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[Dal Numero Unico “L’Apostolato della Carità” - S. Caterina da Genova e il Piccolo Cottolengo - 2 Maggio 1926 - Quarto dei Mille (S. Gerolamo)]

Santa Caterina di Genova.

Nascita e fanciullezza di Santa Caterina.

Santa Caterina di Genova è nata nel 1447. Suo padre fu Iacopi Fieschi, che morì viceré di Napoli, sotto Renato d’Angiò, re di Sicilia.

Ella venne dai genitori educata con ogni diligenza nel santo amore di Dio. Fanciulla ancora, risplendeva in essa una meravigliosa modestia; le sue orazioni erano fervorose, il suo naturale dolcemente sereno: il cuore ardente e puro.

Pendeva dalle pareti della sua camera una Madonna della Pietà, e spesso Caterina levava lo sguardo a quella effigie benedetta, e le si accendeva in cuore un vivissimo desiderio di patire per amore di Gesù che vedeva là morto in grembo alla Madre dei dolori.

E, sprezzando gli agi della casa paterna, cercava mortificare il suo corpo, passando di nascosto le notti sulla nuda paglia, e per guanciale teneva un pezzo di legno ruvido e scabro.

Ma se la pia fanciulla riusciva ad occultare le asprezze delle sue penitenze, non sempre le veniva fatto di poter celare quella fiamma di amore serafico verso Gesù onde tutta avvampava.

E un giorno le accadde che, guidata da straordinario fervore di spirito, sentì penetrarsi il cuore come da un dardo celeste, e dolcissime lagrime si videro scendere dal suo volto verginale. La sua vita era un profumo di virtù.

A tredici anni risolvette di abbandonare il mondo, e seguire una sorella sua, Limbania, che, entrata nel monastero di Nostra Signora delle Grazie in Genova, vi si distingueva fra le altre religiose per saviezza e pietà.

Ma Caterina era sì giovane che non poté esservi ammessa.

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Il suo cuore ne fu allora indicibilmente afflitto, quantunque in tutto rassegnata ai voleri di Dio. La Divina Provvidenza disponeva diversamente di Lei.

La sposa martire.

Il padre le era morto, e ella avea omai 16 anni. I parenti, non tenendo conto della sua inclinazione, vollero darle marito. Lotte diuturne e sanguinose tra le fazioni dei Fieschi e degli Adorno avevano fatte rosse di sangue le vie di Genova.

Le discordie erano appena sedate. A maggiormente stabilire la pace tra le due famiglie, i parenti di Caterina risolsero di darla in isposa a Giuliano Adorno, che ne aveva chiesta la mano. La pia donzella non osò contraddire, e venne sacrificata.

Iddio le andava preparando in quel matrimonio una croce pesantissima con cui seguire le orme del nostro Divin Redentore Gesù Cristo.

Giuliano Adorno era una testa bizzarra, e d’indole dura e selvatica. Vago oltremodo dei sollazzi e pieno di ambizione, le portò mille rammarichi nei dieci anni che vissero insieme. Ella però li sopportò con ammirabile pazienza anzi trovò modo di volgerli alla maggiore sua santificazione.

Giuliano colle sue profusioni dissipò i proprii beni e quelli ancora della sua sposa; ma Caterina si sentiva assai meno afflitta di quella perdita che non per la vita scapestrata del marito.

Le lagrime furono suo pane e dì e notte.

E per di più egli la indusse a rallentare il fervore della pietà e a lasciarsi andare ad una vita di dissipazione e di donnesche vanità. Ma nel cuore ella aveva pur sempre una lotta viva, che finì di non reggere più, sì che, andatole a nausea le delizie del mondo, diventò insoffribile a se stessa, ed entrata un giorno nella chiesa di San Benedetto, pregò istantemente che le volesse mandare anche una malattia pur di essere ricondotta a Dio. E il Signore la ascoltò.

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Anche le sue preghiere per la conversione del marito furono alfine esaudite. Giuliano, rimessosi dai suoi traviamenti, ne fece penitenza, entrò nel terz’Ordine di San Francesco, e morì coi più vivi sentimenti di religione.

Rinascita Spirituale.

L’Altissimo ebbe pietà di Caterina.

La accolse pentita, mentre, prostrata ai piedi d’un confessore, piangeva inconsolabile, dicendo al suo Signore: “Non più mondo, o Signore, non più peccati!” E fu allora che le apparve Gesù. Era tutto una piaga, con la fronte coronata di spine, il costato aperto e le spalle curvate sotto pesantissima croce. Versava poi rivi di sangue, e pareva che di quel sangue la casa ne andasse inondata.

Ond’ella era forzata a gridare: O Gesù amore, mai più, mai più peccati!

La vedovanza.

La Santa, disciolta dai nodi che riteneanla nel mondo, risolvette di non vivere che per Iddio e pel prossimo, decidendosi per la riunione della vita attiva e contemplativa.

Da quel giorno Caterina fu tutta penitenza e carità. Con l’aiuto della grazia, rinnegò se stessa. Si diede all’orazione, ed operò con allegrezza ciò che l’umanità abborre; e Iddio la confortò dandole chiarità di spirito e piena vittoria di sé.

E le prime norme di perfezione con le quali il divino Maestro istruì quest’anima grande furono:

1. Non dire mai voglio, o non voglio.

2. Non dire mai mio, ma nostro.

3. Non ti scusare giammai in cosa alcuna, ma sii sempre pronta ad accusarti.

E poi le aggiunse: Confermerai la tua volontà alla volontà divina, e sia tuo motto: Fiat voluntas Dei!

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La volontà di Dio è bene sì grande, che non ve ne può esser altro da mettergli a confronto.

Apostolato di carità.

In quei tempi il Magistrato della Misericordia di Genova deputava alcuni nobili matrone al sollievo dei poveri, specialmente di coloro che non osano, per rossore, di andar mendicando. Vedendo quelle Dame la luce di carità che spandeva Caterina, la invitarono a praticare con esse l’apostolato della carità, e a servir Dio nei poverelli.

Aprite il cuore, o voi che piangete, e benedite alla provvidenziale e santa soccorritrice dei miseri!

Charitas Christi urget nos! Ecco il focolare della carità vera, disinteressata, magnanima. Quando Gesù entra in un cuore, quando un cuore è tutto di Dio, è anche tutto del prossimo. E allora abbiamo l’Apostolato della carità. Santa Caterina da Genova fu di Dio e fu tutta beneficenza e amore verso dei poveri, e ineffabile missionaria della carità.

La carità è il precetto del Signore, è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo.

La carità ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri.

Essa opera prodigi di abnegazione e di amore alla culla degli orfanelli, nelle suole dei sordomuti, al letto dei poveri infermi, nelle camerate dei deficienti e idioti, nel sorreggere i vecchi. A tutte le umane miserie, dall’infanzia alla decrepitezza, essa accorre, ministra di Dio, paziente e benigna, soave e dolce, forte, umile e costante. Così è la carità di Gesù Cristo: sempre lieta, sempre infaticata, sempre silenziosa, sempre affocata; è la carità che si fa tutta a tutti, e tutti edifica e tutti conforta e tutti vivifica in Gesù Cristo.

E così fu la nostra grande Santa, o genovesi. Essa fu eccelsa serafina d’amore di Dio, e per questo fu un’instancabile missionaria di carità.

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La Madre dei poveri.

Ella andava per Genova in cerca dei poveri infermi, visitava or questo or quel misero, e, nel fiore dei suoi anni, sentendo quanto è utile all’anima lo star con i derelitti e conversare con loro, vedendo negli abbandonati le membra di Gesù Cristo, li amò, amando in essi il suo Dio.

O dolcissima e divina carità!

E maggiormente Caterina si deliziava quando poteva occuparsi in servizio dei malati e dei vecchi più schifosi, de’ lebbrosi, de’ cancrenosi, di quelli pieni di piaghe.

Voi l’avreste veduta raccolta, modesta negli occhi e in abito dimesso andare per le strade e le piazze sempre in cerca di fare del bene. Saliva le oscure soffitte, dava pane agli affamati, vestiva gli ignudi, rifaceva i letti, nettava le immondizie, raccoglieva tra le sue braccia le povere malate, e con un sorriso e tenerezza di madre sollevava i corpi e dava consolazione ai cuori.

O mura del Pammatone, asilo di pietà e di dolori, che per tanti anni foste ampio campo ove poté disfogare la sua carità affocata Santa Caterina, perché non parlate.

O lunghe corsie dell’ospedale di San Lazzaro, ove erano fanciulli, adulti, vecchi, uomini e donne: ove a centinaia giacevano i poveri infermi ricoperti di pustole e di schifosissimi mali, che al sol vederli mettevan ribrezzo, non eravate voi l’estasi di Santa Caterina? Ella medicava le piaghe, bevevasi i miasmi, esercitava con islancio di insuperabile e materno amore ogni ufficio più umile.

Non di solo pane...

Agli infastiditi dal male, che spesso erompevano in parole di disperazione e anche in ingiurie contro di lei, Caterina con pazientissima soavità rivolgeva parole di rassegnazione e di speranza.

Non di solo pane vive l’uomo, ha detto Gesù Cristo. È nulla dare un tozzo di pane o un vestito: più che di letto, di medicine, di materiale assistenza i miseri spesso hanno fame

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d’una parola buona che li rassereni e li conforti. E non è che la Santa, aborrendo naturalmente le umane miserie, non provasse anch’essa ripugnanza ad accostarsi a certi giacigli, a raccogliere logore e sudicie lenzuola, a curare febbri pestilenziali e fracide piaghe; ma la carità di Cristo è trionfatrice di tutte le difficoltà, essa supera la natura. E beate le anime che si sarebbero fatte vittime della carità, - ad esse dirà Gesù Cristo: “Qualunque cosa avete fatta a questi minimi, l’avete fatta a me stesso”.

Rettora di Pammatone.

E, perché più segnalato si rendesse l’apostolato della carità di Caterina verso gli infermi, Iddio ispirò i nobili, che avevano il governo dell’Ospedale Maggiore di Genova, cioè di Pammatone, d’invitare la Santa a voler estendere permanentemente verso gli ammalati dell’ospedale quel bene che ella già da più anni sapientemente andava svolgendo a sollievo dei poveri e malati dispersi per la città.

Non v’era persona di buon senso che non fosse presa da meraviglia nel vedere una sì gran dama, di fresca età, ben fornita di ereditarie sostanze, discendente dal più alto patriziato Genovese, vestire poveramente, farsela coi miseri, intraprendere fatiche, sacrifici inauditi in servizio degli afflitti, privarsi di ogni ristoro: sempre pronta a correre in soccorso di tutti: sempre esatta, fatta serva delle serve stesse di Pammatone per l’amore di Cristo benedetto. Solo i ministri dell’ospedale permise Iddio che, per gelosia o altri bassi motivi, ben sovente la dileggiassero.

Lo zelo di Caterina era forse un troppo vivo rimprovero alla loro tiepidezza. E quindi trascorrevano nel dire contro di Lei: biasimavano il suo modo di operare, la criticavano, la insultavano anche volgarissimamente, e cercavano stancarla, coprendola di ingiurie. Tutto misero in opera per avvilirla, e allontanarla dall’ospedale. Ma essa, a somiglianza di Gesù, taceva, perdonava, pregava per loro.

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Però quando mancavano di rispetto alla nostra Santa i ministri di Pammatone, altrettanto la circondavano di stima e venerazione i patrizi dai quali quest’istituzione di carità dipendeva: Essi vollero anzi conferirle il governo di quel luogo pio, onde la Santa venne costituita Rettora di Pammatone.

Questa onorevole carica non mutò punto il suo tenore di vita, né rallentò gli esercizi della sua pietà. In mezzo a tanto lavoro, essa era sempre serena. Ognuno stupiva nel vederla passare molte ore nell’orazione, mentre mai accadde che dimenticasse di provvedere a ciò che richiedeva il suo ufficio. Nello spazio di più anni passarono per le sue mani grosse somme di danaro, e mai che nei conti occorresse un benché minimo errore.

Santa Caterina fu modello di amministratrice e vera tutrice della beneficenza pubblica. Tutte le sostanze dell’ospedale stavano depositate nelle sue mani: essa spenditrice, essa cassiera, essa presidente e segretaria, e nemmeno un soldo andò perduto. Quale nobile esempio! Ma l’amore di Santa Caterina per i poveri si mostrò principalmente nella pestilenza che negli anni 1497 e 1501 afflisse Genova. Essa fu il vero conforto degli appestati, risoluta e felice di sacrificare per essi la vita.

Penitenze - Unione con Dio.

Le austerità di Santa Caterina erano così aspre da mettere spavento. Ella si era talmente avvezzata al digiuno che passò ventitré Quaresime e altrettanti Avventi senza prendere cibo di sorta. Riceveva soltanto la Comunione, e beveva di tratto in tratto un bicchier d’acqua con aceto e sale.

Aveva Caterina un sì vivo desiderio di unirsi al suo Gesù col partecipare all’Eucarestia, che portava una santa invidia ai sacerdoti. Avvenivale anche spesso, dopo la Comunione, di essere levata in estasi. Nel trasporto del suo amore, ella invitava le creature stesse inanimate a benedire e lodare Iddio, come già San Francesco d’Assisi.

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Il pio Cardinale di Berulle diceva di non poter ammirare abbastanza il puro amore che Santa Caterina aveva verso Dio e verso i poverelli.

Ella non cercava mai di scusarsi, quando le si faceva qualche rimprovero, anzi era sempre pronta a condannare se stessa. Il compimento della volontà di Dio era l’unica meta dei suoi desideri, e perciò aveva preso per divisa: Che la vostra volontà sia fatta sulla terra, o Signore, com’è in cielo!

Nel suo Trattato del purgatorio e nel Dialogo spirituale, oepre non adatte alla comune dei lettori, la Santa insiste particolarmente sulla necessità di quella mortificazione totale e di quella umiltà perfetta, che avevn portato in lei l’amor di Dio a grado sì sublime.

Amore alla Madonna e alla Chiesa.

Frutto prezioso dell’amore a Gesù è il tenero amore a Maria Santissima.

Oh quanto fu mai grande in Santa Caterina la divozione alla Vergine celeste!

Genova è la città della Madonna, e la nostra Santa fin da fanciulla si era particolarmente consacrata a Maria; a Lei si rivolgeva in ogni bisogno e, si può ben dire, ad ogni ora, e dalla Madonna otteneva speciali lumi e conforti, e da lei ripeteva quel celeste dono di carità per cui il suo cuore venne incenerito dal divino amore. Quando Caterina parlava di Maria, Madre di Dio, il suo volto si faceva raggiante e svelava qual vampa di affetto le ardesse in cuore verso la più degna di amore fra tutte le madri.

La devozione alla Santa Madre del Signore le giovò poi grandemente a ricondurre molti peccatori sulla buona strada, e a preservare tante giovani dal traviamento.

Nulla faceva senza invocare la SS. Vergine, Madre di misericordia e di consolazione. In Maria essa additava il canale di tutte le grazie, e beati chiamava quelli che si abbandonano nel le mani della Madonna.

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Santa Caterina fu pure umile figlia della Chiesa. Per il Papa, e per i Vescovi e sacerdoti per la Santa Madre Chiesa, che non avrebbe ella fatto? Oh con quale dolcissimo amore avrebbe voluto versare il suo sangue per la fede e per il Vicario di Cristo!

Ogni giorno spargeva le sue preghiere e le sue lagrime sulla Chiesa purgante ad estinguerne la fiamma, e sulla Chiesa militante per la dilatazione del regno di Cristo, per confortarla ed affrettarle la vittoria e la pace.

Santa morte.

Santa Caterina morì ai 14 di settembre del 1510, in età di 63 anni, consumata in perfetto olocausto di carità, dopo lunga e dolorosissima malattia.

Ella è morta accennando col dito il cielo, e passò dal mondo, come Gesù, non facendo che del bene. La sua vita fu un cantico di amore al celeste amore. Per tutta Genova fu un subito e universale commovimento. E chi la vide, bianco vestita, volarsene in paradiso, e chi per alte vie salire e inabissarsi in Dio amore.

La sua santità fu subito attestata da molti miracoli. Diciotto mesi dopo la sua morte fu dissotterato il suo corpo e trovato morbido e flessibile, senza alcun segno di corruzione. Venne solennemente canonizzata da Papa Clemente XII, nel 1737.

Santa Caterina e il Piccolo Cottolengo.

Da molti anni nella Chiesa di S. Gerolamo in Quarto si festeggia con grande pompa Santa Caterina, qui, dove fino a pochi mesi fa erano le Figlie di Casa, che la onorano quale loro protettrice. In S. Girolamo poi vi sono le tombe dei parenti della Santa, sia dei Fieschi che degli Adorno, e c’è chi dice che vi sia pure sepolta la madre della Santa.

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Trasformato l’ex - Conservatorio di San Gerolamo in una sezione del Piccolo Cottolengo di Genova, istituzione che, sotto le ali della Divina Provvidenza, raccoglie ogni sorta di poveri, di malati, di infelici, ragion voleva che la Santa continuasse ad avervi culto ed onori singolari. Il Piccolo Cottolengo sarebbe anzi la casa ideale di S. Caterina, che fu la vera madre dei poveri, aralda e capitana in Genova dell’apostolato della carità verso tutti i derelitti, verso tutti quelli che hanno un dolore!

Oh! si levi oggi la nostra grande concittadina e venga col suo spirito d’amore di Dio e del prossimo, venga dal paradiso qui al nostro caro Piccolo Cottolengo che la proclama suo Angelo tutelare e sua patrona. Questa umile opera di carità, questa casa di poveri, di malati di vecchi, di orfanelli è il posto suo, come i miseri furono il suo ideale, l’apostolato di tutta la sua vita: sì, Gesù e i poveri, ecco i sacri amori di santa Caterina da Genova.

Hanno bisogno le nostre malate, i nostri cari vecchi, i nostri orfani di contemplarla la loro Santa, di sentirsela vicina, sempre viva, sempre pietosa sempre Madre e Apostola di carità.

Hanno bisogno del conforto della Santa e della celeste protezione i sacerdoti, le suore missionarie della carità, le Figlie della Madonna della Guardia e tutte le anime generose dei benefattori che coadiuvano e concorrono pel Piccolo Cottolengo.

Noi vogliamo, in umiltà, alimentare in noi, col divino aiuto, quella fiamma d’apostolato verso i poveri e gli afflitti, onde era affocata Santa Caterina, e che le benedette sue opere non abbiano fine, ma che si prolunghino nei secoli come il soave cantico della carità cristiana e genovese!

Fate, o cara nostra Santa, che in noi spiri e avvampi sempre l’amore di Dio e dei poverelli!

Deo gratias.

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S. Caterina ed Ettore Vernazza.

Ettore Vernazza, uomo di singolare stima nella Repubblica di Genova, seguendo i consigli e gli ammaestramenti di Caterina, fece grande profitto nel cammino della virtù. Abbandonato ogni mondano interesse, si diede tutto a procurare l’onore di Dio e il bene del prossimo, fondando ospedali e altri luoghi pii. Delle caritatevoli opere di lui ancora si conservano le memorie nelle principali città d’Italia.

Egli fu uno dei primi che fondarono l’ospedale degli Incurabili in Roma, e già ne aveva eretto uno simile in Genova sua patria, dove parimenti fondò due monasteri, uno per le Convertite e l’altro di San Giuseppe, per sottrarre le povere fanciulle dai pericoli del mondo.

Nella città di Napoli egli costituì la Compagnia dei Bianchi, che esercitava il caritatevole impiego di confortare e accompagnare al patibolo i condannati a morte.

Diede anche principio al Lazzaretto di Genova a beneficio degli appestati, e assegnò grosse rendite pel mantenimento del medesimo.

E quando la città di Genova fu sorpresa da morbo contagioso, il Vernazza sacrificò la sua vita in servigio di quei malati, morendo carico di meriti all’ospedale degli Incurabili, dopo averlo lasciato erede delle sue sostanze.

Tutte queste e più altre meravigliose opere di beneficenza e di pietà, furono frutti di quella carità e tenerezza somma verso i miseri che dal cuore ardentissimo di Caterina si diffuse ad infiammare quello del suo spirituale e ubbidientissimo discepolo.