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[Da Copia dattiloscritta]

Palmi, 10 - 1 - 1910.

Egregio Signor Direttore,


Vi scrivo da Palmi, dove fui mandato da Monsignor Morabito per la cura dei feriti, alloggiati sotto le tende della Croce Rossa, e per la distribuzione dei viveri ai superstiti.

Palmi era una cittadina vasta come Tortona; ora di essa non vi rimane che un cumulo di macerie.

Io vi entrai il giorno 6 Gennaio, unendomi alla squadra dei Chierici e dei Preti della Diocesi di Mileto, che fino dal primo giorno accorsero sul luogo più sventurato di questa Diocesi.

Mi pareva di entrare in un grande cimitero seminato di cadaveri, orrendamente disfatti: il pianto e le grida disperate mi ferirono e mi strapparono le lagrime.

Palmi è totalmente rovinata: bisognerà bombardare gli ultimi avanzi di muri pericolanti e poi pensare a trasportare altrove i poveri superstiti.

Questi sono ora raccolti nelle baracche di legno costruite in occasione del terremoto del 1905 e nelle altre poche che si poterono impiantare nei passati giorni per opera del Governo, dei vari Comitati e di benefiche persone private.

Noi Sacerdoti dormiamo in una baracca fabbricata in mezzo alla piazza con del legno spedito premurosamente a Monsignor Morabito dal Vescovo di Verona: ci adagiamo su poche tavole (poche per risparmiare quante si può per altri infelici) ci gettiamo addosso qualche coperta e poi si dorme poche ore, o meglio si sta coricati, perché dormire è impossibile.

Oggi, essendo Domenica, la povera baracca fu convertita in pubblica Cappella: alle dieci celebrai io stesso la Messa sulla porta a tutta la popolazione.

La fede di questo popolo mi commosse profondamente; quelle preghiere così vive, così pietose, quei canti così mesti e poi quelle esclamazioni, che udivo orda una or dall’altra parte!

Erano poveri uomini restati soli senza famiglia; qualche fanciullo che chiamava la propria madre; una vecchia quanta compassione mi fece! Aveva due figli, tre figliuole, e dieci nipoti, tutti giovani e forti; e la morte ha preso i giovani e i forti e ha lasciata la













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povera e debole vecchia a piangerli sola sulla terra!

Li chiamava per nome ad uno ad uno dai più grandi ai più piccoli e poi, vinta dal dolore, finiva per cadere ginocchioni a piangere: Povera vecchia sola! Finita la Messa ho portato il Santo Viatico ad un’altra donna moribonda in una baracca vicina. Fu una scena da impietosire i sassi; risparmiatemi il dolore di descriverla. I nostri lettori la possono bene immaginare.

La mia occupazione è ora quella di dirigere una cucina economica, preparando e distribuendo mattino e sera brodi e minestre in una zona della città.

Vi è con me un Chierico di questi luoghi e due soldati del Comando Militare, che mi fanno buona compagnia.

Ci sta attorno tutta una turba di gente, aspettando che la minestra sia cotta, che il brodo sia fatto; una turba di affamati che si spingono, gridano, imprecano, per arrivare i primi, a sedare la fame. All’ora fissata giungono in tempo sei soldati con la baionetta in canna per tenere un po’ d’ordine; ma la confusione non diminuisce per questo; colla fame non si ragiona. Chi mi spinge da una parte, chi mi tira dall'altra. Ho, la veste tutta imbrodolata, sporca, lacera, e quante porzioni di minestra mi fanno spargere inutilmente, mentre si muore di fame.

Don Orione continua a raccogliere orfani e trova buone accoglienze presso i Vescovi: ora egli è a Reggio; ma ha dovuto soffrire anch'egli lunghi viaggi e intemperie d’ogni genere: che Iddio lo benedica! Forse avrete da Lui altre notizie.

Mi scusi Signor Direttore, di questi due scarabocchi, gettati giù in fretta, rubando un po’ di tempo al breve sonno della notte, e mi creda

Suo Aff.mo


Sac. Carlo Pasquali

parroco di Perleto.


Don P. Albera......... fu davvero il primo potente aiuto che arrivò a Messina.

Parlarono di Lui quasi tutti i Quotidiani: ecco che cosa ne dice il “Corriere della Sera”: “L’arrivo del Sacerdote Paolo Albera, un giovane tortonese pieno di ardimento, accorso da Bagnorea, appena si accorse dell’entità del disastro, segnò un grande incoraggiamento per i Sacerdoti Messinesi.

Egli d'accordo coll'Onorevole Micheli, col Conte Zileri e col collega Fratta si pose alla testa del Comitato di Soccorso, l’unico che sia sorto in Città, il quale fornisce













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pane, coperte, biancherie, ecc. dà indicazioni, concede appoggi presso le autorità, si sforza in una parola di aiutare i più umili a superare le gravi difficoltà del momento”.