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[Da copia stampata]
Il Vangelo
Domenica III. Dopo Pentecoste.
(Luca, XV, 1-10).
La pecorella smarrita e la dramma ritrovata.
(Matt. XVIII, 21)
Or tutti, pubblicani e peccatori, s’accostavano a Lui per udirlo. E i Farisei e gli scribi ne mormoravano, e dicevano: “Costui accoglie i peccatori, e mangia con essi”. Ed Egli propose loro questa parabola (1), dicendo: “Chi è tra voi, che, avendo cento pecore, perdutane una, non lascia le altre novantanove nel deserto, e non va a cercare la smarrita, sino a che non la ritrovi? E, quando l’ha trovata, se la mette sulle spalle tutto allegro, e, tornato a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo loro: - rallegratevi insieme con me, perché ho trovato la mia pecorella smarrita? - . Così vi dico, che vi sarà più festa in cielo per un peccatore pentito, che per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di ravvedimento. Ovvero, qual’è quella donna, la quale, avendo dieci dramme, (2) perdutane una, non accenda la lucerna e non ispazzi la casa, e non cerchi diligentemente, finché la trovi? E, quando l’ha trovata, chiama d’intorno le amiche e le vicine, dicendo: - rallegratevi insieme con me, che ho ritrovata la dramma che avevo smarrita? - . Così, vi dico, si fa festa dinanzi agli angeli di Dio per un peccatore pentito”.
Questo Vangelo esprime l’infinita benignità di Cristo. La parabola della “pecorella smarrita” illustra la idea della sollecitudine che Dio ha per i peccatori; sollecitudine che gli è ispirata dalla compassione che prova per la loro miserevole condizione. La parabola poi della “dramma ritrovata” illustra l’idea della sollecitudine che Dio ha per i peccatori; sollecitudine che gli è ispirata dall’idea del valore che ha per lui un’anima umana.
L’insegnamento della conversione, dei peccatori a penitenza e del valore di un’anima davanti a Dio: l’insegnamento della benignità con cui Iddio e la Chiesa avrebbero accolto il vostro ritorno, o fratelli peccatori, stava, certo, grandemente a cuore di Gesù, onde Egli volle nel Vangelo confermarlo con belle e tenerissime parabole.
Soleano presso i Siri, e molto più presso i Palestini, gli uomini saggi parlare per certe similitudini, che con greca voce si chiamano parabole. Esse rispondevano assai bene all’indole immaginosa di quei popoli e all’uso prevalso di trovare nella natura e nell'usanze
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popolari, come nei fatti della storia nazionale, un riverbero delle verità più nobili e più sublimi. Perciò i profeti si servirono talora nel loro linguaggio di parabole, ed esse riuscirono efficacemente, santificate dalla divina ispirazione, a rivelarci verità soprannaturali, e a mostrare la stupenda armonia che lega ogni cosa nella mente di Dio. Giobbe adoperò parabole; Natan rampognò Davide colla parabola d’un uomo, che, rapita l’agnella del povero, gliel’aveva uccisa. Ma il linguaggio della parabola sulle labbra di Gesù divenne efficacissimo, divino. Egli ne fece la tela de’ suoi discorsi più belli, e seppe con ammirevole semplicità trovare immagini, che rispondessero a svariati fini con un’inarrivabile tavolozza di colori, di armonie, di bellezze. Un lago, un campo, un pastore, un agnello un convito, un pescatore, un ferito, una spica di frumento, un giglio gli servirono a svelare profondi misteri e altissime verità, che sono insieme religione, carità, morale, filosofia, civiltà. Le parabole di Cristo hanno una certa parentela con quelle dei profeti, e in genere con la Scrittura dell’antico patto, ma mostrano nondimeno una fisionomia lor propria, che le rende solo simili a se medesime, e che dà ai Vangeli un colorito biblico insieme e specialissimo. Ma veniamo alla spiegazione delle dolcissime parabole di oggi.
Ai Farisei, che mormoravano perché Gesù accogliesse i peccatori e mangiasse con loro, Gesù mostra tutta la sollecitudine di Dio per i traviati e l’animo cattivo dei Farisei verso di Lui. Gesù è Dio, ed era venuto a rivelare agli uomini la bontà di Dio. Predicava la morale più austera, ma la temperava con quella divina dolcezza, che attirava a lui i peccatori più grandi: Zaccheo, la Samaritana, la Maddalena. I Farisei coltivavano una pietà severa, arrabbiata, piena di orgoglio, che aveva del feroce: pareva fatta per allontanare i peccatori. Gesù invece li ricercava con tenerezza, non si sdegnava, non li rigettava, ma ne aveva pietà. Tale è la differenza, secondo San Gregorio (XXXIV, in Evang.), tra la vera e la falsa virtù, tra la vera e la falsa santità. L’una ispira la compassione, l’altra l’indignazione: l’una avvicina, l’altra allontana; l’una non odia che l’offesa di Dio, il peccato, l’altra odia tutto e tutti e peccati e peccatori. Il pastor bonus, il buon pastore è Gesù Cristo, e noi siamo le sue pecorelle, che Egli con la voce e con la guida della Chiesa conduce ai pascoli salutari della fede e dei Sacramenti, nutrendoci della sua stessa Carne e del suo Sangue. La pecorella smarrita può significare l’anima nostra o anche quella moltitudine di uomini, perduta nelle vie del peccato, dietro cui Gesù corre, e che formò sempre l’oggetto principale del suo ministero e del suo zelo (Marc. II,17). Lasciando le 99 pecorelle per correr dietro a quella che era perduta, non vuol dire che Gesù preferisca i
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peccatori alle anime che lo seguono con fedeltà, ma solo Dio misura i suoi soccorsi non sull’amore che porta, ma sul bisogno che le anime hanno di Lui; così il medico dà le sue cure agl’infermi, non a quelli che godono piena salute. Gesù corre dietro alla pecorella smarrita, ma veglia con amore di predilezione su quelle rimaste a Lui fedeli; Egli non le ha abbandonate, ma le ha lasciate, dice il Vangelo, nel deserto, cioè al sicuro, lontane dai pericoli del mondo.
Ma questo Vangelo, più che per voi borghesi, sento che è fatto per me, che sono sacerdote di Gesù Cristo. Fine del Sacerdozio è di salvare le anime e di correr dietro specialmente a quelle che, allontanandosi da Dio, si vanno perdendo. Ad esse io devo una preferenza non di tenerezza, ma di paterno conforto e di aiuto al loro ritorno, lasciando, se necessario, le altre anime meno bisognose di assistenza. Gesù non venne per i giusti, ma per i peccatori. Preservatemi dunque, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai Sacramenti, delle anime fedeli e delle pie donne. Certo il mio ministero riuscirebbe più facile, più gradevole, ma io non vivrei di quello spirito di apostolica carità verso le pecorelle smarrite, che risplende in tutto il Vangelo. Solo quando sarò spossato e tre volte morto nel correre dietro ai peccatori, solo allora potrò cercare qualche po’ di riposo presso dei giusti. Che io non dimentichi mai che il ministero a me affidato è ministero di misericordia, e usi coi miei fratelli peccatori un po’ di quella carità infaticata che tante volte usaste verso l’anima mia, o gran Dio! Gesù è pur riuscito a raggiungere la pecorella smarrita. E qui è dove rifulge tutta la sua carità. Non si adira, non si lamenta, non le dice: - mi hai fatto penare tanto! - No, nulla che suoni rimprovero, nulla che la metta in confusione! Gesù mio, proprio così, anche con me mille e mille volte avete fatto così. Tutto l’amore e le cure di Dio sono nel ricondurre la pecorella all’ovile. Ma egli l’ha ritrovata stanca, abbattuta, languente. E Gesù, mosso a pietà, prende su se stesso il peso del suo ritorno, e, benché spossato, prima se la pone sul cuore, e poi se l’adagia su le spalle, e la riporta all’ovile. E vuole che tutti facciano festa, perché ha ritrovato la pecorella che era smarrita.
Poi viene la povera donna tutta sollecita nel ricercare la dramma perduta. Vuol dire: chi ha perduta la grazia di Dio deve, senza dilazione, affaticarsi a ricuperarla. “State preparati, perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora ch’è meno atteso”.
Ma, quand’anche avessimo tempo a far penitenza, siam noi sicuri di averne sempre la volontà? Come l’abisso invoca l’abisso, secondo l’espressione dei salmi, così il peccato
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trascina al peccato: E la conversione si fa più difficile quanto più è differita.
Cominciamo dunque anche noi dall’accendere la lampada della fede, dissipiamo le tenebre del peccato che offuscano l’anima. Portiamo questa divina luce sin nei secreti della coscienza, a meglio conoscere e detestare quelle colpe più occulte, che forse sin qui neanche abbiamo osato confessare a noi stessi. Ma non basta riconoscere i nostri peccati e le loro deformità, sarà necessario pulire l’anima dalle sozzure che la infettano; dagli effetti corrotti; dalle inclinazioni viziose; dalle ree abitudini che vi avessero messo radice. Così l’anima sarà restituita al suo primitivo candore, e la mistica dramma, la grazia divina sarà ritrovata. La chiusa delle due parabole è identica, e ci rivela tutta la gioia del cuore di Dio nella conversione dei peccatori.
Il pastore, le cui preghiere, esortazioni, fatiche hanno ricondotto all’ovile la pecorella smarrita, gusta la pura gioia della felicità; raccoglie il frutto più caro al suo cuore.
I vicini poi e gli amici del pastore, come della donna, che ha recuperata la dramma, raffigurano tutte le anime giuste, tutti i santi della terra. La carità che li anima fa sì che essi sentano come felicità loro la felicità dei loro fratelli, che ritornano a Dio. Non si possono qui non ricordare, né senza commozione, le evangeliche espressioni del Cardinal Federigo all’Innominato: “Lasciate, disse Federigo, lasciate ch’io stringa codesta mano che riaprirà tanti torti, che spargerà tante beneficenze, che solleverà tanti afflitti, che si stenderà disarmata, pacifica, umile a tanti nemici”. “E` troppo”, rispose singhiozzando l’Innominato. “Lasciatemi, Monsignore; buon Federigo, lasciatemi. Un popolo affollato v’aspetta, tante anime buone, tant’innocenti, tanti venuti da lontano, per vedervi una volta, per sentirvi: e voi, vi trattenete.... con chi!”. “Lasciamo le novantanove pecorelle, (San Matteo, XVIII, 12-13) sono al sicuro sul monte: io voglio ora stare con quella ch’era smarrita. Quell’anime son forse ora ben più contente, che di vedere questo povero Vescovo. Forse Dio, che ha operato in voi il prodigio della misericordia, diffonde in esse una gioia..... quel popolo è forse unito a noi senza saperlo....”. (Manzoni. Prom. Sposi Cap. XXIII).
E il Cielo altresì prende viva parte a questo convito di grazia e di gaudio. Dice il Petrarca:
Che più gloria è nel regno degli eletti
D’uno spirito converso e più s’estima
Che di novantanove altri perfetti.
La conversione d’un peccatore è una nuova felicità per gli spiriti beati, un nuovo cantico di lode e di benedizione al Signore, Dio grande delle misericordie!
(1)la voce parabola, in greco parabolè, viene dal verbo paraballein, che vale comparare una cosa con un’altra. Anche presso i gentili si usò insegnare per immagini. Leggiamo in Platone che i Pitagorici parlavano ai loro discepoli prima per immagini e parabole, poi loro dicevano il senso nascosto nelle figure, e, infine, quando gl’intelletti erano bene apparecchiati a ricevere la verità, la esponevano loro metodicamente. (Plat., Tim. I, 10). (2) La dramma, o il denaro, equivaleva a circa 90 centesimi.
Chi desidera di questi foglietti, per diffondere il Vangelo nelle famiglie, si rivolga a Don Orione - Tortona.
Con permissione Ecclesiastica.