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[Da copia stampata]

Il Vangelo

Domenica di Pentecoste

(Giov. XIV, 23-30).


La Pentecoste.

(Matt. XXVI; Marc. XIV; Luca XII).


Gesù disse ai suoi discepoli: “Chiunque mi ama, osserverà la mia parola, ed il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e staremo presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole. Eppure la parola che ascoltate non è mia, ma del Padre, che mi ha mandato. Queste cose ho detto, mentre resto tra voi. Poi il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio, Egli v'insegnerà ogni cosa, e vi rammenterà tutto, quanto già vi dissi. Vi lascio la pace, vi do la mia pace; ve la do, non come la dà il mondo. Non s'angusti il cuore vostro, né si sgomenti. Avete udito, come io v'ho detto: vò, e torno a voi. Se mi amaste vi rallegrereste certamente perché ho detto: vò al Padre; perché il Padre è maggiore di me. E ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, affinché, quando avverrà, crediate. Io non parlerò più molto con voi, perché sta per venire il principe di questo mondo. Veramente egli non ha alcun potere su me; ma affinché il mondo conosca che io amo il Padre, e che opero come il Padre mi ha ordinato. Alzatevi, andiamocene di qui”.

L'Apostolo S. Giuda, (non l'Iscariota), aveva poco prima chiesto a Gesù: “perché vi manifestate solamente a noi, e non a tutto il mondo?” (Giov. XIV, 22). E il Salvatore rispose che egli non solamente a lui e agli altri discepoli si sarebbe fatto conoscere, ma che tutti, che lo avessero amato, e osservati i suoi comandamenti, sarebbero stati l'oggetto delle sue più intime comunicazioni. Chi ama Dio, osserva la parola di Dio: chi non lo ama, la disprezza. L'osservanza dei precetti di Dio è dunque effetto e segno dell'amore di Dio. Volete vedere se vi è fedeltà e carità nei cuori? Esaminate le opere: dai frutti si conosce la pianta. Non ama Dio, chi è svogliato nell'adempire la sua legge o chi non la osserva. A chi amerà Dio, e, in conseguenza, osserverà la sua parola, Dio fa la più grande e consolante promessa: “Il Padre mio lo amerà, e verremo a lui, e dimoreremo presso di lui”….Dio, con la sua immensità, è per tutto: per tutto sparge la sua luce e i suoi doni:   “Per l'universo penetra, e risplende”. (Par. c. I, 2).



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Ma il suo tempio di predilezione è l'anima cristiana. “Non sapete voi dunque, dice San Paolo, che siete tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi?”. (I.a Cor. III, 16).

E altrove: “... la sua casa (di Dio) siam noi, se riteniam inalterabili sino alla fine la franca fede e la speranza di cui meniamo vanto”, (agli Ebrei, III,6). Ma può Dio risiedere in un'anima, senza versarvi torrenti di grazie? Dio illuminerà l'intelletto con santi pensieri: fortificherà la volontà, con sante risoluzioni. riscalderà il cuore con santi desideri. Ebbene, Gesù ha promesso tutto questo a chi osserverà le sue parole. Ed egli promette anche pel Padre che lo ha mandato, del quale è la parola di Cristo. Come Gesù Cristo, inviato dal Padre, portò sulla terra la parola di Lui, così gli Apostoli, inviati da Cristo, hanno diffuso pel mondo non la loro, ma la parola di Cristo. Noi preti predichiamo agli uomini, nostri fratelli; ma non è nostra la parola che diamo agli uomini, è la parola di Dio. A ciascun sacerdote il Signore ha detto: “Riceverai la parola dalla mia bocca, e l'annunzierai da mia parte”. (Ezech. III,17). E lo dice chiaro l'Apostolo: “Come predicheranno se non sono mandati?” (Rom. X,15). Non v'ha dunque in tutta la Santa Chiesa Cattolica che una sola missione: la missione che Cristo benedetto ricevette già dal Padre, e che Egli ha dato a Pietro e agli Apostoli, e che poi Pietro e gli Apostoli hanno trasmessa alla Sede Apostolica e ai Vescovi, e che i Vescovi comunicano a noi Sacerdoti. In questo Vangelo troviamo anche la rivelazione formale del mistero della Trinità. “Il Consolatore poi, cioè lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio”, dice Gesù Cristo cioè il Figliuolo. Eccovi le tre persone divine chiaramente enunziate. E le eresie che negarono il dogma fondamentale della Trinità nel cristianesimo, non hanno mai potuto oppor nulla di ragionevole a questa precisa dichiarazione. Poi Gesù preannuncia agli Apostoli e promette il grande avvenimento che la Chiesa celebra in questa solennità di Pentecoste, cioè la discesa dello Spirito Santo e i mirabili effetti che Egli avrebbe prodotti. E consoliamoci, o fratelli, perché non è soltanto ai discepoli che Gesù Cristo promette lo Spirito Santo, ma tutti siamo compresi nella magnifica promessa, se sappiamo metterci in istato di parteciparvi. Lo Spirito Santo discende quindi ancora e veramente copioso sovra quelli di noi che meglio si trovano disposti a riceverlo. Vi discende non certo, come sugli Apostoli, visibilmente, onde accreditarne la missione, ma non meno realmente. Ed egli infonderà in noi le medesime grazie di conversione, di spirituale rinnovamento e di santificazione.




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In questo giorno, consacrato dalla Chiesa a onorare lo Spirito Santo, e a celebrare le meraviglie operate da Lui sulla terra, raddoppiamo le nostre suppliche, perché si degni di venire anche sopra di noi coll'abbondantissima effusione dé suoi doni; e di trasformare noi pure, come già gli Apostoli, in uomini tutti di Dio, forti della fortezza di Dio, illuminati dalla luce e dalla scienza di Dio, purificati dalla grazia, santificati dalla carità e dalla santità stessa di Dio. “Io vi lascio la pace, vi dò la mia pace; ve la dò, non come la dà il mondo”. Il mondo promette la felicità, la pace, ma può egli mai darla? No! Tutti i beni che egli offre sono caduchi e labili, e non saziano il cuore dell'uomo, che non può pascersi né trovare requie in ciò che è fugace: il nostro cuore, fatto per Iddio, solo in Dio troverà la sua felicità e la sua pace. Lo disse già assai scultoriamente il grande Agostino: “Ci hai fatti, o Signore, per Te; e il cuor nostro sarà sempre insoddisfatto e inquieto, sinché non riposi in Te!”. (Confess. Cap. VI). I favori poi che il mondo promette ne possono bastare a tutti che vi aspirano, n‚ soddisfare quelli che li arrivano. Chi non ne ha, li desidera con ardore: chi ne ha, ne bramerebbe ancor più. Ognuno desidera quello che vede posseduto dagli altri. Nel mondo è sempre così. Perciò una serie continua di gelosie, di dispute, di liti e peggio: una corsa sfrenata a chi prima arriva, e a soppiantarsi. No, il mondo promette, ma non dà mai la vera pace dello spirito di cui parla Cristo nel Vangelo, la pax christiana; poiché esso altro non è che una aperta palestra, dove tutti si sforzano di rovesciarsi o di non lasciarsi rovesciare: alcuni obbligati a vigilare per potersi con destrezza sottrarre alle angherie altrui, altri sono sempre in ordire cabale o tendere agguati per strappare ai meno furbi o ai più deboli quanto essi posseggono su “l'aiuola che ci fa tanto feroci”. Ma qual differenza è tra la pace del mondo, pace sempre sperata e mai ottenuta, pace fallace, e la pace, che promette e dona Gesù Cristo! che è ad un tempo pace della società nella giustizia, nel diritto degl'individui e dei popoli e nell'ordine e grandezza della vita morale, religiosa e civile d'ogni gente, e pace del cuore con la calma delle passioni! La pax Christi è pace inalterabile, che non può essere turbata né dalla sollecitudine dei beni temporali, né da quella dé beni spirituali. Non dalle calunnie, che il cristiano disprezza, non dalle ingiurie, che dimentica, né dalle offese che perdona: non dalle pretese, ch'egli reprime, né dalle passioni, ch'egli soffoca. Chi è in pace con Dio, è uomo giusto, ed è in pace col prossimo. Gesù aveva annunziato agli Apostoli la perdita ch'erano per fare di Lui; ed essi ne erano afflitti, perché, tutti compresi nella felicità della sua presenza sensibile, non comprendevano come, tornato al Padre, potesse continuare ad essere con loro e ad assisterli. Questo è quel sentimento che Cristo cercò di raddrizzare in essi. Vuol purificare l'attaccamento terreno, perché essi vedano in Lui non solo il Maestro buono della dottrina













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celeste e l'operatore de’ grandi miracoli, ma quel Dio, che, disceso in terra per fare la felicità degli uomini, ritorna al Cielo per consumarla, e di là li farà salire a Lui, e sarà loro vita e loro gloria in eterno. O voi, padri e madri; voi spose e fanciulli, che piangete de’ morti, dei caduti; quale consolazione più grande al vostro dolore, che il pensare che Gesù ha preceduto i vostri cari! Essi, se morti piamente in Cristo, come dobbiamo sperare, non sono morti, ma vivono in seno a Dio: continuano ad amarvi, ad occuparsi di voi, e per voi pregano! Oh il balsamo della fede! La ragione non può dare all'afflizione altro conforto che l'irreparabilità della perdita, conforto più atto ad inasprire il dolore, che a mitigarlo. Ma sulle nostre tombe arde la lampada della fede, e nei nostri cuori vive una grande e immortale speranza. Spes illorum immortalitate plena est! sta scritto sul cimitero monumentale di Messina, ed è parola della Scrittura, che dice divinamente la luce alta che conforta la morte del cristiano, morte per modo di dire, poiché immortalitate plena est! Dobbiamo dunque comprendere le parole che anche a noi rivolse Gesù: “Se voi mi amaste, godreste ch'io me ne vada al Padre”, perché Egli andò anche a prepararci la sua gloria, che, quanto Egli disse ai suoi Apostoli, lo disse parimenti a noi. Gesù poi dichiara che il Padre è maggiore di Lui. Si intenda: qui Gesù parla della sua umanità: eguale a suo Padre in quanto Dio, gli è inferiore in quanto uomo. Gesù è agli ultimi istanti: egli ha tenuto questo suo discorso agli Apostoli nel Cenacolo, immediatamente dopo l'ultima Cena, in procinto d'incamminarsi alla sua Passione. Egli parte, e permetterà d'esser dato nelle mani del suo nemico, del principe di questo mondo, cioè del demonio, a cui, il mondo si è sottomesso cò suoi vizi. Non è già che il demonio abbia alcun diritto su Cristo, cui l'intima o inscindibile unione della divinità coll'umanità rendeva impeccabile. Ma Gesù vuole concedergliene, caricandosi de’ peccati di tutto il genere umano. Fu appunto con in dosso tutte le passate, le presenti e future nostre iniquità ch'egli va a presentarsi al suo nemico. E ciò fa per l'amore del Padre, per conformarsi alla sua volontà. Egli va a consumare la grande opera della universale redenzione per la quale il Padre lo ha mandato. E così “mentre fu ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce” (Philipp. II, 8), ci fu rivelato “ch'egli si è offerto, perché ha voluto”. (Isai. LIII, 7).

Ond'è che la sua volontà ha il merito dell'ubbidienza, e la sua ubbidienza ha il carattere della volontà. Tale sia, o fratelli, la nostra sommessione al Padre de’ cieli: sommessione universale, anche dove la volontà di Dio ci possa sembrare ardua e piena di sacrifizii: sommessione volontaria, da, piegare la nostra volontà a quella di Dio, e da ricevere tutto ch'Egli ci manda, non solamente con rassegnazione, ma con volontaria allegrezza, con quella perfetta letizia di cui nei Fioretti parla a frate Leone il grande Santo che, “fu tutto serafico in ardore”.


Chi desidera di questi foglietti, per diffondere il Vangelo nelle famiglie, si rivolga a Don Orione – Tortona.

Con permissione Ecclesiastica.