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[Da copia stampata]

L’Educazione Cristiana della Gioventù


Da Victoria (Buenos Aires)

il 21 febbraio 1922


Caro Don Camillo e cari miei Chierici,


E’ oggi un mese che ho lasciato Mar de Hespana, e dopo aver scritto durante questo tempo a Don Mario e a Don Dondero più d'una volta, ho pensato oggi di scrivere una lettera anche a voi. Indirizzo a voi ma però desidero sia letta anche da essi per il maggior consenso degli animi e delle idee, e per dare uniformità d'indirizzo e di spirito alla Casa.

Con l'aiuto del Signore fra non molti giorni andranno dunque a riaprirsi le scuole interne di codesto Istituto di Mar de Hespana, ed io vivamente ho desiderato trovarmi con voialtri, o miei carissimi figli, che a me vi siete generosamente uniti a servire insieme e insieme amare N. Signore G. Cristo e la sua Chiesa nei poveri, e specialmente negli orfani,  lavorando sotto le ali della Divina Provvidenza.

Valga questa lettera a riparare, in qualche modo, la mia forzata lontananza, e vogliate avermi spiritualmente presente sempre, ma in modo particolare all’inizio di questa



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di questa nuova riapertura di scuole e nelle vostre preghiere.

Io pure sempre vi ricordo al Signore, e nel Signore, e Iddio solo sa quanto ho desiderato trovarmi e trattenermi di più con voi, e con ciascuno di voi più a lungo, nella dolce carità di Gesù Cristo; ma Dio sa anche che ho pure altri doveri, e che venire ora non m'è possibile, e sia fatta la sua santa volontà.

Spero però di passare ancora a rivedervi avanti di ritornare in Italia, e allora vi porterò tante buone notizie di questi fratelli nostri, i quali qui vivono “cor unum et anima una” e sono l'esempio e l’edificazione di tutti, a gloria di Dio benedetto.

Ed ora lasciatemi entrare in tema, poiché breve ho il tempo e molto è il lavoro.

La Scuola Secondaria, che ora, col divino aiuto, si riapre in codesta città, penso riuscirà di molto merito a voi che la fate, o cari miei figli in Gesù Cristo, e penso darà certamente buoni ed efficaci risultati per quei giovanetti che la frequentano (siano essi del I° che del II° anno) se, come già disse il Tommaseo, la scuola sarà tempio di vera educazione cristiana e civile e di soda istruzione, irradiata dalla fede.

La scuola nostra dovrà essere rispettata come una chiesa e da noi trasformata in una cattedra di ministero sublime, in una palestra di vero apostolato.

Essa deve essere amata da noi, e deve farsi amare dagli alunni, anzi chi insegna deve farla amare così che essa dovrà diventare come la casa sacra al sapere e alla virtù dei

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nostri alunni: essi non devono quasi avere altro pensiero, altro desiderio che di trovarsi con i loro maestri e nella loro Scuola. E chi insegna otterrà questo se renderà amabile (non mai pesante) e attraente l'insegnamento, conducendo avanti i suoi scolari come fa la mamma, che conduce a mano i suoi bambini. Per rendere meno faticoso lo studio, il maestro dopo aver studiato lui, ed essersi ben preparato per conto proprio, studierà quasi insieme con la scolaresca.

La scuola dev'essere una famiglia, una famiglia morale bene disciplinata, e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con molta cura. Ogni tanto vogliate far vibrare nella scuola la corda del sentimento e del cuore, elevandovi poi fino a Dio, voi e i vostri alunni: così si educa!

Un Istituto di educazione è sempre una grand'opera di carità, e dice la S. Scrittura: “Qui ad justitiam erudiunt multos, quasi stellae fulgebunt in perpetuas aeternitates”!

E specialmente fatta da noi, e nel Brasile, che è così insidiato nella sua fede, la nostra scuola deve essere un vero apostolato, e una vera scuola di formazione cattolica di tutti i giovanetti che a noi vengono. Oggi il Brasile, e, in genere, quasi tutta l'America del Sud, è preso d'assalto dai protestanti, dal  teosofismo e dallo spiritismo. Purtroppo molti deboli o ignoranti nella fede si lasciano adescare e comprare, e vendono l'anima loro per un piatto di lenticchie, come già fece Esaù. Bisognerà prevenire e premunire la gioventù e



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valerci della scuola per istruirla bene nella Religione, per portarla a vita pratica cattolica e salvarla. La buona riuscita sarà assicurata, anche negli studi, se noi li educheremo a coscienza, e se formeremo in essi un solido fondamento di fede e una volontà e un carattere forte e sinceramente cristiano. Oh quanto bene sarà per codesta parrocchia specialmente! Sarà assicurato l'avvenire e la vita morale e religiosa del paese, che è base di tutto.

Ma per riuscire, dovete essere altamente persuasi e ben compresi che non v'ha che una sola forza a render buoni i giovani e a farne degli araldi di fede e di bontà e di progresso morale e civile per la società: non v'ha che una sola forza: la benedizione di Dio sul nostro umile lavoro, e la verità data in tutta la sua estensione, nella sua forma naturale e imperfetta e nella sua forma sopranaturale e perfetta, che è la grazia di Gesù Cristo.

La benedizione di Dio invocatela con una S. Messa e col Veni Creator Spiritus, presenti tutti gli alunni. E voi, cari Chierici, farete in essa Messa la S. Comunione anche ad exemplum, e pregherete per i vostri alunni e indi si dia la benedizione col SS. onde nostro Signore benedica Lui questo nuovo anno scolastico. Poi un Sacerdote dica brevi parole e spieghi il significato e ricordi che “initium sapientiae timor Domini”! e che i giovani devono studiare per compiere il loro dovere, per crearsi il loro avvenire e rendersi capaci di


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aiutare la famiglia, di onorare la loro Città e rendersi utili alla loro Patria. E si invochi la SS. Vergine: “Sedes sapientiae”! E non solo a principio, ma si dicano sempre ai giovani parole di incoraggiamento cercando che siano sempre animati al bene e anche entusiasmati allo studio, al lavoro, impegnandoli con discorsi ardenti e pieni di elevatezza e di bontà. I giovani vanno educati tenendo sempre presente che sono esseri ragionevoli e che sono cattolici: si devono dunque adoperare due mezzi: la ragione e la fede cattolica, cioè fede universale e integra.

Ricordiamoci sempre che i mezzi esterni e meccanici non potranno sostituire mai né dare il bene che consiste nella Verità e nella Grazia di Dio; ma solo possono disporre gli animi a coadiuvare in qualche modo, a ricevere la verità e la grazia. Quell'educazione che riponesse ogni sua confidenza nei mezzi puramente negativi, esterni o dispositivi, e trascurasse i mezzi immediati e formali, produrrebbe negli animi giovanili effetti aridi e fors'anco funestissimi: gli effetti propri della scuola laica, o, tutt'al più, produrrebbe una bontà apparente, posticcia, alla moda, una bontà che si potrebbe definire bontà da collegio, e, quanto alla pietà, una pietà che è inverniciatura, una vera ironia di pietà, se non una  simulazione, una pietà che non va all'anima, che non fa pio il cuore, perché non è sentita e non ha penetrato lo spirito, pietà che presto svanirà e lascerà peggio di prima.

Noi dobbiamo avere e formarci ad un sistema tutto nostro di educare, un sistema



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che completi quanto già di buono abbiamo negli antichi e anche nei moderni sistemi di educazione, un sistema che reagisca contro la educazione cristiana data all'acqua di rosa, apparenza più che di sostanza, di formule più che di vita. Noi vogliamo e dobbiamo educare profondamente l'animo e cattolicamente la vita, senza equivoci: educare ad una vita cattolica non in  superficie, cioè di nome e non di fatto, ma a una vita cattolica pratica che abbia base nei sacramenti,  vita di unione con Dio, di preghiera e di pietà vera, vissuta e ignita di virtù.

Cari miei, noi non avremo però mai fatto niente finché non rifaremo cristiana nella sua anima di fede e nella sua vita e privata e pubblica la gioventù: finché non avremo rifatte cristiane le coscienze e il carattere nei nostri allievi. La fede cattolica e il carattere saldamente cristiano formato sul Vangelo e sugli insegnamenti della Chiesa, sono le forze più potenti del mondo morale, e i giovani poi, quando vi  sanno unire il loro ardore giovanile, si impongono  allo spontaneo omaggio di tutti, e trascinano! Ma per trasfondere questo carattere bisogna avere noi il cuore pieno di Dio e saper educare a Dio il cuore dei giovani, perché è il cuore che governa la vita, non l'ingegno onde già i latini dicevano: “Corculum quod facit homines”; un po’ di cuore: è il cuore che fa l'uomo, cioè è il cuore che fa la grandezza morale dell'uomo, ma quando il cuore è, quale dev'essere, un altare sacro a Dio. Lo stesso sistema, così detto preventivo, non dice tutto, per me non mi

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soddisfa pienamente, non mi pare completo. Mi pare che, oggi, non sia più sufficiente o da tutti non così sufficientemente battezzato. Finché esso è in mano di D. Bosco e dei Salesiani, praticamente è completato dalla religione onde essi lo animano, ma quando è in mano di educatori borghesi, è quello che è, e fa quello che fa.

Fondamento del sistema non solo deve essere la ragione e l'amorevolezza ma la fede e la religione cattolica - praticata - e il soffio di un'anima e di un cuore di educatore che ami veramente Dio e lo faccia amare, dolcemente, insegnando ai giovani le vie del Signore. L'educatore deve sempre parlare il linguaggio della verità con la ragione, col cuore, con la fede. L'educatore cerchi di farsi altamente e santamente amare più che temere, e si faccia stimare e amare nel Signore, se vuole farsi temere.

Viviamo in un mondo che va ridiventando pagano in fatto di fede, ed è la fede, soprattutto e la Carità di Gesù Cristo che devono ricostruire il mondo. E chi voglia veramente educare ed edificare Gesù Cristo nell'anima dei giovani e della società, deve viverle la fede e la Carità di Gesù Cristo: deve farle risplendere nella sua vita; si devono vedere risplendere fin sul suo volto, nelle sue parole, in tutto il suo insegnamento! Allora la scuola riuscirà al suo fine cristiano e civile: riuscirà di molto merito a chi la fa e di efficacia veramente consolante per gli alunni, perché infonderà in essi il santo timor di Dio,

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che è base e principio di ogni verace sapienza, e le massime di una vita intemerata e cristiana.

Per cui gli insegnanti non dovranno solo essere forniti di virtù per essi, e di spirito di Gesù Cristo sufficiente per essi ma devono avere nella loro lampada olio per sé e olio per gli alunni, onde illuminarli, condurli: comunicare loro la moralità e la religione, tutte cose che non devono essere l'opera di una lezione o di una mezz'ora alla settimana, come si fa con altri insegnamenti, ma devono essere la sollecitudine di tutte le ore dell'anno scolastico e di tutta la nostra impresa, e della vita stessa.

E dove qualche estraneo venisse a fare scuola da noi, non potendo noi da essi esigere tutto questo suppliremo noi a ciò che a loro mancasse, soprattutto col buon esempio, che è di tanta forza sullo spirito dei giovani.

Vedano questi in noi tutto il nostro desiderio del loro vero bene, del loro miglior avvenire; vedano in noi puntualità e imparino così essi ad essere puntuali; vedano diligenza, bontà di modi, molta educazione, serietà (mai, mai leggerezze), attività e zelo misto a dolcezza: fattività; lavoro: vedano studiare noi per farli studiare essi.

Oh quanto impareranno dalla vostra pietà, ad essere a loro volta religiosi e piì! Se il Professore non si farà mai aspettare, darà agli scolari esempio di esatta diligenza! Se vedranno che il Professore si prepara a far scuola, ed è sempre preparato, anch'essi non perderanno più tempo!

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Chi è che fa che crea la scuola? È il maestro

Chi è che fa gli scolari? L'esempio del Maestro!

Da chi dipende il risultato della scuola? In gran parte dal Maestro!

I giovani guardano il Professore: vivono più del suo esempio che delle sue parole: “verba movent sed exempla trahunt”! è sempre vero!

Anche Seneca - e cito un pagano mentre potrei citare cento Padri della Chiesa - diceva: “Nunc elige praeceptorem quem mireris cum videris quam cum audieris”.

E il grande Severino Boezio morto in carcere per la fede e sepolto a Pavia, sulla cui tomba, da Chierico prima e poi da Sacerdote, andai per attingere forza, per ispirarmi in momenti che erano decisivi e assai difficili, Severino Boezio, santificato ora dalla Chiesa (scrisse egli, in carcere il celebre trattato De Consolatione) al Cap. VI scrive: “Magister sit in sermone verax, (la verità sempre), in judicio justus, pius in affatu, virtute insignis, bonitate laudabilis, mansuetus.... ita ut discipulis seipsum bonorum operum praebeat Exemplum”.

Esempio! esempio! esempio!

I giovani non ragionano tanto: seguono e fanno ciò che vedono fare.

E, oltre al buon esempio, i Figli della Divina Provvidenza, dovranno avere, quale nota speciale del loro insegnamento di far risplendere Dio dappertutto e la Provvidenza di Dio “che l'universo penetra e governa”, come direbbe Dante, farla risplendere la Divina

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Provvidenza e vedere dappertutto. E cogliere ogni occasione perché l'istruzione serva all'educazìone e al perfezionamento morale, e formi il giovane a salda coscienza cattolica, educandolo e rafforzandolo nella parte migliore dell'uomo, la volontà, sede della virtù.

Niente di più commovente su questo punto di quanto poi leggerete nel Trattato “De Ordine” di S. Agostino, specialmente al cap. X°.

Bisogna i nostri ragazzi portarli alla bontà e alla formazione non solo, ma alla perfezione e grandezza morale, che, come già dissi, sta soprattutto nella volontà e nel cuore. Ed Essa deve servire di scala per salire più in alto, “excelsior”! per salire a Dio e all'amore della S. Chiesa di Dio, che è il nostro grande e sacro amore.

Non vi dirò, anzi, vi dirò di guardarvi dal far prediche tutti i giorni, né si dovrà trasformare la scuola in una chiesa, né la cattedra in pulpito, no!, ma tutto deve essere alto e santo, nella scuola, come nella chiesa, però mai prediche nelle scuole; ma tutto in voi dovrà predicare Dio, e di tutto servirvi per infondere e diffondere la fede e l'amore di Dio benedetto: sarà oggi una parola a metà spiegazione, sarà domani un riflesso, sarà bollare d'infamia una mala azione di un personaggio storico: oh! quando si ama Dio, tutto vibra in Dio!

E si ha sempre un gesto, una parola che fa di più che una predica intera! Fate ben comprendere che mai la virtù nuoce all'uomo: gli nuoce sempre il vizio.

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E fate, o miei cari, di tener sempre occupato l'animo dei giovani, e dirò anche con diletto, non mai pesantemente. Fate in modo che s'interessino e fate amare le materie di studio, anche le più aride; non dite mai, mai che esse sono difficili; fatele o rendetele loro facili.

Io una volta andavo in montagna a predicare sopra Cabella, a Volpara Ligure! Vado su a piedi da Cantalupo, vado, vado e poi trovo un montanaro: quanto c'è ancora? gli chiedo. Mezz'ora, risponde. Allora riprendo lena, e su. Cammino una buona ora e ancora non vedo spuntare nessun campanile. Trovo una donna e le chiedo: quanto c'è di qui a Volpara? Eh!, mi risponde, ci sarà una mezz'ora! Allora dico alle mie gambe: su, gambe, coraggio! E così sono andato ancora due o tre ore, finché venne notte. Mi  trovai su d'un monte e in un bosco: vedo lumi più in basso: vado, vado, là era Volpara! Arrivai. Se m'avessero detto che c'erano quattro o cinque ore, mi sarei forse perduto di coraggio, e il dì dopo non avrei certo potuto trovarmi a subito cominciare la Santa Missione.

Fate così voi con i giovani; essi hanno coraggio: hanno le gambe buone e dai 14 ai 20 anni possono e devono fare un grande cammino. Emilio De Marchi, sul frontespizio del libro “L'età preziosa” riporta un detto di G. Baretti, che dice: “O se sapeste, Pino, quante cose si possono apprendere dai quattordici anni sino ai venti! Più assai che non in tutto il restante della vita, e sia lungo quanto può esserlo”.









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Fateli camminare, fateli camminare, i vostri alunni, ma in tutto, veh! in tutto: nella pietà, nella virtù come nel sapere: guai a chi non mettesse Dio davanti ai giovani, a guida dei giovani

Allora la scuola sarà così amata e desiderata, e gli alunni proveranno tale gioia spirituale, tale felicità che quasi non desidereranno più andare a casa loro, ma sempre vorranno stare in Istituto, e stare con noi, onde, affezionati altamente a noi e avendo piena fiducia e alta stima della nostra parola, crederanno più facilmente a quanto noi diremo: comprenderanno che ciò che noi consigliamo è il loro vero bene, e così ci sarà facile condurli a Dio, e occuparli nel coltivare la virtù e il sapere, acciò non vadano a cercare diletti nelle cose frivole, o, peggio, nelle basse e indegne. Il giovane deve avere l'animo sempre altamente occupato, e provare diletto nelle alte cose onde non si diletti nelle basse e volgari. E qui ricorderò la grande frase del grande S. Tommaso d'Aquino: “Nullus diu potest esse sine delectatione: ideo carens delectationibus, transit ad carnales”.

Non temete di appassionare troppo i giovani secolari a sentire vivo il desiderio di sapere, di studiare, di darsi alle letture, alle scienze, alle arti: cercate di dare ad essi il desiderio di formarsi uomini, di progredire, di sentirsi migliorati e sempre più istruiti, di ambire di onorare in sé Dio, che li ha creati, e di cui siamo l'immagine: di onorare la famiglia, la città nativa e la Patria che molto aspetta dai giovani: unite sempre questi due più grandi amori: Dio e Patria, e infiammateli dì essi: farete dei prodigi!


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Non dividete mai questi due grandi sentimenti; sarà, per i giovani una luce che durerà e si stenderà su tutta la vita.

Pensate pure, o voi tutti di modesta casa, che l'avvenire dell'Istituto S. Gerardo sarà deciso in gran parte da voi, sì, proprio da voi. A voi con più alta ragione si possono ripetere quelle parole che Catilina, nell'ultima arringa rivolgeva ai suoi commilitoni, e che per me sono ora una reminiscenza classica di un tempo lontano: “Mementote, in brachiis vestris vitam, patriam et libertatem portare”! Se le parole non sono queste, questo n'è il significato: ben più a ragione vi dico: ricordatevi che voi portate nelle vostre mani la vita e direi tutto l'avvenire dell'Istituto: la vita o la morte sua sarà decisa da voi, dall'andamento di quest'anno.

Ci vuole nella Casa armonia di animi e di desideri, unità di cuori e di lavoro in Cristo. Pensate alla responsabilità che avete davanti a Dio, davanti alla Congregazione, davanti alla Società: vi sono certi fallimenti che non si possono ripetere: essi dannano a morte!

Io non vi raccomando le macchine, vi raccomando le anime dei giovani, la loro formazione morale, cattolica e intellettuale. Curatene lo spirito, coltivate la loro mente, educate il loro cuore! Vi costerà fatica, vi costerà lacrime, vi costerà disinganni e dolori; ma volgete lo sguardo a Gesù e pensate che lavorate per Lui e con Lui e per la sua Chiesa, e che dalla mano, di Dio avrete la vostra mercede.


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Del resto, o miei cari, anche l'umana sapienza c'insegna che i dolori più fondi ci danno le gioie interiori più alte, e, come senz'acqua non fiorisce la terra, così l'anima senza  lacrime non fiorisce agli occhi di Dio.

Senza forza d'animo e senza sacrificio e senza soffrire, senza croce, non c'è virtù.

La croce in algebra, in politica, in religione è il segno del positivo. Dio e il prossimo si amano in croce! Dio e il prossimo si amano e si servono in croce! grande verità!

E sappiate nascondere le vostre lacrime nel seno della Vergine Addolorata, e versatele quale balsamo sulle piaghe di Gesù Crocifìsso: sarà un balsamo ben prezioso e più gradito che quello che gli portava al sepolcro la Maddalena.

Chi cela il dolore è migliore di chi nasconde la gioia! Chi ama veramente Dio, ama patire per l'amore di Dio: Santa Teresa non diceva: ”aut pati aut mori”? E chi è uso a patire, è uso a tacere. Chi poco sa tacere, poco ha patito, poco sa patire, poco sa amare Dio e gli uomini.

Fino qui sono giunto il 21,

riprendo la lettera che siamo il 24 febbraio.


Questa lettera, scritta a sbalzi, vedo bene che va a riuscire un grande zibaldone, e ripeterò qua e là le stesse cose, gli stessi ammaestramenti, le stesse norme date in una o due pagine innanzi, ma ciò che importa, è intenderci bene e formarci nella sostanza!

Voi poi non la distruggerete, così ci metterò ancora le mani, togliendo ciò che abbondasse e mettendovi ciò che mancasse e che certamente mancherà, e potrà forse



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servire anche per altri fratelli. Prendetela ora nel suo senso, nel suo spirito, più che nella forma; è quasi il caso di ripetere qui: la lettera uccide, ma lo spirito, voglia Iddio che vivifichi queste povere righe.

La bellezza delle cose, più che l'utilità e la forma, innalzi l'anima vostra e dei vostri alunni a Dio.

Bisogna regolare subito bene l'Orario e fare in modo che sia da noi e dagli Alunni osservato con scrupolosa puntualità e con severità anche. L'insegnante senza metodo, ben poco concluderà.

Ogni gioia dei vostri alunni sia vostra gioia: ogni loro dolore sia vostro dolore. Non fate scuola a voce troppo alta. Non punite mai tutti: lodarli sì! lodare insieme e punire divisi! grande massima; se li punite tutti insieme non sentiranno l'umiliazione crolleranno le spalle e rideranno ancora perché sarà il castigo preso alla leggera, non fa mai l'effetto: solacium miseris socios habere poemantes! E qui è vero: tutti castigati, non è più castigo, non fa più effetto.

Studiate i vostri ragazzi: osservateli, meditateli! volete istruire ed educare e che il vostro educare sia un ministero sublime? osservate, meditate, prendete appunti e incoraggiate qualunque profitto, e abbiate un vero e fraterno zelo pel profitto e ciascuno veda che vi interessate di lui con premura, con amorevolezza come d'un fratello. Educate i giovani alla necessità come alle gioie del dolore: la vita è seminata di lacrime! Anche in ogni gioia vi è sempre una vena di dolore.


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Quando tocca loro un dolore, fatene ricercare subito la cagione, e come il Renzo del Manzoni, troveranno che la colpa bene spesso, per diretto o per indiretto, è nostra. Ma i dolori più fondi fanno le gioie più alte e l'umana società è congegnata in modo che sempre dal male esce un bene più grande, come ben dice il Manzoni nell’“Addio monti”. Cercate che i giovani capiscano di progredire tutti i giorni in tutti i sensi: che ogni giorno sentano di saperne un po’ di più della vita e di essere diventati migliori e moralmente e civilmente e cristianamente. Più essi avanzano in sapere e in virtù, più cresce il vostro e il loro merito.

Ciò otterrete, o miei cari, rendendo le vostre lezioni vitali, e la vostra scuola diverrà attraente, facile, interessante, mantenendo poi ordine nelle lezioni, puntualità nelle ore prescritte, se vi presenterete forniti del sapere, della scienza e di tutte le cognizioni necessarie a soddisfare e a realmente istruire, se studierete  non ciò che più vi piace, ma vi preparerete seriamente sulle materie, studiando ciò che più gioverà per insegnare bene e proficuamente, studiando voi ciò che più gioverà agli altri per profittare. E poi ricordiamo che il migliore Professore non è sempre chi più sa, ma chi meglio sa insegnare.

Rendete facile e popolare ciò che potrebbe essere difficile e faticoso a ritenere: tenete vivi ed eretti gli animi degli scolari alle vostre spiegazioni e sopra tutto, sopra tutto, sopra tutto raccomandatevi al Signore, voi e i vostri alunni. Vorrei che a questo proposito



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leggeste poi almeno alcune pagine splendide di S. Agostino, il grande maestro, nel “De erudiendis pueris”, ad es. il cap. IV.

E fate molto coraggio ai vostri allievi - di questo già vi ho detto innanzi, ma non sarà mai abbastanza ripetuto - animateli sempre, sempre, sempre e non avviliteli mai, mai, mai! Ma se vorrete poi essere sovranamente efficaci nell'arte di educare e di istruire, prendete a modello Gesù Cristo, il Maestro dei Maestri.

Badate, o figli miei, che il Vangelo è il più sublime trattato di didattica e di pedagogia che esista. Vedete che metodo pieno di alta e popolare semplicità, efficacissimo sull'animo delle turbe, tiene mai nostro Signore nell'ammaestrare alla nuova e divina dottrina quel popolo ebreo che era uno dei più tardi d'intelligenza, tanto che gli Ebrei non ebbero mai un artista un po’ degno, ed erano ritenuti, come i Beoti della Palestina. E ad imitazione di N. Signore, nell'insegnare come nel correggere, siate pazienti, sereni, tranquilli, semplici, savii, senza gridare mai, eccetto in qualche raro caso, ma operate sempre con giudizio, con maturità, con pazienza (e mi ripeto, lo so bene) con pazienza, sopra tutto.

Sta scritto nel libro di Dio: “in patientia vestra, possidebitis animas vestras”, ma io vi dirò che possederete anche le anime dei vostri allievi, se avrete molta calma, serenità, pazienza con essi: se nella scuola li istruirete e correggerete con amore: correggere vale e


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reggere insieme e ammendare altri e sé.

Bisogna considerare come son fatti i ragazzi, sùbiti e momentanei nei loro trasporti.

Badate che nel correggere i difetti non istrappiate le buone qualità che essi posseggono: ricordiamo sempre la parabola evangelica dove Gesù disse di andare con longanimità e con tatto per non strappare insieme con la zizzania anche il buon grano.

Sono molto molto suscettibili e delicati di sentimenti i Brasileri, né bisogna dare eccessiva importanza a certi loro atteggiamenti. Con un sorriso li guadagnate, con una parola appena li perdete, li abbattete, perché hanno un carattere un po’ fiacco, e fin troppo sentimentale. Sono molto portati per la religione come per l'educazione, e sentono molto di essere Brasileri: sono già di natura così fini che con loro non saremo mai troppo educati né troppo fini. Ma ricordiamo che gentilezza senza virtù è menzogna a tutti i momenti smentita. Non ci sarebbe di peggio che usare con i Brasileri modi ruvidi, assoluti, che usare la verga (non dico proprio il bastone, che deve essere bandito sempre da noi, ma intendo dire la verga morale delle ruvide parole o di parole offensive o poco parlamentari). Mai usiamo quel rigore soverchio che allontana i cuori, mai quell'asprezza che ottiene l'effetto contrario, mai quelle parole volgari o villane che umiliano più chi le dice che non chi se le sente dire, ma anche in fondo ad ogni correzione, per quanto seria, vi sia sempre una



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parola che animi al bene e che riconforti il colpevole.

La virtù sgarbata non è mai quella vera: quella è più virtù che ha più cortesia negli atti: non basta conoscere ed amare la verità, conviene saperla dire ed operare! Quando ci fosse da usare rigore, sia sempre con saviezza, con moderazione, e piuttosto si avvertano le famiglie, e se poi poi non va, se poi poi, non se ne può fare a meno piuttosto si sospendano dalle lezioni, prima per qualche giorno, poi per altri, e poi, nei casi gravissimi, piuttosto si dimettano sin dalla Scuola che dalla Casa. Qui parlo sia per chi solo frequenta, che per quelli che coabitano con noi. “Sed dimittantur cum consolatione”, dice S. Ignazio: non vadano via con l'animo pieno di veleno, mai!

Ricorderò sempre Mgr. Novelli, mio Rettore di Seminario e tanto benevolo a noi, che, quando doveva allontanare dal Seminario qualcuno, lo faceva con sì buona grazia di persuasione che lo stesso espulso riportava sempre di lui la migliore ricordanza. Così farete voi, tanto più che poi si tratta di parrocchiani o di gente che ha aderenze in città. Esaurite prima tutti i mezzi che la Religione, il cuore e la ragione vi suggeriscono. E quando dovrete pur dare qualche castigo il vostro animo sia sempre elevato, e non abbia minima apparenza di perturbazione, ma fate vedere il dispiacere che avete di dovere, di essere obbligati - vostro malgrado - a castigare. E le punizioni siano date con parole e modi urbani, che vi acquistino l'affetto e la stima, e non vi alienino mai l'animo né di chi è


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punito, né dei suoi parenti né di chi vi vede punire. E le ragazzate prendetele per quelle che sono: per ragazzate, e non castigate mai ad animo eccitato, ma, possibilmente, il dì dopo o dopo alcune ore.

Date i consigli a tempo, e ne darete pochi. Ripeto forse per la terza o quarta volta: molta pazienza, molta discrezione ci vuole, molta bontà, molto amore di Dio e del prossimo.

Ma, attenti bene, non connivenza con le mancanze, non indulgere con i pigri, non tolleranza con i viziosi! Altro è compatire i falli, altro è farsene complici.

E imparzialità con tutti, non beniaminismo, con nessuno, sia pure un S. Luigi o un Dante o il figlio di un Re. Non parzialità, non preferenze, non beniaminismo con nessuno!

Vi ricordate un gesto forte che ho fatto a tavola, nei primi giorni dopo il mio ritorno dall'Argentina? Le avete sentite e le ricordate quelle parole? La lezione fu capita, e quel ragazzo non comparve più dove, da più giorni, stava sempre. Era necessario! Imparzialità, e tutti siano trattati ugualmente, con uguale e santo affetto in Gesù Cristo con lo stesso impegno, con la stessa discrezione, con una buona dose, anzi, di discrezione, anche nel rigore. Ai giovani parlate e pensate col cuore.

Ma qui passo ad un punto delicato.

Non si tollerino discorsi, gesti od atti scandalosi, se non volete che la maledizione di Dio cada su di voi e sul nostro Istituto. Guardate l'Istituto da quelli che fossero


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precocemente maliziosi o già guasti dal mondo o viziosi. Il Manzoni dice di essere stato rovinato in collegio da un compagno precocemente malizioso.

Vigilate, avvertitevi tra di voi, consigliate, prevenite, richiamate; poi avvertitene, occorrendo, le famiglie e, se non ci fosse emendazione, con dolore e facendo vedere il vostro dolore, ma allontanate.

Prima base della vita civile e d'ogni sana educazione è la moralità e l'onestà dei costumi, e ciò non solo per noi cattolici ma per qualunque popolo e sotto qualunque cielo.

Mi ripeto anche su questo, per non essere frainteso, o, meglio, perché tutti vogliate sempre ricordare quali sono su questo delicatissimo punto le idee del vostro Superiore e il suo insegnamento.

Quando qualche nostro alunno mancasse nelle materie più delicate e pericolose di tutte, voglio dire contro i buoni costumi, io voglio nel Signore e ordino nel Signore, nella mia qualità di Superiore dei Figli della Divina Provvidenza, che si tenga assolutamente e a tutto rigore questa massima: “quando siasi trovato un solo fatto d'un giovane che induce o tenta un altro al peccato d'impurità, si licenzi subito” che se poi si avessero soli indizi senza poterne avere una prova è dovere con ogni assiduità vigilare su di esso in tutti i momenti, e, alla più lunga, al nuovo anno, non accettarlo più, bastando per non accettarlo,


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solo un grave indizio, o parecchi indizi, benché non gravi, quando questi non gravi indizi, sono dati, riferiti, non da una sola persona, ma da più, e non da assistenti o persone troppo vincolate fra loro, che l'una dica o si supponga possa dire o subire l'influenza dell'altra, ma da un Superiore di molto conto, o savio e discreto.

E per salvaguardare i nostri alunni dai lupi, e crescerli a vita onesta e veramente cristiana, ricordo che una delle nostre regole principali e proprie del nostro sistema di educazione è quella di tenere i giovani sempre sott'occhio, e di non lasciarli mai e poi mai soli, né dì né notte, ma questa vigilanza dovrà essere esercitata quasi in modo che essi non se ne accorgano; onde ogni buon assistente dovrà fare suo, per quanto si riferisce alla vigilanza assidua, questo canone dato per l'arte: “l'arte che tutto fa, nulla si mostra”.

Vigilare, osservare, seguire sempre e dovunque i giovani, senza mostrarsi, senza farlo intendere. Essi non devono mai pensare che noi abbiamo diffidenza, ma che li amiamo, che li stimiamo. Ora il cuore di un padre che ama, teme, e perché ama, teme; non è diffidenza, è amore in Gesù Cristo.

Ma come ho detto del modo di regolarvi nei castighi e lo spirito che si ha da portare nel castigare, così ora dico che si devono fuggire i due eccessi, egualmente riprovevoli.

Si bandiscano quei castighi che sono condannati dalla carità cristiana, dalla sana pedagogia e dalle leggi vigenti ed ogni altra severa ed umiliante o troppo lunga punizione


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che disdica a Sacerdoti e Religiosi, ad educatori del cuore e a salvatori di anime.

Il nostro sistema che chiameremo “paterno-cristiano” non solo bandisce assolutamente tutti i castighi troppo lunghi, penosi ed umilianti, ma, per nessun motivo, ci permette di trascorrere mai a battere i giovanetti siano studenti o artigiani, piccoli o alti, poveri orfani o figli di famiglie distinte. Non si batta mai, per nessun motivo. Chi eccede, cede; ed è finito: ha finito di poter fare bene. Il rigore non si usi se non come medicina, in casi rari, rarissimi, e sempre senza passione, senza ira, ma nella tranquillità dell'animo, nella tranquillità della luce, nella pacatezza della ragione, tenendo lo spirito ben alto, in Dio! In una parola: non infliggere castighi, se proprio non ci si è costretti e sia il rigore temperato dall'amorevolezza: farsi più amare che temere; farsi amare in Gesù Cristo e “ottenere tutto per amore e niente per forza”, come diceva S. Francesco di Sales: “farsi amare in Gesù Cristo per farsi temere”! Anche qui so di ripetermi, sed, in hoc, repetita juvant: farsi amare in Gesù Cristo per farsi temere. Ma, come ho detto di bandire i castighi antipedagogici e anticristiani, e di usare e instaurare un nuovo sistema nostro di educazione “il sistema cristiano-paterno”, così debbo vietare l'altro eccesso, che cioè si accarezzino i ragazzi. Niente battere e niente accarezzare. Chi fa carezze, vive male e fa del male.

Si vieti perciò ai nostri alunni di tenersi l'uno l'altro per mano e di passeggiare


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tenendosi a braccetto, o di mettersi, in qualsiasi modo, anche nei giochi, le mani addosso. E si dia noi l'esempio! Quest'avviso sia dato, sia ripetuto tante volte quanto basti, e ne sarà avvantaggiata la moralità e l'educazione cristiana e civile, seriamente intesa. Niente effeminatezze, niente sdolcinature, niente mollezza, tra i ragazzi o coi ragazzi, mai! Nessuno di noi usi tale familiarità coi giovanetti, e ricordiamo la nostra fragilità e la necessità di mortificare il senso del tatto e anche gli sguardi, guardando i ragazzi. Gli occhi, diceva bene S. Filippo, sono bene spesso le finestre per cui il demonio entra nel cuore. Si bandiscano i più gravi e disdicevoli castighi, ma anche si bandiscano le più leggere e quasi insignificanti carezze. Niente carezze! A tutti sia vietato d'accarezzare i fanciulli, di stringere loro le mani, di passeggiare avvincolati con loro, di toccare loro le guancie o il mento e ogni altro atto di sentimentalismo e di affettività che va poi a finire nella passione e fin nella morbosità: “Videtur esse charitas, et est carnalitas”, dice l'Imitazione di Cristo. A principio il diavolo si veste di luce, e insinua nel nostro animo che si debba usare familiarità per tirare al bene quel giovane, ma “latet anguis”: sotto la bella apparenza del bene, ci sta la passione e il demonio!

Questi ed altri atti che possono condurre a gravi disordini contro la moralità, e dare pretesto ai nostri nemici di calunniarci e di attribuirci intenzioni che non avevamo, non si


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devono fare, e non si devono in alcun modo tollerare nelle Case della Divina Provvidenza, come negli Istituti che da noi dipendono. Più velenoso d'ogni odio, è sui giovani, l'esempio del male.

Quindi via le carezze, via le leggerezze, le scempiaggini, le smancerie che sono sempre suggerite dal disgraziato sentimentalismo: via ogni affezione che “in carne desinit”.

Via i regalucci dati più a questo che a quello: via le preferenze a quelli ben vestiti, ben puliti e dal volto più rotondo; via quelle affannose cure, quelle sollecitudini che vengono già da passione sregolata, quegli sguardi, quelle parolette: “donariola, - dice S. Gerolamo,- quae sanctus amor nescit”.

Guerra al beniaminismo! guerra senza tregua alle amicizie particolari, vera peste degli Istituti di educazione.

Le porte dell'amore spirituale e dell'amore sensuale, dice S. Basilio, sono molto vicine l'una all'altra, ed è assai facile scambiare la prima con la seconda: già ve l'ho detto col Gerson: “videtur esse charitas, et est carnalitas”!

In guardia dunque, o miei cari: preghiamo e vigiliamo e raccomandiamoci alla Madonna, sempre. In guardia dal beniaminismo e da ogni amicizia particolare che soppianterebbero la virtù più bella e manderebbero a fallire le più belle vocazioni. Ogni soave affetto è severo. L'austerità è necessaria nell'amare i giovani.

Pregate dunque, e in guardia sempre: la nostra anima anzi tutto.


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Chi amò la gioventù più santamente di S. Filippo Neri? Chi quanto S. Giuseppe Calasanzio? Chi potrà assomigliarsi al cuore grande in Gesù Cristo per la salvezza della gioventù quanto Don Bosco?

O miei cari, nessuno di questi Apostoli della gioventù si credette però mai lecito di attirare a sé i giovanetti con tali mezzi e rimproveravano con molto zelo e allontanavano da sé quelli che facevano diversamente. Ebbene, ciascuno di noi faccia altrettanto, e Dio benedirà il nostro lavoro e Dio sarà con noi!

Alle sante anime dei fanciulli noi dobbiamo portare un grande amore in Gesù Cristo ma come ad angeli, e amarli come fratellini più piccoli e come tra loro si amano gli angeli di Dio: amarli tutti senza eccezione alcuna, amandoli non per il loro bell'ingegno, non per la loro perspicacia o memoria, non perché vestono elegantemente, non perché hanno modi urbani, voce fina, o perché di famiglia amica o di più civile condizione: non pel sembiante o per la punta del naso più o meno aquilina, più o meno rossa, ma noi li dobbiamo amare perché in essi vediamo e amiamo Gesù Cristo: noi amiamo la loro anima, che vogliamo salvare, e li amiamo sull'esempio di Gesù Cristo, ma li ameremo tutti ugualmente, e se una preferenza dovrà farsi, sarà per i più infelici, per i più tardi d'ingegno, per i più derelitti, per i più brutti, per i più cattivi, per i più ingrati, pur confortando molto i più diligenti e i più buoni.





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Siccome pianta negletta e abbandonata ne’ monti talvolta si abbarbica profondo, così s'è visto più d'una volta che ragazzi non di apparenza, o negletti, aiutati, se forti di volontà, di bontà e di ingegno, mettono frutti amrnirabili di virtù e di sapienza meravigliosi.

E tutti ameremo con molto rispetto, anzi con la massima riverenza. “Maxima debetur puero reverentia”, disse già Quintiliano, ed era un educatore pagano! Da che cattedra dobbiamo imparare!

Il Ven.  Don Bosco aveva pei giovani una specie di venerazione, vedeva il bene grande che ne sarebbe venuto da essi alla Chiesa e alla società, i giovani sono l'avvenire. Ma sovra tutto il Ven.le Don Bosco vedeva in essi l'immagine di Dio, i piccoli di Dio, i più cari al Cuore di Gesù.

E pregare dobbiamo, o miei cari, pregare incessantemente Iddio e la SS. Vergine per noi come per i nostri alunni, perché il giovanetto non viene corretto e fatto virtuoso, cristianamente parlando, che dalla grazia di Dio. Dove noi abbiamo fatto così, o miei cari, noi abbiamo ottenuto con la divina grazia, dei risultati più che soddisfacenti, meravigliosi.

Dio non si perde più dal cuore e dalla vita dei nostri alunni; e, se per qualche ora passa una nube a velarlo, Iddio presto riappare sull'orizzonte a illuminare la vita dei nostri ex-alunni. Noi abbiamo occupato tutto il loro cuore di Dio, tutta la loro giovane anima di Dio: la loro mente di Dio: noi lo abbiamo Iddio arato ben  profondo nella loro vita: è impossibile, direi, che possano più perderlo: Iddio, se anche sepolto, rinascerà.


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Abbiamo ex-alunni nostri che sono giudici modelli, pretori, ingegneri, sacerdoti, medici, avvocati, notai, farmacisti, negozianti, professori, proprietari onesti, laboriosi, cristiani, buoni padri di famiglia, consiglieri e sindaci: ne abbiamo un po’ dappertutto, anche qui in America, (ecco che un antico alunno, Console del Governo d'Italia in Columbia, mi scrive che colà vi è la colonia Italiana numerosa e senza un Sacerdote, e invita e ci apre le porte della Columbia), e per terra e per mare: io me li vedo davanti: tutti hanno Dio che illumina e conforta la loro vita, vivono stimati e contenti, e chi ha famiglia, trasmette Dio e la fede cattolica ai suoi figli. Noi abbiamo i figli del primo giovane che iniziò l'Opera della Divina Provvidenza. Sono famiglie cristiane che si formano; o sono Sacerdoti che hanno vita zelante ed illibata e tutti onorano la Provvidenza. Diamo grazie al Signore o miei figliuoli nel Signore! Gratias agamus Domino Deo Nostro!

Abbiamo dati molti Sacerdoti alla Chiesa, figli devoti della Chiesa e senttinelle ed araldi della fede: abbiamo dati molti buoni elementi alla società, perché si rinnovi cristianamente e cattolicamente.

Ma non siamo che alla prima ora della nostra giornata, non parlo di me oramai vecchio, ma della vita dell'Istituto nostro, che Dio misericordioso si degni coltivare, benedire e prosperare per la sua gloria e per la sua Chiesa. E noi faremo ancora molto, molto molto di più se terremo e metteremo sempre a base di tutto Iddio: se cammineremo


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alla presenza di Dio, come tanto ci ha raccomandato il Santo Padre Pio X, nell'udienza a cui ci ammise tutti, dopo la benedizione della Prima Pietra della Chiesa di Ognissanti: se lavoreremo non per noi, ma per Gesù Cristo non cercando “quae nostra sunt, sed quae Jesu Christi”: se penseremo di consumare così in Gesù Cristo la nostra vita, per l'amor suo!

Allora sì che meriteremo di ricevere poi dalla sua mano stessa la mercede, perché per Lui avremo lavorato, e Lui ci pagherà, com'è detto nelle opere di misericordia: “avevo fame e mi avete dato da mangiare: avevo sete, mi avete dato da bere etc.”. E noi gli diremo: “Ma quando mai, o Signore?”, e il Signore ci risponderà: “Ogni qualvolta avete fatto questo a uno dei più piccoli per l'amor mio, l'avete fatto a me: venite a ricevere quel premio che vi sta preparato “a constitutione mundi”.

Ma per educare così bisogna amare Dio: per istruire ed educare così bisogna avere caldo il petto di Dio: bisogna rendersi fanciulli con i fanciulli; “farsi piccoli coi piccoli sapientemente” com'è scritto sul Gianicolo, sotto la quercia del Tasso, parlandosi di S. Filippo Neri.

Bisogna non cercare la sublimità dei concetti, non la peregrina erudizione, ma spiegare con chiarezza le verità che vogliamo imprimere nella mente e nel cuore degli alunni, stare alla portata di tutti, e fare la scuola intendendo proprio di lavorare per conto


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di Dio e di compiere una delle opere più belle di misericordia.

In tutto quello che noi diciamo e insegnamo, con la parola e con l'esempio, dobbiamo fare risplendere la virtù e dimostrarla amabile e degna di essere seguita, coprendo il vizio di infamia, in modo da doversene avere tutto l'orrore che merita. E sopra tutto dobbiamo dare alla verità morale quell'infinita luce che divinizza, per così dire, le anime che in sé la ricevono, rendendole superiori a tutte le seduzioni del mondo per opera della grazia. E’ necessario quindi che i nostri alunni usino degnamente e frequentissimamente dei Sacramenti, per cui si riceve la grazia.

L'educazione ed istruzione della gioventù senza spirito religioso, ecco la piaga del nostro secolo”! Scriveva ai Direttori e Ispettori di America il mio venerato confessore Don Rua, del quale proprio in questi giorni si è iniziato il processo canonico nella Curia Arcivescovile di Torino, per farlo poi dichiarare Beato e Santo.

E nel 1899, dando norme e consigli, scriveva ancora ai Direttori Salesiani, parlando di Don Bosco: “La sua profonda conoscenza del cuore umano lo aveva reso persuaso che la confessione era il mezzo più efficace per trasformare i giovani già stati preda del vizio, e per preservare dal male gli innocenti. Penso che senza di essa sarebbero tornati di poco o nessun profitto i ritrovati della moderna pedagogia, ond'è che egli


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(D. Bosco) pose a base del suo sistema preventivo l'uso dei SS. Sacramenti”.

Quindi per il Ven. D. Bosco, non solo i Sacramenti sono le fonti della grazia ma, specialmente la confessione, ha un'efficacia grandissima per preservare dal male e per educare a vita onesta e cristiana la gioventù. E infatti subito il Sig. Don Rua aggiunge, sempre parlando di Don Bosco: “L'esperienza poi gli insegnava, ad ogni piè sospinto, che per rendere i suoi figlioli forti contro gli assalti del demonio costanti contro gli allettamenti del mondo, invincibili nelle lotte contro le passioni, era necessario che, nel Sacramento della misericordia, la mano del Sacerdote facesse piovere su di loro il preziosissimo Sangue del Redentore”.

Ecco dunque Don Bosco, l'apostolo della gioventù e mio venerato Padre e Maestro che pone i Sacramenti a suggello: essi danno, anche nell'opera educativa, l'efficacia al nostro povero lavoro.

La confessione non solo sia settimanalmente da noi frequentata, e la S. Comunione quotidianamente, ma la confessione e la S. comunione siano frequentissimamente consigliate ai nostri giovani. Ogni giorno sente il corpo il bisogno del suo cibo, e non sentirà l'anima il bisogno del suo Pane, del Pane vivo disceso dal Cielo, per essere a noi, come già scriveva S. Ignazio Vescovo e Martire, “farmaco d'immortalità”?

Il giovane sarà onesto, se sarà pio, se frequenterà bene i santi Sacramenti.



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Quindi alla domenica, fateli venire a Messa, anche gli esterni, ma non puniteli se non venissero: sempre confortateli a venire, e tenete conto, per un altro anno di chi non viene: vedremo poi insieme i provvedimenti da prendersi.

Però nelle altre pratiche di pietà usate discrezione e sobrietà,, e non stancate i ragazzi, e non si facciano dire due rosari dai ragazzi: le pratiche di pietà non bisogna renderle pesanti e uggiose: deve la religione essere come alto raggio di luce che illumina, che riscalda, che fa bene, che è desiderata e che dà vita: così dev'essere la pietà.

Le pratiche di pietà sono utili, sono necessarie, ma non dimentichiamo che sono mezzo, non fine: tutto in noi come nei giovanetti, pratiche di pietà, disciplina, studio, lavoro, dev'essere subordinato alla pietà solida cioè all'amore di Dio, alle virtù cristiane, alla vera santità, che non consiste nel dire: “Domine, Domine”, ma in fare, disse Gesù Cristo, “voluntatem Patrìs mei”! Curate l'ingegno, ma più coltivate la virtù; l'ingegno è superficie, la virtù è solido.

Ed ora vorrei ricapitolare, ma come fare, con  tante cose dette e ripetute e gettate là alla rinfusa?

Io prego per voi e specialmente in questi giorni sempre penso a voi, e vorrei esservi vicino per tutti confortarvi, specialmente i cari miei Chierici venuti qui da tanto lontano per salvare anime.

Ecco che Iddio, anche a voi cari Chierici, apre un grande campo di apostolato sublime, benché non siate ancora Sacerdoti. Voi lavorate già per Gesù Cristo e così la



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vostra fatica si fa dolce pensando che Dio vi sta vicino che tiene conto dei vostri sacrifici, Egli che ha detto che avrebbe tenuto conto pure d'un bicchiere d'acqua dato per amor suo. Amate Iddio e lavorate per Iddio, che grande sarà la vostra mercede in Paradiso e anche le soddisfazioni morali e le consolazioni su questa terra. Edificate Gesù Cristo nella vita dei giovani col vostro esempio. Quei che insegnassero la virtù non con l'esempio, ma solo con precetti, sono come ho visto a Venezia che fanno i Veneziani. A chi domanda la via rispondono: sempre diritto. Sempre diritto, sempre diritto, ma si volta ad ogni dodici passi per quei corti ed angusti calli. A conoscere tale dirittura ci vuole una guida: ci vuole l'esempio, esempio e un metodo: l'uomo senza metodo è infelice e senza metodo non si istruisce e non si educa. Esempio e metodo di pietà, esempio di umiltà, di fervore, di bontà religiosa, di unione fra voi, di dipendenza dai Sacerdoti nostri. E promuovete in essi giovani la vita sinceramente cattolica praticata ed un efficace amore allo studio colla santità e nobiltà della vostra vita, e con un grande amore a Dio, creando o formando in essi la coscienza e il carattere cristiano-cattolico, tutto d'un pezzo, granitico. Come il dovere non si adempie se non facendo più del dovere, e così bisogna essere più che cristiano, bisogna essere cattolico e papale per essere vero cristiano. Date loro l'abitudine d'un sentire alto e d'un pensare elevato, generoso, spirituale, ed educateli alla sincerità, alla rettitudine,



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alla purità d'intenzione, alla presenza di Dio, alla fuga delle ignobili azioni, degli ignobili compagni, delle ignobili e vane e pericolose letture. Ogni vostra parola ispiri loro quella gioia intima che fa pensare, che fa dilatare il cuore, che fa piangere! Date buone nozioni sull'uso del tempo, sulla fuga dell'ozio, sul lavoro come legge e come dovere impostoci da Dio. Preghiera e lavoro! diceva Don Bosco. Gesù ha lavorato, tutti dobbiamo, o in un modo o nell'altro lavorare: nella natura non c'è ozio. Molto gioverà se vedranno che possedete bene e perfettamente le materie d'insegnamento: se vi vedranno studiare e prepararvi sul serio. Allora i giovani avranno subito di voi altri, cioè dei vostri insegnamenti, grande stima, e, per conseguenza, grande stimolo a studiare e a fare bene. Sant'Ambrogio che fu prima governatore e poi grande Vescovo di Milano e grande Padre della Chiesa, nel Trattato “De Virginibus” dice parole che io posso ora ben applicare al caso vostro, o miei figli: “Primus discendi ardor nobilitas est Magistri”.

L'ardore lo dovete infondere voi, con spirito vostro, con la nobiltà vostra, con la vostra virtuosa e religiosa condotta, col far sentire tutto il dovere cristiano dello studio, la delizia dello studio, la bontà dello studio, il premio di ogni lavoro fatto secondo la fede e la coscienza cristiana e civile. Ma lo slancio più efficace e più duraturo lo avranno sopra tutto dalla vostra virtù.

Trasformate in voi ed in essi il lavoro in virtù, come dev'essere e come realmente


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è: quando il lavoro è santificato, il lavoro diventa preghiera: oportet semper orare, cioè anche lavorando, e il lavoro allora santifica veramente la vita. E poi pregate ancora Iddio che avvalori le vostre povere fatiche, le vostre sollecitudini.

E poi ancora - ah! questo non bisognava, no, dimenticarlo - e poi una tenerissima e filiale devozione, alla Madonna SS. e alla S. Chiesa di Roma. E qui finisco: sono stanco.

O Signore, benedite voi, queste righe!

Oh! quanto, quanto bene farete, o miei figli, camminando attaccati alla Vergine Celeste, alla nostra Madre Fondatrice! Quanto, quanto bene farete alle anime dei giovanetti, se accenderete nei loro cuori, la lampada dell'amore alla Madonna benedetta! Quanto bene farete, o figli miei, se farete così! In mezzo ai disgusti e disinganni amari della vita, i nostri alunni non troveranno pensiero più consolante che ricordarsi della Madonna e di rifugiarsi tra le sue braccia.

E qui non so, non devo finire, senza raccomandarvi anche molto l'igiene, il portamento decente e decoroso e la nettezza in Casa, come addosso e nelle scuole.

Gente sudicia non ha intero il senso della virtù. La decenza delle vesti e del portamento è una tacita assicurazione del nostro rispetto verso le persone che dobbiamo avvicinare. Dobbiamo portare dappertutto un'attitudine più decente, più composta, più dolcemente cristiana e religiosa: anche questo educa ed edifica in Cristo.



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E qui finisco davvero. Vi abbraccio tutti spiritualmente nel Signore e vi benedico tutti, voi e tutti! Datemi vostre notizie. Non vogliate distruggere questa lettera, che desidero poi rivedere per rifonderla e mandarla alle Case.

Figliuoli miei, molti spendono la vita nel male, e sono i figli delle tenebre, in che la spenderemo noi che siamo e dobbiamo essere i figli della Luce e della Verità? Facciamo del bene davvero e spendiamoci tutti nell'amore di Dio e del prossimo, e facciamolo, il bene, per l'onore della nostra madre, la Chiesa, e facciamolo, il bene, bene!

La lontananza non mi divide da voi: più sono lontano e più sento di amarvi in Gesù Cristo. Io sono con voi sempre con tutto il mio spirito, io vivo in mezzo a voi e grande grazia di, Dio è questa che mi fa vivere e consentire insieme nella comunione vostra del bene: “Particeps ego sum omnium - filiorum meorum - custodientium mandata tua Domine”!

Vi metto nelle mani della Madonna e di San Giuseppe.

Abbraccio spiritualmente ed in “osculo Christi” i Sacerdoti e li benedico insieme con ogni singolo Chierico e giovane, orfani e non orfani.

Gratia Domini nostri Jesu Christi cum spiritu vestro.

Orate pro me!

Vostro in Gesù e in Maria SS. aff.mo come Padre in Cristo


Sac. Luigi Orione

dei Figli della Divina Provvidenza