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[Da copia stampata]

L'Educazione nei nostri Istituti.


Tortona, li 5 Agosto 1920




Mio caro e dilettissimo Don Pensa,


Oggi è Festa della SS. Vergine e, dopo aver scritto una lunga lettera ai Chierici riuniti in santi spirituali esercizii a Villa Molla, mi accingo a scriverne una e forse più di una anche a te, ma non per te solo.

Questa mia vuole anzi essere indirizzata specialmente ai tuoi Chierici, ai Chierici dei due Istituti di Venezia: ad essi che tanto lavoro hanno svolto in quest'anno e con esito tanto consolante, che io posso veramente dire e di te e di essi che voi siete gaudium meum et corona mea! voi siete il mio gaudio e la mia corona.

E vi scrivo con la schiettezza e la libertà di Padre in Cristo, e con tutto l'affetto nel Signore, ben sicuro che quanto verrò dicendo, sarà gradito da voi e sentito lietamente, pel bene vostro e per l'amore che portiamo tutti alla nostra cara Congregazione.

E comincio nel nome di Dio benedetto e sotto lo sguardo della nostra Madre celeste


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sguardo della nostra Madre celeste e Santa Madonna della Divina Provvidenza.

Voi, o cari miei di Venezia, siete il gruppo più numeroso e più avanti per età e per studio dei miei figliuoli nel Signore: tra di voi, vi sono anche cinque Diaconi e un Suddiacono, e alcuni di voi sono venuti direttamente alla Congregazione dopo il loro servizio militare, ma senza essere ancora passati pel Noviziato.

Mi sta quindi assai a cuore che tutti possiate crescere con lo stesso spirito, e che, come siete il gruppo sul quale la Congregazione fa più assegnamento, e a cui guardo con sguardo di particolare attesa e di particolare affetto, così questa mia e le altre che vi indirizzerò, benedette da Dio, mi auguro che abbiano a giovarvi per accrescere sempre più il vostro buono spirito religioso e rendere più santamente fecondo in Venezia il vostro lavoro e il vostro apostolato a pro degli orfani veneziani per ora, e poi.... poi quando piacerà a Dio, in un altro campo più vasto di lavoro, che io vedo la Divina Provvidenza ci viene preparando costà.

La nostra nascente Congregazione ha bisogno di prendere ora la sua strada e di camminare sicura per essa, ed ha bisogno di norme chiare, pronte, e generali, per avere uniformità d'indirizzo, di spirito, di disciplina, di unità e uniformità ineffabile che darà grandi risultati di bene e ci porterà alla perfezione.

Uniformità e unità che edificherà col suo splendore nella santa carità di Gesù Cristo, che ci fonderà sempre più in un solo corpo, pieno di vita spirituale, di fervore, di


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fortezza e di bellezza religiosa, e che farà di noi, quantunque venuti all'ombra della Divina Provvidenza da punti lontani e diversi, farà di noi, dico, un solo corpo morale, un solo cuore, e una anima sola: cor unum et anima una.

Tale dev'essere l'esercito del Signore e così ci renderemo formidabili ai nemici di Lui, e formidabili nel difendere la Chiesa santa di Dio e nel lavoro sul campo di carità.

Una Congregazione non può vivere se essa non vive di questo spirito del Signore, se non vive indivisibilmente unita, sentendosi forte e sempre animata dallo spirito onde è stata fondata e benedetta dalla Santa Sede.

Mi è dolce ripetere che sono stato molto soddisfatto della visita ultima a cotesti Istituti benché, certo, resti ancora molto da fare per metterli nella loro piena efficienza. Così sarei stato molto contento se tu, caro mio Don Pensa e alcuni almeno dei tuoi Chierici aveste potuto partecipare ai santi esercizii a noi predicati con tanta santità di parola e di esempio dall'Emin.mo Patriarca.

Ma ho compreso subito che vi era impossibile, in quei giorni, specialmente dati gli esami dei ragazzi. E ora, d'accordo con te, caro Don Pensa, converrà vedere tosto come si possa rimediare. Distribuire il personale in modo che tutti possano con comodità, attendere ogni anno agli Esercizi Spirituali, e far sì che, in pari tempo, i giovani, che restano anche durante le vacanze negli Istituti nostri, come capita a Venezia, non rimangano privi di


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assistenza è grave pensiero d'ogni Superiore. Ma Iddio ci aiuterà anche in questo. Nella visita fatta a Venezia ho veduto i nostri orfani assai affezionati ai loro assistenti e maestri, e ciò mi ha fatto piacere, così mi ha fatto piacere vedere alcuni che si sono fatti quasi Veneziani per meglio riuscire a fare del bene, e altri che si facevano piccoli per avere in mano il cuore dei piccoli.

Di S. Filippo Neri è detto, in una lapide sul Gianicolo a Roma, là sotto la storica quercia che egli “seppe farsi piccolo coi piccoli sapientemente”.

Questo è il nostro spirito, o miei cari figli in Gesù Cristo! Con ogni pia e santa e fraterna industria dobbiamo avvicinare il cuore dei giovani e farci come ragazzi con essi e, raccomandandoci a Dio, prendere in mano con grande riverenza l'anima dei giovanetti a noi affidati, come farebbe un buon fratello maggiore con i fratelli più piccoli. Bandire i castighi troppo lunghi, penosi ed umilianti evitando ad ogni costo di battere i giovani; ma invece, con vigilanza non interrotta, con esortazioni paterne, con l'anima piena di sincero affetto, dobbiamo cercare, o cari figliuoli miei di prendere sempre più in mano il cuore dei nostri cari alunni per portare i loro cuori a Dio. Badate bene; dico per portare il loro cuore a Dio, perché guai se lo teneste per voi! Sareste perduti voi, i giovani e la Congregazione nostra insieme con voi.

E a questo di portare a Dio i giovani arriveremo pregando e mortificandoci e


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mortificandoci e adottando il sistema di educazione cristiana usato e con tanto felice esito dal Santo Don Bosco mio Confessore e mio Padre in Cristo; metodo savio, detto “Sistema Preventivo”. Sistema che vuol essere da noi praticato scrupolosamente perché per esercitare una efficace influenza sul cuore dei nostri alunni è l'unico metodo che convenga a Religiosi, e che sia in perfetta armonia colle leggi che attualmente vigono in Italia.

Avviciniamo i giovani come piccoli fratelli nostri, unendo al dolce, alla mitezza e bontà anche quel contegno dignitoso (ma non abitualmente severo), che valga a conciliarci la loro benevolenza. In tutto facciamo loro comprendere che vogliamo il loro verace bene, e che li vogliamo morali, cristiani, educati, civili e formati tali da essere di onore a sé, alla famiglia, alla loro città e alla Patria; giovani educati, onesti laboriosi e professionalmente capaci di essere un giorno bravi operai capaci di farsi largo nel mondo, perché sapranno guadagnarsi onorevolmente la vita e potranno aiutare le loro famiglie.

Il giovane, diceva Lacordaire, è sempre di chi lo illumina e di chi lo ama.

Ed è così. Il giovane ha bisogno di persuadersi che siamo interessati a fargli del bene, e che viviamo non per noi, ma per lui: che gli vogliamo bene sinceramente, e non per interesse, ma perché questa è la nostra vita, perché lui è tanta parte della nostra stessa vita, e il suo bene costituisce la nostra missione ed è il nostro intento e affetto in Cristo. Egli deve comprendere che viviamo per lui: che il suo bene è il nostro bene; che le sue gioie

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sono le nostre gioie, e le sue pene, i suoi dolori sono pene nostre e nostri sono i suoi dolori.

Egli deve anche sentire che siamo pronti a fare per lui dei sacrifici, e a veramente sacrificarci per la sua felicità e per la sua salvezza. Il giovane deve sentire questo: deve sentire attorno a sé un'atmosfera buona, un soffio caldo d'affetto puro, illibato e santo, e di fede, di carità cristiana ed allora sarà nostro. Se non c'è questo soffio caldo di Dio, se egli non sentirà amore sincero per lui, se non ci stimerà per questo, non ne faremo nulla. Se invece ci amerà e ci stimerà lo condurremo a Dio, alla Chiesa, lo condurremo dove vorremo. Ma egli deve leggere nel cuore! deve aver fiducia di noi, deve sentirci. Egli sentirà Dio, sentirà la Chiesa, la Patria attraverso noi. Noi dobbiamo pensare bene a questo, e farci capaci di esercitare questo santo apostolato di luce spirituale che dobbiamo trasfondere in lui. Molte volte non si ottiene che poco o nulla perché oltre i pregiudizi che i giovani hanno sul conto nostro, hanno pure talora dei veri motivi di diffidare: noi siamo poco sinceri coi giovani, pecchiamo spesso di insincerità, ed è grave sbaglio.

Vigiliamo poi i giovani, vigiliamo, sempre, ma ricordandoci che la nostra vigilanza non deve pesare, non deve opprimere: né dobbiamo tenere i giovani come sotto uno strettoio, come sotto una campana di piombo.

No! questo non è sistema preventivo ma repressivo e odioso. Noi siamo Religiosi e


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non dobbiamo fare le guardie di pubblica sicurezza, sicurezza, né gli aguzzini, né gli sbirri con i giovani a noi affidati.

La nostra vigilanza deve essere come la luce che penetra per tutto, ma che non pesa; illumina, rischiara il cammino, ma non pesa. Non avvilite mai nessuno nelle correzioni e punizioni, quando di queste non si potesse proprio fare a meno; no, no, non avvilite mai, ed evitate di correggere davanti ad altri, si lodino tutti insieme, e si correggano e puniscano da soli possibilmente. Solo eccezionalmente, e per togliere qualche male esempio pubblico, si usino castighi pubblici e pubblici rimproveri.

E qui mi viene bene di dover avvertire di un difetto in cui si può cadere quasi senza accorgersene. Talora visitando qualche nostra Casa, mi è capitato di sentire parlare così: eh! qui in Calabria (cito così per citare, puramente per farmi capire) eh! questi Calabresi di qui... eh! questi Calabresi di là... oppure “sti romanacci” ecc. e lì giù quante se ne può dire. E si parla così anche davanti a Calabresi, a Romani ecc., e talora sono presenti fin dei nostri confratelli stessi, che sono Calabresi o Romani, o Siciliani o Abruzzesi ecc., secondo il popolo di cui si parla; ed è certo che ne restano mortificati. E non si pensa alla indelicatezza, anzi alla sconvenienza di un tale linguaggio e all'atto poco educativo che si commette. Così alle volte si parla, e con troppa leggerezza si parla, e si critica e si mormora fin anche; si crea così il malumore tra noi e certi Enti morali da cui magari si dipende. E si chiacchiera e si lascia chiacchierare a sproposito contro Amministrazioni


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No, no così miei flgliuoli! Bisogna assolutamente evitare qualsiasi critica ed apprezzamento di sorta a carico di Enti e di persone. Se ci fosse qualche cosa di vero non si deve dire che col solo Superiore e non se ne parli mai più fuori, perché io solo so il male che questi modi di dire possono fare ed aver fatto, raffreddando le nostre relazioni anche con persone per bene e bene intenzionate ad aiutarci. E talora i ragazzi (e anche persone adulte) sono lì che ci sentono e poi vanno e riferiscono ciò che abbiamo detto e anche ciò che non avete certo, mai detto. Lasciate adunque questi modi, ve ne prego, per l'amor di Dio.

E così non direte mai: questi veneziani! e qui e là! e in Piemonte si fa così! e a Roma era meglio di qui ecc. ecc.

No no, cari figliuoli, ci faremo del male da noi; ci allontaneremo il cuore degli alunni e della gente di dove ci troviamo. Tutto ciò, vedete, che può toccare la suscettibilità delle popolazioni tra cui si è, evitatelo ad ogni costo. Ve ne prego e ve ne scongiuro per l'amore delle anime e per l'amore di Gesù Cristo, che ci ha mandato affinché non allontaniamo la gente da noi, ma perché noi la tiriamo per darla a Lui. Sono modi non atti a far del bene e niente secondo la santa politica dei santi; sono anzi alquanto contro l'urbanità, se pure non contrari alla carità di Nostro Signore.

Come volete che la gente ci si affezioni se sente che critichiamo i loro usi, o i loro paesi?


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Ricordo di aver letto nell'Epistolario del Rosmini una sapiente e grave lettera che quel filosofo e santo fondatore scriveva ai suoi Religiosi inviati in Inghilterra a farvi del bene. Da uomo abilissimo, piissimo e dottissimo, egli scriveva ai suoi di farsi e di rendersi inglesi perfetti, per la carità di Gesù Cristo.

E li supplicava di assumere modi, vestiti, linguaggio e il fare tutto proprio degli Inglesi; i loro modi e i loro costumi, e tutto fare per attirare le anime e ciò in visceribus Christi!

In tutto ciò che non è evidente male, scriveva il Rosmini, “accettate e adottate” piuttosto che perdere l'influenza, piuttosto che creare malumore, o mettersi in posizione da non poter più operare tutto quel bene che potevate fare. “Ogni popolo ha i suoi costumi e sono buoni agli occhi suoi, aggiungeva, e in tutto che evidentemente, che chiaramente non è peccato, rendetevi Inglesi”. E i Santi, i grandi Santi Cirillo e Metodio, a fine dì convertire gli slavi, non resero slava anche la liturgia? E chiamati a Roma, a difendersi, vennero con umiltà da santi e il Papa approvò e benedisse quanto avevano fatto, e Roma li accolse in trionfo, e poi il Vicario di Gesù Cristo li proclamò Santi, e diede per loro tomba una delle Basiliche più venerate di Roma, S. Clemente.

Don Bosco era solito dire “entriamo colla loro, per uscire con la nostra”. Cioè adottiamo i loro sistemi, dove si può appena, per salvare le loro anime.


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S. Paolo arrivò a scrivere che avrebbe amato di essere anatema, cioè scomunicato, pur di salvare le anime.

Ed io vi dico, o figliuoli miei, se siete a Venezia, e volete fare del bene fatevi Veneziani il più che potete, e fin che si può, e ciò fate per la carità di Gesù Cristo. E fatevi Veneziani per meglio riuscire ad educare e salvare gli orfani veneziani.

Anzi quando vi sia occasione esaltatela Venezia, che veramente merita e sempre fu cattolica anche all'epoca di Paolo Sarpi: e fu il propugnacolo della fede d'Italia contro l'eresia di Lutero. E vedrete che farete del bene. In Piemonte siate Piemontes¡ a Roma Romani, in Sicilia Siciliani. Negli anni che fui a Messina imparai, o cercai subito di imparare il linguaggio e gli usi messinesi e a Messina io vestivo il rubbone alla siciliana.

Perché noi della Provvidenza non abbiamo determinata forma di vestito? Perché nel vestire, dobbiamo vestire secondo i paesi dove stiamo, dove la mano di Dio ci porta. E stiamo bene attenti che il regionalismo non ci impicciolisca.

Non si può essere perfetti nella carità se non a condizione di spogliarci dei particolarismi e degli egoismi fini di paese. Noi di questa roba non ne abbiamo, ma bisogna stare attenti: sono dolorose e fatali le lotte in certe Congregazioni tra elementi di nazionalità diverse. Stiamone in guardia noi: e rinunciamo con gioia, per amore della carità, ai costumi del proprio paese, quando ciò occorra per adattarci volentieri a quelli, delle popolazioni tra cui viviamo. Evitiamo la leggerezza di fare confronti in pubblico


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e anche tra di noi. Usiamo particolari riguardi a quelli di altra nazionalità. Non siamo dunque attaccati a modi e costumi che dovevamo magari tenere quando eravamo in altre Case, in altri posti o nei paesi nostri. E’ un grande difetto nei servi di Dio il troppo attacco alle usanze dei paesi loro; è allora che nascono le antipatie alle cose e alle persone e queste antipatie sono un difetto che ci ruba la dolcezza dell'animo e fa diminuire in noi la carità e le forze spirituali. Ricordiamoci che benché l'esercizio della carità va per un certo ordine, tuttavia il Principio evangelico della beneficenza e della carità universale è quello solo che, diffuso e predicato, può apportare una vera pace nel mondo e insieme con la pace tutti i beni. Noi amiamo la nostra Patria, e come! ma tutto il mondo è patria pel figlio della Divina Provvidenza, che ha per patria il Cielo. E così andiamo adagio, siamo prudenti con certi paragoni, con certe esaltazioni, con certi giudizii, con ogni parola che può allontanare la simpatia dei giovani, delle famiglie, delle amministrazioni e del pubblico.

Nei partiti noi non dobbiamo mai entrarci assolutamente, e così non metterci in politica. La nostra politica dovrà consistere nel portare a Dio e alla Chiesa la povera gioventù e le anime. Noi siamo italiani e sentiamo di amare di dolce, di forte, di santo amore questa nostra Patria. Preghiamo per essa: lavoriamo a far del bene ai suoi figli, i più piccoli, i più deboli, i più abbandonati. Educhiamo i nostri giovani al rispetto, e all'amore e


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all’obbedienza dell’autorità civile e politica, come a quella religiosa. Noi amiamo il nostro paese, e facciamo voti perché l'Italia, riconciliatasi finalmente con la S. Sede, sia libera dalle sette, sia grande, sia gloriosa. Oh quanto sarebbe più grande e più gloriosa se fosse ufficialmente amica e figlia della Chiesa! Per la Patria, noi siamo pronti a dare la vita. Ed effettivamente noi già sacrifichiamo tutta la nostra vita per dare all'Italia dei figli degni ed onorati.

Ma amiamo anche di un amore che sa di più alto, di più dolce, di più filiale, di più santo e divino, la nostra santa madre Chiesa, la Chiesa madre di Roma e il nostro Papa; perché la Chiesa è la vera madre della nostra fede, e delle nostre anime, della parte più viva, più spirituale ed eterna di noi. E perché il Papa è il Vicario di Gesù Cristo, nostro Dio e Redentore, è il “dolce Cristo in terra” come lo chiamò Santa Caterina da Siena; è la nostra guida sicura, è il nostro Maestro infallibile, è il vero nostro Padre ed è il grande e il primo Italiano.

Ma noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità grande e divina che fa del bene a tutti. Noi non guardiamo ad altro che sono anime da salvare. Che se una preferenza la dovremo fare, la faremo a quelli che ci sembreranno più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti.

Anime e anime! ecco tutta la nostra vita; ecco il nostro grido, il nostro programma; tutta la nostra anima,  tutto il nostro cuore: Anime e anime!


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Ma a meglio riuscire a salvare anime bisogna pur sapere adottare certi metodi, e non fossilizzarci nelle forme se le forme non piacciono più, se diventano antiquate e fuori uso.

Facciamo cristiana la vita; facciamo cristiana l'anima degli orfani e dei giovani a noi affidati, questo è ciò che Iddio e che la Chiesa chiedono da noi.

E adoperiamo tutte le sante industrie, tutte le arti più accette e più atte per arrivare a questo.

E allorquando giungiamo in una città o in una Casa, guardiamoci dal fare cambiamenti, perché correremo pericolo di guastare e non di aggiustare, di perderci in sciocchezze, e, per la velleità di cambiare, di offendere chi c'era prima di noi, e peggio, per della scorza di perdere delle anime. Attenti a questi pericoli!

Anche quelle forme, quelle usanze che a noi possano sembrare un po’ laiche, rispettiamole, e adottiamole, occorrendo, senza scrupoli, senza piccolezze di testa; salvare la sostanza bisogna! Questo è il tutto. I tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati, e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e del popoli e non alla coda e non farei trascinare: per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo: bisogna camminare alla testa. E allora toglieremo l'abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa.

Non badate alle ripetizioni, alla sconnessione e prolissità di questa mia; non ho


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tempo per correggere e rifare. La SS. Vergine vi conforti tutti e vi assista da tenera Madre.

Essa la Vergine Celeste, come soleva chiamarla S. Giovanni Bosco, vi dica, o cari figli, tutto il mio affetto in Gesù Cristo per voi, e la Madonna SS. vi protegga nel vostro lavoro.

Lavoro, lavoro, lavoro! Noi siamo i figli della fede e del lavoro. E dobbiamo amare ed essere gli apostoli del lavoro e della fede. Noi dobbiamo correre sempre per lavorare e lavorare sempre di più. A Reggio Calabria ci chiamano “i preti che corrono”. Avere cura della salute, ma lavorare sempre, con zelo, con ardore per la causa di Dio, della Chiesa, delle anime.

Guardare al cielo, pregare, e poi.... avanti con coraggio e lavorare! “Ave Maria e avanti” diceva a Bartolo Longo quel santo e serafico frate che fu Padre Lodovico da Casoria. Sempre avanti figliuoli miei in Domino, ma sempre avanti! Avanti con la Madonna. “Ave Maria e avanti”. Avanti in Domino.

E ora, caro mio D. Pensa, benedico te e a tutti con cuore e animo grande in Cristo.

E pregate per me.


Vostro aff.mo in Gesù C. Crocifisso

e in Maria Santissima

Sac. Luigi Orione

della Divina Provv.