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Messina, il 29 / XII [1]910.

Eccellenza Rev.ma, [Mgr. Cottafavi]

Ricevo il Suo gradito biglietto, e La ringrazio, anche da parte dei miei religiosi, della Sua grande bontà.

Ella mostra desiderio di conoscere le nuove noie che cerca darmi la Pro - Zancla; di per me non l’avrei fatto, ma compio di buon grado il suo desiderio.

Ecco dunque: la mattina della vigilia di Natale venne Don Albera, e mi disse che aveva incontrato Schirò, il Segretario di Freni, al quale aveva detto che per l’albero di Natale era a loro disposizione il salone del Segretario del Popolo.

Vide però che di ciò non erano contenti e Schirò gli disse che si voleva darmi querela, e gli raccontò che la sera avanti i nostri giovani avevano tirato un sasso al di là, nella palestra, e colpito ad un occhio uno di loro.

Io mi meravigliai, e capii che era proprio il caso di ripetere: " il diavolo fa le pignatte, ma non fa i coperchi, ", poiché la sera prima, nessuno dei nostri ragazzi e di noi si era riunito là, neanche per pochi minuti; non si era fatta la consueta scuola serale, e neanche nel pomeriggio, poiché tutti delle nostre scuole erano stati riuniti nel dopo pranzo e di sera qui alla Chiesa per disporli a confessarsi pel Natale, e per confessarli.

Interrogai subito anche i miei che vanno a dormire laggiù, e nessuno seppe dirmi niente; essi erano andati a dormire dopo le dieci pel lavoro prolungato che c’era stato qui per le confessioni.

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Qualche ora dopo, in Curia, seppi che si andava gonfiando e creando una vera montatura a base di denigrazioni.

Andarono anche dai carabinieri, e venne qui, in mia assenza, il brigadiere, il quale sentito come noi là neanche c’eravamo, ci disse di stare tranquilli, che solo chiudessimo bene la porta, la quale era aperta.

La porta era stata chiusa più volte, e poi forzatamente aperta, non sappiamo da chi, asportandone più volte fin la stanga.

Ora venne chiusa, ed anche inchiodata con travi, e se non adopreranno la scure o il fuoco non potranno aprirla.

Intanto nel pomeriggio, sempre della vigilia, vennero qui due giovanetti che potevano avere dai 16 ai 18 anni, e una donna con un ragazzo, bendato ad un occhio.

Essendo la vigilia di Natale, io era molto occupato, e aveva detto ai miei di lasciarmi lavorare, e se veniva gente di sentire essi di che si trattasse, e di sbrigarli loro.

Ma quella brava gente si mise a gridare che voleva parlare con me, e attraversò il cortile gridando e minacciando, uso meridionale.

Fatti entrare, ed invitati dal Maestro Negro a voler dire il loro nome, si rifiutarono di dire chi erano.

Io andai lo stesso, aveva ben capito di che si trattava.

Parlò uno dei giovanetti, il più infuriato: pareva un vero energumeno: lo conobbi per uno della Pro - Zancla, a capii che era mandato per suscitare escandescenza; e lo stetti ad ascoltare in gran pace: non c'è miglior modo con certi individui che stare tranquilli a sentirli, e non infuriarsi quando essi vogliono ad ogni costo fare del fracasso e degli scandali.

Egli dunque cominciò ad inveire, e la madre del ragazzo bendato (tale capii che doveva essere quella donna) insieme con lui: dicevano nientemeno che ero io che avevo ridotto il ragazzo in quello stato.

Che essi, se ci dava del danaro, bene, diversamente lo facevano visitare da un medico, e mi davano querele.

Ho loro risposto che io non sapeva nulla, che si calmassero: che poteva ben essere che qualche ragazzo avesse tirato qualche sasso entro la palestra, come ne tirano di frequente anche da noi; ma noi non ci eravamo, nè i nostri giovani c’erano, - che noi non c’entravamo affatto; tuttavia io mi mostrai dispiacente che quel fanciullo fosse stato, come essi dicevano, colpito da un sasso.

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Il fanciullo tacque sempre.

Essi insistettero per avere danaro, minacciando in modo più violento e con parole indegne di ricorrere ai tribunali.

Ho ancora risposto: che se essi credevano usare della legge, ne erano padronissimi, andassero pure avanti, che io ci sarei andato dietro.

E siccome ciò non ostante il giovanotto diceva parole ingiuriose, lo invitai con calma a venire con me; lo condussi fin vicino alla porta di uscita della casa, e poi gli dissi, sempre con molta calma: questa è la mia casa, e questa ne è la porta d’uscita; non si offenda, ma favorisca uscire, finché non abbia imparato un po’ più d’educazione; quando è fuori, faccia quello che crede.

Egli allora non ci vide più, e disse parole di maggiore oltraggio sino ad invitarmi fuori per farla a botte: io lo guardai calmo con un senso di pietà; se, invece che sono Sacerdote e cristiano, avessi solo ascoltato l’uomo vecchio, gli avrei lasciato andare due scapaccioni da farlo pirolare per mezz’ora; era un imberbe giovincello, magro e lanternuto, che farebbe meglio a curarsi la salute che a vivere di livore così, ma il livore è in questi poveri giovani alimentato e inocutato da Freni.

Egli aveva fatto di tutto per provocare, o per indurmi a dargli il Padiglione; io lo avevo ben capito, e non dissi più altro, e mi ritirai.

Essi uscirono facendo voci che volevano dare bastonate, e il giovane, che aveva insultato tanto, gridava: ecco questi forestieri che sono venuto a resuscitare Messina.

Da queste parole Ella, caro Monsignore, comprende bene da chi erano mossi e mandati qui.

Da quel giorno io non seppi più nulla, nè ebbi finora altre noje; qualunque cosa avvenga non mi turberò con la grazia di Dio: alios vidi ventos aliacque procellas!

Sono qui per fare la volontà del S. Padre che è la volontà di Dio: so di camminare in mezzo alle insidie, ma confido che la Madonna Santissima la Quale vede il sacrificio che io faccio di me e della Congregazione per amore di queste anime, mi otterrà non solo di vincerle, ma di vincere, con la preghiera e con l’annichilimento anche di me stesso, il male col bene.

Comunque, sarei ben lieto pro Iesu et Ecclesia contumeliam pati.

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E pensare che io finora non aprii laggiù una specie di pensionato per giovani studenti, perché i primi a farne domanda e ad entrare sarebbero stati Salvatori e altri di quei 21, che si divisero da Freni; e al momento ho sospeso per non sembrare di fargli come un contr’altare e una sgarbatezza!

Là intanto oltre al Dopo-Scuola, si fa anche Scuola Serale a oltre 50 giovani grandi; e alla Domenica si ritirano i banchi e vi si dice la Messa, e vi si fa del bene e si empisce di

popolo; laggiù verso mare grosso vi era molta popolazione che reclamava una Chiesa, e ora l’ha, e vi è anche il Catechismo ai fanciulli e il Vangelo; intanto sto facendo le pratiche con un certo Sigr. Vadalà per poter aprire una Sua Cappella in muratura che esiste un po’ più in là, forse l’affitterò.

Questa lettera ormai è venuta troppo lunga, ma in altra mia Le dirò del bene che il Signore va compiendo qui con la S. Missione: a Natale, oltre i giovani, abbiamo avuto quasi 640 S. Comunioni, delle quali ben 200 saranno stati uomini.

Ogni giorno poi sono 4 o 5 concubinati che si levano; l’altra sera ne abbiamo sposato 7 coppie, una era da 23 anni, e con 5 figli.

Il secondo figlio prese l’anello dal piattino, e lo diede a suo padre perché lo mettesse nel dito a Sua Madre; assistevano tutti i figli, - e i genitori e anche i figli si fecero la S. Comunione la mattina.

Noi siamo stanchi morti, ma molto consolati.

Mgr. Arcivescovo è ritornato, e mi disse che ha parlato col S. Padre, e che gli disse di continuare così come finora.

E io ho detto lietamente di sì, in Domino di dentro e di fuori: tutto come piace al S. Padre.

Vostra Eccellenza ne sa qualche cosa? e può dirmene qualche cosa, per mia norma, come si misero le cose?

Sua Eminenza mi rispose per gli auguri del Natale con un bellissimo telegramma

che mi è stato di grande consolazione; però non le nascondo che alla vigilia a sera io ho pianto come da tanto tempo non aveva pianto mai pensando alla grande bontà di Gesù e alla ingratitudine mia verso di Lui e alla iniquità degli uomini.

Le bacio con profonda venerazione e con tutto l’affetto nel Signore le mani, e Le sono dev.mo in G. Cr.

Sac. Luigi Orione d. D. P.