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[Minuta]

Anzi appena potremmo credere di trovarci in esilio, ma ci parrebbe d’essere in patria, se non fosse mai turbata la carità e l’unione fra gli uomini: vi sarebbe un piangere con quelli che piangono, un godere con quelli che godono: un non sospettare di nessuno, un confidare di ciascuno in tutti e di tutti in ciascuno: in dare più frequente che il ricevere, o più veramente una comunanza che non ammette il mio e il tuo - frigidum illud verbum - e una unità di pensiero, di volontà di parole: di gioie e di dolori di timori e di speranze, che poco più ci rimarrebbe, quanto a ciò, a desiderare in Paradiso.

Ecce quan bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!

II 2) Ma a questo bene nostro che è la soavità e la felicità della vita, il Salmista soggiunge un secondo vantaggio, che è quello della edificazione altrui: e gli odorosi olii sparsi sul capo di Aronne (come potrete leggere nell’Esodo, al Capo XXX, 23 - 33; e nel Levitico, VIII. 10 - 12), olii benedetti che colavano da Aronne della per la lunga barba fino all’estremo delle vestimenta, figuravano appunto il buon odore di edificazione che di sé spandono intorno i fratelli e le comunità religiose che vivono concordi nella pace e nella carità fraterna. - Sicut unguentum in capite, quod descendit in barbam barbam Aaron, quod descendit in oram vestimenti eius (Versicolo 2 del Salmo CXXXII).

E chi non vede non poter essere che edificante (in) una società bella, forte e pacifica? pace, forza e bellezza che necessariamente provengono dalla unione fratellevole.

L’unione infatti non è altro che unità nella molteplicità: or l’unità nella verità e molteplicità forma la bellezza dice.

Ho studiato (in) filosofia che già Platone diceva: pulcritudo unitas in varietate, e così in André. Essai sur le beau. Per questo è lodata nelle Sante Scritture la bellezza de’ padiglioni di Israele, lo spettacolo di seicento mila guerrieri e di oltre due milioni di credenti distribuiti in dodici campi, che viaggiano in una immensa pianura e si posano e si ordinano sotto le armi e combattono e vincono come un uomo solo; costringono i loro stessi nemici ad ammirarli e ad esclamare: Quam pulchra tabernacula tua Iacob, et tentoria

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tua Israel!

Oltre di ciò l’unita nella varietà e nella molteplicità forma e mantiene la pace fra gli uomini, e un cuor solo e un’anima sola in una moltitudine e varietà di fedeli e ciò che viene celebrato negli Atti degli Apostoli: è il fatto che ne’ primordi della nostra Santa Chiesa edificava maggiormente i Gentili, i quali dicevano: Vedete come si amano: essi sarebbero pronti a morire l’uno per l’altro, come riferisce Tertulliano nell’Apologetico. Ed io leggevo pochi dì fa di un San Bovo, che egli era un guerriero e duce, un pagano, ma teneva nell’esercito suo dei cristia soldati cristiani. E questi erano i più fedeli e più valorosi, ma sempre sereni, così si amavano tra di loro, che Bovo una sera, avvicinandosi alle tende mentre aveva appena era riuscito a sedare una feroce odiosa e feroce rissa tra suoi soldati pagani, sorprese invece i soldati cristiani tutti riuniti, come tanti fratelli, e vide tanta unione di cuori e subito serena pace in quei petti di giovani baldi e valorosissimi, tanta luce di fede e di carità risplendeva dai loro volti, che Bovo trasse la sentì che essi edificavano in lui Cristo, né potendo più resistere alla grazia e alla carità del Signore che lo inondava: trasse la spada spada, e alzandola verso il cielo, esclamò: o Dio dei cristiani, che insegni agli uomini e a uomini, venuti da paesi lontani e diversi, a tanto amarsi tra io voglio essere tuo seguace, - e lo fu, s’è fatto Santo, è San Bovo!

Infine nessuno ignora che l’unità nella molteplicità costituisce la forza di un popolo o di un ceto qualsiasi: la nostra forza sta nella nostra fede sì, ma anche nella nostra unione: vis unita fortior, dicevano già gli antichi, e il Vangelo dice: regnum divisum desolabitur.

Ma una società o comunità bella, forte, e dove vive piena concordia dei cuori e la pace non può non essere cara, desiderevole e di edificazione a tutti, come, per contrario, è sempre di malo esempio e fin dispregievole presso tutti una società o comunità religiosa debole, disordinata e dilacerata da discordie intestine. E qui ponete ben mente o Rev. R. che il Salmista non senza ragione somigliò questo buon odore di edificazione non ad una fragranza qualsiasi qualunque, benché squisitissima, sì bene alla fragranza degli unguenti, onde fu consacrato il sacerdozio di Aronne, perché l’amore santo e scambievole di cui

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parla il Salmista, non è che l’olio della divina carità, onde fu inunto il vero Aronne, cioè Gesù Cristo Signor Nostro.

Quest’olio fluì sulla sua barba e gocciò fino al lembo della sua veste, poiché, (dice acutamente S. Agostino) la barba di Gesù Cristo sono gli Apostoli e i Martiri, essendo la barba segno di forza, di gioventù, di energia: illud primum unguentum descentiti in Apostolos descendit in illos qui primos impetus saecyli sustinnerunt: quel divino quell’unguento di divina carità da Cristo discese negli Apostoli e discese in quelli che primi sostennero l’impeto del mondo contro il cristianesimo nascente, cioè i Martiri. (È sempre il genio S. Agostino che fa questa applicazione riflessione nella esposizione del Salmo CXXXII).

La veste poi di Cristo, come ognun sa, è la Santa Chiesa universale cioè cattolica, cioè universa, questa nostra Chiesa, madre della nostra Fede e conservatrice eterna del Sangue incorruttibile di Gesù Cristo, che il Manzoni nella Pentecoste saluta sublimemente “Madre dei Santi”.

Ora l’ultimo lembo di questa veste di Cristo che è la Chiesa è il privato e più umile stato della medesima, che è il nostro stato, o Rev. M. cioè quello lo stato dei Religiosi e delle Religiose che per questa unzione della carità si adunarono nei monasteri: “si neque a barba descendisset unguentum, monasteria non haveremus”.

È sempre S. Agostino, il quale dice se dice vuol dire: se dagli Apostoli e dai Martiri non ci fosse fluito lo spirito della carità di Cristo, non né noi avremo i Monasteri né le comunità religiose, perché è solo la carità la madre delle comunità delle famiglie religiose d’ogni genere.

La carità fu la madre delle comunità.

Ma la concordia e l’unione degli animi ci arreca un terzo vantaggio, che è la fecondità spirituale in ogni maniera di opere buone; alla quale fecondità accenna il Salmista colla bella similitudine delle rugiade onde in Oriente si ricoprono, si rinfrescano e si giovano i monti soprattutto: sicut ros Hermon qui descendit in montem Sion. (Salmo CXXXII, 3).

Le estive e fresche rugiade che nei più caldi mesi della Palestina cadono a fecondare i monti di Ermon e di Sion non sono che pallida immagine della spirituale fecondità delle anime dei fratelli uniti, sono pallida immagine delle fiorenti Comunità religiose che vivono concordi in un solo sentimento, e così camminano per la diritta via

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del Signore. E infatti è agevole a intendersi qual bene e quanto grande si può sperare colà ove vigoreggia l’amorevole la carità di Gesù Cristo, ove è l’amorevole concordia di molti buoni uniti insieme in Domino come per contrario è troppo chiaro che niun’opera grande può condursi a buon termine senza il concorso di molti.

Ciò spiega l’ammirabile fecondità dei religiosi Istituti in ogni maniera di opere d’ingegno, di cuore e di mano; pensate vedete le schiere dei Benedettini.

Aprite poi il martirologio della Chiesa e troverete che forse una metà dei Santi, toltine i Martiri, si formarono nei monasteri o nelle Congregazioni religiose: entrate nelle biblioteche, e ditemi se vi ha ramo di scienze sacre o profane che non abbia avuto celebri scrittori religiosi, antichi e moderni: andate per tutte le parti del mondo e contate il numero dei missionari, di quegli eroi della croce che portano per tutto il Vangelo di Cristo, lo seminano nella anime e poco lo fecondano - coi loro sudori e col loro sangue.

Ebbene noi troviamo che la migliore e la più gran parte di loro è composta di religiosi spiritualmente fecondi e fecondatori come le rugiade di Ermon e di Sion: sicut ros Hermon qui descendit in montem Sion.

E il secolo nostro, mirando di disperdere questi uomini uniti e concordi, mostra di non conoscere il dono di Dio, e si tira in capo le maledizioni dei monti di Gelboe, sui quali non cadono né piogge né rugiada: montes Gelbos ne ros nec pluvia veniat super vos (I° dei Re, I. 21).

E di certo la copia delle divine benedizioni e l’abbondanza di tutti i doni celesti è promessa ai fratelli cioè agli uomini che vivono insieme uniti e concordi, che è il quarto vantaggio dell’amore della carità della fraterna carità in X.sto.

E, infatti, che possiamo fare noi poveri uomini senza la benedizione di Dio? Ma non sono benedetti da Dio che i fratelli consenzienti e uniti fra loro per amore scambievole: non sono benedette da Dio che le comunità religiose dove vi è la concordia e l’unione e la pace nella grazia e carità del Signore.