesiastica intorno alla confessione, dicano i protestanti come s'accordi la confessione inventata nel secolo XIII, e precisamente nel 1215 in Laterano, con San Ansberto, Arcivescovo di Rouen, che fu confessore del re Thierry nel VII secolo? Con San Virone Vescovo, riconosciuto in questo medesimo secolo VII come confessore di Pipino padre di Carlo Martello? Con San Martino, monaco di Corbia e confessore di Carlo Martello nell'VIII secolo? Nel IX secolo gli Annali ecclesiastici ci parlano di Sant'Alderico, vescovo di Mans, e confessore di Luigi il Buono: di Donato Scoto confessore di re Lotario; nel X secolo ricordano Sant'Udalrico Vescovo di Augusta, e confessore del re Ottone; nell'XI secolo Stefano d'Orleans confessore della regina Costanza, e infine del duodecimo Atedulfo, priore di Sant'Osvaldo, confessore di re Enrico I. (vedi Sheffmaeher, Lettere ec., citate dal Laforet, I dommi cattolici). Non solo dunque la confessione sacramentale auricolare fu sempre in uso ab antico: ma gli stessi principi, ai quali per l'altezza del grado, quella umiliazione doveva parere più difficile, non solo non se ne tenevano lontani, ma davano in ciò l'esempio ai loro sudditi. Del resto la forza della verità comincia a far breccia anche tra i protestanti.
Ecco l'Inghilterra, l'isola dei santi, che, presentendo forse trascorsi i giorni della cecità, rialza i confessionali in tutte le Chiese di fede puseista. I Ritualisti assai numerosi in Inghilterra e negli Stati Uniti, ammettono la confessione sacramentale quale istituzione divina obbligatoria per ottenere la remissione dei peccati commessi dopo il battesimo, e la praticano come i cattolici, mentre prima la negavano, e si burlavano di noi cattolici perché andavamo a confessarci!
Ognuno può leggere nel Rituale dei protestanti anglicani che essi consigliano ai moribondi la confessione speciale dei loro peccati. I più grandi Vescovi anglicani sono per la confessione. “La confessione auricolare fatta al Sacerdote è antica quanto la Chiesa, Nessun altro che i Sacerdoti ha il potere di rimettere i peccati”. (Il Vescovo protestante Montagne). “Chi vuol essere sicuro del perdono, vada a trovare un Sacerdote, ed umilmente a lui si confessi” (Il Vescovo protestante Sparrow, Sermone sulla confessione).
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“Voi dovete andare dal Sacerdote come ad un uomo, che tiene da Dio medesimo l'alta autorità di assolvervi”. (Chillingworth). Quindi è che uno degli uomini più celebrati del nostro Paese, l'autore “Dei delitti e delle pene” che fece abolire in Italia la pena di morte, Cesare Beccaria, ebbe a scrivere: ”che sono i lumi più certi della rivelazione quei che c'insegnano che la confessione dei peccati è di essenza del Sacramento della Penitenza”. Niuno meraviglia quindi che Dante Alighieri, che Galileo, che Macchiavelli si siano confessati: l'Alfieri stesso si confessò, ce lo dice M. d'Azeglio. Alessandro Dumas, che allagò de’ suoi romanzi l'Europa e ne scrisse uno artifiziosissimo contro la confessione, morì pentito, si confessò piangendo, e ricevette tutti i Sacramenti. Rousseau nell'Emilio (III,201) e lo stesso Voltaire, il padre della filosofia più spregiudicata (Dictionn. philos), sciolgono un inno alla confessione. Goethe, per quanto luterano, disse che la confessione rende puro e senza macchia il libro della vita. Un calvinista, anzi un Pastore di Ginevra, con una nostalgia che forse un giorno gli varrà la luce piena, esclama: “Chi non ha rivolto uno sguardo d'invidia alla confessione?” Un'altra anima, non meno delicata e non meno travagliata, con maggior libertà, ci fa sapere di più: “Vorrei essere cattolico per potermi confessare!” Leggete la Morale Cattolica del Manzoni (c. XVIII) e vedrete che dice dell'eccellenza e del conforto divino che dà la confessione”. “Infelice esclama Silvio Pellico (Mie Prigioni, c. 78) infelice chi ignora la sublimità della confessione,! Infelice chi, per non parer volgare, si crede obbligato di guardarla con ischerno!”. Ho visto peccatori, dopo una santa confessione, alzarsi raggianti il volto di una gioia e pace celeste, e riprendere poi con animo le vie del bene. Non è Seneca che diceva: “confessare i nostri vizi è già segno di esserne guariti?” - In cielo si farà più festa, dice il Vangelo, per un peccatore convertito che risorge, che per 99 giusti, che siano rimasti nell'innocenza. Perché questo spettacolo non lo darete specialmente voi, o anime, che da anni siete lontane dalle sorgenti divine? Perché non vorrete ritrovare nella confessione la vita spirituale, la fede, la pace? O uomini, tornate a confessarvi, e da quel lavacro di misericordia vi rialzerete migliori: più onesti, più forti, più cristiani, e colla vostra vita diverrete gli apologisti più eloquenti e più efficaci del Sacramento della confessione.
(1) Essendo chiuse le porte. - San Leone dice che Gesù con questo miracolo volle dimostrare che il suo corpo, sebbene sempre della stessa natura anche dopo la Risurrezione, era però rivestito dalle qualità, che convengono ad un corpo glorificato.
(2) Soffiò sopra di essi. - Con questo esterno simbolo mostrò che effettivamente infondea loro lo Spirito Santo. Qui Gesù Cristo dà ai suoi Apostoli lo Spirito Santo quanto alla facoltà di sciogliere e di legare: nel dì della Pentecoste lo darà con tutta la pienezza dei doni, e ad essi, e a tutto il Corpo della Chiesa. (3) Saran rimessi i peccati etc. - Con queste parole di Gesù Cristo fu data alla Chiesa ed ai Ministri di essa quella potestà veramente divina perdonare nel Sacramento della Penitenza o confessione i peccati a tutti coloro che a Dio ritornano, confessando le loro colpe con vero dolore e con volontà di emendare la loro vita. (4) Toma o Tommaso, in aramaico, significa gemello. Didimo non è un nome, ma è un soprannome, e vuol dire anch'esso, in greco, gemello.
(5) E Dio mio. - Lo si avverta bene: qui Cristo è chiamato Dio, avendo mostrato evidentemente di esserlo con la sua gloriosa Risurrezione.
Chi desidera di questi foglietti, per diffondere il Vangelo nelle famiglie, si rivolga a D. Orione – Tortona.