V082T021 V082P039a
[Da copia stampata]
I° supplemento al N. 2 dell’“Opera della Divina Provvidenza” - Tortona.
Il Vangelo
Domenica V. Dopo Pentecoste.
(Matt., c. v, 20)
La nuova legge di Cristo.
(Luca XII, 58-59)
Disse Gesù à suoi discepoli:
“Se la vostra giustizia non sarà maggiore di quella degli scribi e de’farisei, non entrerete nel regno de’ cieli. Udiste come fu detto agli antichi: Non ucciderai, e chiunque avrà ucciso, sarà condannato n tribunale (1), ma io vidico: chiunque si adira contro il suo fratello (2), sarà condannato in giudizio. E chi avrà detto al su fratello: Raca (3), sarà condannato nel Sinedrio (4). E chi gli avrà detto: stolto (5), sarà condannato al fuoco della Geenna (6). Se dunque tu stai per fare l'offerta all'altare e ivi ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, posa lì la tua offerta davanti all'altare, e va a rincociliarti prima col tuo fratello; e poi ritorna a far la tua offerta”.
Dal monte delle beatitudini Gesù promulgò la legge della nuova alleanza: e di là scese sui seguaci di Cristo e su l'universo la prima parola tutta amore e beatitudine, quella parola di nuova perfezione, che trascende di assai quella del Sinai e dei leviti d’Israele, e che noi chiamiamo il Vangelo. Sul Sinai erano saette e tuoni: molte maledizioni e poche benedizioni, e le stesse benedizioni erano principalmente temporanee: Gesù invece tenne un linguaggio che è tutta soavità e dolcezza, e parlò principalmente di benedizioni celesti.
E perché al tempo di Gesù Cristo tutta la scienza degli ebrei consisteva nelle tradizioni farisaiche, la maggior parte degli scribi erano farisei, e nel Vangelo Gesù li mette quasi sempre insieme, rimproverando agli uni e agli altri gli stessi vizî e gli stessi errori.
La santità degli scribi e dei farisei, cioè dei dottori della legge e dei divoti di quei tempi, consisteva specialmente in moltissime pratiche esterne, nell'osservanza tutta materiale della legge sino all'eccesso, non nella bontà e rettitudine del cuore.
Osservavano alla lettera la legge di Dio, ma uccidevano lo spirito di Dio. Ecco perché Gesù dice: “se la vostra osservanza, non della lettera soltanto, ma e dello spirito e della lettera della legge, non è superiore a quella degli scribi e de’ farisei non entrerete nel regno de’ cieli”.
I farisei collocavano la giustizia nell’esteriore, in pregiudizio dei doveri interiori: la pietà la facevano consistere in pratiche minute, trascurando i grandi ed essenziali precetti della religione. Ma il culto esterno, ben lungi dal poter supplire il culto interno, non è prescritto, che per meglio stabilirlo e dilatarlo: esso è, rispetto al culto interiore, quel che è il corpo riguardo all'anima.
V082P039b
Ond'è che anche il nostro Parini, volendo svolgere un pieno programma di educazione cantò: onora, o figlio, il Nume,
che dall'altro ti guarda,
ma solo a lui non fume
incenso, o vittim'arda:
è d'uopo, Achille, alzare nell'alma il primo altare.
Non basta dunque onorare Dio colle labbra, colle formule materiali della preghiera o del culto, a guisa dei farisei, è necessario alzare a Dio nell'anima il primo altare. E, più chiaramente parlando, bisogna pensare a riformare la nostra vita, a purificare il cuore, a svestire le cattive abitudini, a reprimere le passioni. Quante persone hanno reputazione di esser divote e sono anche assidue alla chiesa, mentre in casa e fuori casa sono poi vane, maldicenti e tutt'altro che virtuose!
Più curano di comparir, buone, che di esserle: cercano non il merito innanzi a Dio, ma d'aver nome tra il popolo. Ricordiamolo: la vera pietà non affetta niente, non desidera né teme di essere conosciuta. Tutta occupata nel piacere a Dio, non corre dietro alle lodi degli uomini: non si offende del loro disprezzo, né si gonfia della loro stima. Fa il bene tanto in privato che in pubblico, secondo l'occasione, senza mostrarsi e senza esageratamente celarsi. Esatta senza rigorismo, virtuosa senza pretesa, benefica senza fasto, la persona veramente pia edifica sì per quello che della sua condotta si vede, come per quello che non si vede.
Questo Vangelo dice pure: non adiratevi coi vostri fratelli! e così proscrive quella passione che è causa delle risse e degli omicidi.
Gesù, mansueto come un agnello, condannò la passione dell'ira, la quale è una commozione disordinata dell'animo che ci spinge all'impazienza, agli eccessi e alla vendetta. Ho detto disordinata perché l'ira non è sempre biasimevole: “Adiratevi, ma non vogliate peccare”, dice il Salmo. E Gesù Cristo fu preso da santa ira, quando cacciò i profanatori dal tempio. (Marco, c. II. 15).
Di quanti mali, di quanti peccati l'ira è causa funesta. I giudizî temerarî, le parole maligne, calunniose: le imprecazione contro il prossimo, le bestemmie stesse contro Dio: i desideri dell’altrui male, le vendette, gli odî inestinguibili, non sono essi, generalmente parlando, prodotti da lasciarci noi padroneggiare e trasportare dall'ira?
L'ira di sua natura sarebbe peccato mortale, ma vi sono molte cause che ne attenuano la gravità. Essa offusca l'intelletto, altera la memoria, turba l'immaginazione, perverte la volontà, fuorvia la ragione. Da un Padre della Chiesa venne paragonata alla
V082P040a
febbre ardente, e della febbre ha veramente tutti i sintomi come tutte le brutte conseguenze.
Conseguenze di frequente irreparabili, che lasciano nella vita angosciosi rimorsi e pentimenti senza fine.
Chi ama avere la pace del cuore, deve abituarsi a padroneggiare sé stesso e rendersi insensibile alle piccole cose: non deve giudicare facilmente che altri gli voglia fare ingiuria: non condannare chicchessia senza averlo prima inteso: deve ricordare a sé stesso le sue colpe e imperfezioni, e praticare l’umiltà, questa figlia del cristianesimo, che è la più forte armatura contro l'ira.
Guardiamoci dalla collera, e se vogliamo il bene dell'anima nostra e dell’altrui operiamo con pacatezza e con mansuetudine, secondo gli insegnamenti del divino Maestro.
Dovremo, è vero, combattere sempre contro l'inclinazione dell'ira, perché questa passione ci accompagnerà fino alla tomba: ma il pensiero di Gesù Cristo, della sua pazienza, della sua infinita carità; il soccorso della sua grazia, ottenuta colla preghiera, faranno sì che, vincendo noi stessi, conserveremo coi nostri fratelli quella pace che è pegno della pace eterna, promessa ai mansueti e agli umili di cuore. Ma Gesù non ordina solo di soffocare l'ira, vuole anche si ponga rimedio ai mali da essa prodotti. La sua legge infatti prescrive la restituzione del danaro, la riparazione del torto, la soddisfazione per le ingiurie.
Non si può essere mal disposti col nostro prossimo, e stare bene con Dio. Se ci facciamo dei nemici tra gli uomini, ci facciamo Dio nostro nemico. Gesù parla chiaro: “se tuo fratello ha qualche cosa contro di te”, sia grave o leggero il rimprovero al quale puoi aver data occasione, sei strettamente obbligato a ripararlo. Nulla dunque si ometta per togliere ogni cattiva impressione dall'animo del fratello da noi offeso.
L'amore di Gesù ci spinga al usare ogni industria perché rinasca nel suo cuore la carità fraterna.
Né crediamoci dispensati da questo essenziale dovere perché il nostro fratello non
V082P040b
si lamenta del male che gli abbiamo fatto, del disonore onde avessimo tentato qua e là di coprirlo, del danno morale o materiale che noi gli avessimo recato. Se Iddio gli dà tanti aiuti da dissimulare le nostre detrazioni o le nostre ingiurie, tanta pazienza per sopportarle, tanta cristiana e fraterna carità per perdonarle, per questo saranno giustificati i nostri torti?
Ci crederemo noi meno tenuti a fare verso di lui i dovuti passi di riconciliazione?
Non ci renderemo anzi più colpevoli, quanto più egli è stato paziente e conciliante con noi? Che se egli fosse che ci fa offeso, o noi avessimo ogni giusta ragione di lagnanza verso di lui, pure lo spirito di Gesù Cristo dovrebbe portarci anche a fare il primo passo verso di lui, e avremo tanto più merito, quanto più faremo per la riconciliazione.
Gesù poi non si limita a prescrivere i passi di riconciliazione; ma ordina che si facciano prontamente, e che appena ci sovvenga d'aver dato al prossimo qualche ragione di lamento, andiamo a fare atto di ammenda. Ogni altro dovere, deve cedere a questo: ogni altra opera e il culto stesso del Signore, che è la più sacra delle nostre obbligazioni, dovrà sospendersi. Dio vuole che, avanti di recarci ai piedi de’ suoi altari, noi andiamo dal nostro fratello a chiedergli scusa e a far pace, perché Dio non ritiene degno che gli presenti la sua offerta colui, che scientemente è carico di un torto verso il suo prossimo.
Il sacrifizio a Dio più gradito e più vantaggioso per noi, è certamente quello dei nostri rancori e delle nostre inimicizie. Chi dunque avesse alienato da sé un fratello, si affretti a portargli la parola di pace. “Il sole non tramonti sopra la vostra ira, e non date appiglio al diavolo”, dice S. Paolo (Efes. V, 27).
E quando vi metterete a pregare “voglio che alziate al Cielo le mani pure, senz'ira” e “se avrete qualcosa contro qualcuno, perdonate, affinché anche il Padre vostro che è ne’ cieli vi perdoni i vostri falli” (Marco XI,25) e altrove dice il Signore: “Non rendete ad alcuno male per male”. (Matt. V). “Benedite quelli che ci perseguitano: benedite e non maledite!” (Rom. XII, IV).
(1) “sarà sottoposto al Tribunale” Es. XX, 13. Vale a dire, al tribunale locale, stabilito in ogni città di provincia. Questo tribunale giudicava senz'appello di secondaria importanza; per le cause gravi, che pur giudicava, v'era possibilità d'appello al Sinedrio. (2) Alcuni Mss. aggiungono: “senza cagione”. (3) Raca, insulto che equivale a stupido, insensato cervello, spregevole. (4) Sinedrio era la suprema Corte di Giustizia dei Giudei. Si componeva di 71 membri, scelti fra i capi sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Cristo fu giudicato dal Sinedrio. (5) Stolto era insulto che intaccava il valore religioso della persona contro cui era scagliato, e significava: empio, apostata, ateo! (6) La Geenna è un burrone al sud di Gerusalemme. Il fuoco della Geenna era la più severa delle pene inflitte dai Giudei a un delinquente. Quando l'avevano lapidato a morte. ne gettavano il cadavere nella valle di Hinson (Ghè-Hinson), d'infausta memoria. Era luogo ritenuto dai Giudei come esecrato e infame, perché gli Israeliti infedeli avevano quivi sacrificato i loro figliuoli a Mocol, divinità de’ Moabiti. Vi gettavano le immondezze della città, e cercavano di tenervi sempre il fuoco acceso per diminuire i miasmi. Per gli Ebrei era immagine dell'Inferno.
Chi desidera di questi foglietti il Vangelo nelle Famiglie, si rivolga a Don Orione – Tortona.
Con permissione Ecclesiastica - Gerente Responsabile Don Giuseppe Zanocchi.