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[Da copia stampata]
IV° Supplemento al N. 2 dell’"Opera della Divina Provvidenza" – Tortona
Il Vangelo
Domenica VIII. Dopo Pentecoste
(Luca, XVI, 1-9)
Il fattore infedele.
“Gesù diceva ancora à suoi discepoli: C'era un ricco che avea un fattore, il quale fu accusato dinanzi a lui, come se gli avesse dissipati i suoi beni. Ed egli lo chiamò, e gli disse: Che cos'è questo che odo di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi essere più mio fattore. E il fattore disse tra se: Cosa farò ora io, che il padrone mi leva la fattoria? A zappare non son buono: a limosinare mi vergogno. So ben io quel che farò, affinché, quando mi sarà levata la fattoria, ci sia chi mi ricetti in casa sua .
Chiamato pertanto uno per uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Quanto devi al mio padrone? E quello: Cento bati d’olio – (1). Ed egli: Prendi il tuo chirografo; presto, siedi, e scrivi: cinquanta . Poi domandò ad un altro: E tu, quanto devi? Quello rispose: Cento cori (2) di grano . Ed egli: Prendi la tua scritta, e metti: ottanta . E il padrone lodò il fattore infedele, perché aveva agito con accortezza; poiché i figli di questo secolo sono, nel loro genere, più avveduti dei figli della luce. E io vi dico: Fatevi degli amici per mezzo del mammona (3) d'iniquità: affinché, quando veniate a mancare, quelli vi diano ricetto ne’ tabernacoli eterni”.
L'idea centrale di questa parabola è la seguente: chi ha dei beni passeggeri di questo mondo deve usarne in modo così savio e prudente, da giunger con essi ad assicurasi la vita eterna.
Dalla parabola il Divino Maestro discende a due applicazioni: “i figliuoli di questo secolo, nel genere loro, ossia nel loro modo di operare, sono più accorti che non i figliuoli della luce”.
Chi sono i figliuoli di questo secolo? Sono gli uomini mondani, i tristi, i malvagi: tutti coloro, in un parola, i pensieri de’ quali solo si aggirano intorno alle cose presenti,
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e vivono schiavi delle passioni. Essi sono abitualmente nelle tenebre, privi d’ogni buon lume della ragione; ché se alcuna cosa alta vedessero, non alle bassezze della presente vita, che è vana e fugace, solamente penserebbero, ma volgerebbero ogni cura ad assicurarsi la vita eterna, che non passa: “Sono ignoranti, e, privi del bene dell'intelletto, camminano all'oscuro”. (Ps. LXXXI).
Chi sono i figli della luce? Evidentemente, per ragione dell’opposizione e secondo il linguaggio biblico, sono i, credenti, quelli che hanno la luce della fede. Essi conoscono la strada che conduce alla vera felicità, quantunque sovente troppo fiaccamente camminino nelle vie di Dio; onde Gesù Cristo dice chiaro che sono più solleciti e industriosi pe’ loro interessi materiali, e nel loro genere, gli amatori del mondo, quelli che vivono secondo le massime e le abitudini del secolo, che i figliuoli del Vangelo pei beni spirituali ed eterni.
L'amministratore disonesto, i debitori falsarî e ladri, per sentenza di Cristo, sono messi tra i figli di questo secolo, figli cioè delle tenebre. Questo prova che Gesù non lodò affatto la mala azione del fattore o amministratore e dei debitori, ma solo l'accortezza loro, e cioè è si vero che l'Evangelista chiama quel fattore: Villicum iniquitatis cioè fattore frodolento, uomo disonesto, benché gli dia poi lode di avveduto, in quantoché seppe provvedere a se stesso.
Una mala azione può, come in questo caso, esser compiuta in modo ammirevole. Le qualità più belle, come la perseveranza, il coraggio, l'arte, posson servire a uno scopo ignobile. Un biglietto di banca, un documento antico, falsificati alla perfezione, sono delle azioni cattive ed immorali; ma chi, vedendoli, può trattenersi dall'esclamare con un senso di ammirazione: Come son fatti bene! Che artista è colui che li ha fatti! I tristi, dice Gesù. sono più avveduti de’ buoni, nel loro modo di operare, ed è verità provata dall'esperienza, direi quasi, di ogni giorno. Gli uomini di mondo non sono ad altro intenti che ad accumulare ricchezze, a salire in alto, al arrivare al loro fine mondano. Quante fatiche! quanti sforzi! quanti sacrifici per riuscire! E tutto ciò per servire alle loro vanità, alle loro passioni, per l'acquisto di beni fugaci! Vedete, invece, i figli della luce, i buoni: sempre in carrozza, con comodità, adelante, Pedro, cum juicio: sempre adagio, con la vettura di Negri. Non par vero, ma pur è così. I figli del secolo fanno più assai per servire al mondo loro padrone, che non noi figli della luce per servire a Dio. Osservate bene: il mondo troppo spesso è servito meglio dà suoi seguaci, che non lo sia Cristo, da noi, suoi discepoli. E` il lamento di Gesù in questo Vangelo. Oh quanto fa male veder tanta brava gente, piena di tanta buona intenzione, ma credere che bastino le buone intenzioni o che, per essere pii,
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intenzioni, essere ignavi o mezzo balordi! Quanti credenti confondono l'oziosità con la pietà! quanti non sanno comprendere la virtù, la santità senza una buona dose di dabbenaggine! E non basta ad essi la voce dei Vescovi e del Papa a scuoterli, a farli lavorare: non li smuove il grido delle anime, che si perdono: non il grido, che sa di pianto e di gemito, che esce dal Cuore trafitto di Gesù Cristo! Ah, ci vorrà dunque il cannone o i Lanzichenecchi?
Quanto siamo lontani dall'amore di Dio e degli uomini! quanto lontani da quella carità vera e viva di Gesù Cristo, che si fa tutta a tutti, per tutti trarre a Dio! Non è del divino Maestro che il Vangelo dice ch'Egli passava beneficando e sanando tutti? E i Santi erano forse marmotte o piante sterili? forsechè essi s'accontetavano di gridare: O tempora! O mores! e si rinchiudevano in se stessi a piagnucolare sulla tristezza de’ tempi e degli uomini? O ad esclamare: O Signore, O Signore? Ah no! Essi furono grandi lavoratori e facchini di Dio.
San Benedetto fece suo programma laus et labor: preghiera e lavoro, e i benedettini tennero a battesimo la civiltà di occidente.
Il Ven. D. Bosco voleva che i suoi ragazzi cantassero: Di Don Bosco la santa bandiera ci ripete: lavoro e preghiera!
Don Guanella poi, uomo di Dio, era solito dire: con alcune F si fa la volontà del Signore, e la prima F era, secondo lui, faticare per Dio e pel prossimo.
E lo stesso sant'uomo pregava il Signore perché certo ceto di figliuoli di Dio la capisse una volta “che è venuto il tempo di tagliarsi la coda”; e con ciò voleva dire tante cose! Cose, o amici, che, se non le faremo, bon gré, le dovrem fare mal gré.
In Paradiso di gente ignava non ce ne va!
I Santi ci hanno lasciato il più mirabile esempio di avere saputo trafficare, e come bene, tutti i loro talenti. Oh la si finisca dunque di rappresentarci una pietà, una santità poltrona o selvatica: sono queste monete false di santità.
No, fratelli, i santi non erano così. Sempre dolci, ma sempre attivi: inerti o retrogradi mai e poi mai!
Studiamoli bene, e vedremo che essi furono i più grandi, i più veri progressisti, perché vissero di Dio, che è vita e non morte.
Niente inerzia nei santi e niente melanconia. Si sa che dicesse in proposito San Filippo Neri: si sa che Francesco di Sales lasciò scritto: “Santo ignavo, niente santo: santo
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triste, tristo santo!” In questa vita non c'è il riposo per chi ama Dio, e i Santi, i grandi amatori di Dio, sono sempre in attività di servizio per Dio, per la Chiesa, per le anime, per la Patria; per tutto che è bene! Anche il nostro Manzoni ci tenne ad affermare questa verità, e, perché risaltasse di più, la pose sulla bocca di D. Abbondio.
In quella originale e gustosissima parlata, che il pover'uomo fa con se stesso, quando il Cardinal Federigo lo manda con l'Innominato a prendere la Lucia: là, su per quella valle famosa, tra quei famosi uomini su quella benedetta mula, in cammino verso quel castellaccio più famoso ancora, Don Abbondio, l'uomo dalla quiete e dalla paura, vi comincia proprio così: “E` un gran dire che tanto i santi come i birboni abbiano a aver sempre l'argento vivo addosso, e non si contentino d'esser sempre in moto loro, ma voglian tirare in ballo, se potessero, tutto il genere umano”. I santi e i birboni, non occorre dirlo, erano Federigo e l'Innominato. La verità però e ben forte, e uscita da un Don Abbondio, prende un sapore tutto particolare. Impariamo dunque dai birboni l'attività nel lavorare, ma lavoriamo bene e piamente come i santi, e non come i birboni.
E siccome i figli delle tenebre, pur di riuscire nei loro loschi fini, non lasciano intentata nessuna fatica, così noi, trovato che sin qui abbiamo fatto più pel mondo e per le nostre passioni che per Iddio, umiliamoci in faccia a Dio: e avendo un fine sì sicuro e sì nobile da conseguire, cioè il nostro morale e cristiano perfezionamento e a vita eterna, non perdiamoci più in una vita accidiosa che poco è più morte: vita che non ha valore né per noi, né per la Chiesa, né per la Patria; ma preghiamo e lavoriamo, guardando fidenti il Cielo! Dove finirà la nostra mano, là comincierà la mano di Dio! La parabola si chiude con una sentenza, che ne è il frutto principale. Avete delle ricchezze? ricordate che le ricchezze sono talora ingiuste, perché acquistate malamente, frutto di iniquità, se non degli attuali possessori, dei loro padri e maggiori; provenienti spesso da usare, da inganni, da contratti illeciti, le ricchezze sono poi sempre incentivi al male, data la nostra umana debolezza.
Ebbene, volgete le ricchezze all'acquisto del Cielo, deponetele nelle mani de’ poveri, lenite i dolori dei miseri, e Dio avrà come fatto a sé la carità fatta ai poverelli. E così colla terra vi acquisterete il Cielo!
(1) I cento cados o bati (in greco) sono tre mila ottocento ottanta litri. Il bato giudaico, misura per i liquidi, conteneva circa 39 litri. Si trattava quindi della frode di circa 1950 litri; il che vuol dire una frode di qualche migliaio di lire. (2) Il coro, misura per i solidi, non si può dire con esattezza a quanto corrispondesse. Secondo i dati più sicuri, avrebbe corrisposto a un po’ più di 67 litri, il che costituirebbe, nella parabola, a una frode di 1340 litri di grano. (3) Mammona è parola siriaca, che significa ricchezza (ved. Matt. IV, 24) Secondo S. Agostino (Serm. Dom. in monte, II, 2) ha lo stesso senso nella lingua punica. I Greci adoravano Plutone come Dio delle ricchezze, ed i Fenici, Osiri, Mammona.
(4) Presso gli Ebrei la falsificazione dei numeri era facile, perché i numeri erano lettere. Si avverta, che in Oriente l'astuzia è ammirata dal volgo, quasi non fosse immorale, e il commerico è quasi tutto una astuzia. La bugia, l'inganno, la truffa tra gli orientali non ispirano quel disprezzo, che tra noi sono comuni, almeno esternamente: hanno una morale loro propria, e diceva vero il Rénan allorché affermava che tra quei popoli la verità è cosa relativa.
Chi desidera di questi foglietti, per diffondere il Vangelo nelle famiglie, si rivolga a Don Orione – Tortona.
Con permissione Ecclesiastica. - Gerente Responsabile Don Giuseppe Zanocchi.