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[Da Copia manoscritta, - con correzioni, aggiunte e cancellature Don Orione]
Sabato
1 Marzo, dinanzi
ad
un scelto e numeroso uditorio, tra cui abbiamo notato mons. Vescovo
nostro Simon Pietro Grassi ed il sig. sotto prefetto, ebbe luogo alla
Università Popolare, l'annunziata conferenza su Giovanni Papini.
L'argomento,
così palpitante di attualità, perché il Papini non sua storia di
Cristo che ha avuto tanto successo e che in così breve volger di
tempo ha avuto così numerose edizioni, costituisce oggi un fenomeno
così interessante che è degno di essere profondamente studiato, non
poteva trovare nel
un illustratore più scrupoloso e migliore.
Il
Preside del locale
R. Ginnasio, cav.
prof. Boffi, con lusinghiere
elevate
e forbite parole, presentò al pubblico il
l'illustre
conferenziere, Prof.
Paolo Carcari della Università di Friburgo
dicendogli lieto e orgoglioso di porgere il suo saluto ad
una
persona sì eminente che tiene così alto il nome dell'Italia
nostra
all’Estero.
Prese
quindi la parola il conferenziere
Comm.r
Arcari
che per
oltre
parlò un'ora ed
un quarto
e
mezza
tenne avvinta a sé l'attenzione di
tutto
dell'uditorio, che
gremiva l'ampio salone.
È
assolutamente
impossibile riassumere
brevemente
dare
la dotta ed
elegante
conferenza orazione
del prof. Arcari:
ci limiteremo soltanto
a prospettare al lettore lo schema prefissosi dal conferenziere
a
riassumerla, per quanto potremo.
Egli
Esordì col
dichiararsi un
con
un saluto a Tortona e all'Università Popolare e si dichiarò
anatomista de’ suoi soggetti e perciò vivisezionò, come egli
argutamente ebbe
a dire
volle
esprimersi
il Papini in
tre punti della sua vita in tre parti ben distinte e cioè
monelleria, toscanità irrequietezza
nelle
varie fasi attraverso le quali è passato il pensiero o meglio
l'irrequietudine morale dell'Autore della Storia di Cristo.
Parlando
Della monelleria letteraria
della prima giovinezza di Papini
accennò ad
alcuni suoi
articoli
scritti nei quali, poiché il gran pubblico non si occupava di lui e
bruciava incenso ad altri scrittori, per richiamare l'attenzione sul
suo nome prese a sostenere delle tesi paradossali
e diametralmente opposte a quelle che abitualmente venivano affermate
sostenute:
così, per esempio, scrisse
in
un articolo: Morte
all'eterno femminino,
nel quale, senza alcuna misericordia, condanna a morte ben 250
milioni di donne che tante sono quelle che vivono sulla terra.
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Accennò
altresì al fatto che mentre così
allorché si ha l'intenzione di offendere una data persona molta
cautela si
devesi usare per non recare offesa anche
ad altre ma il Papini nella sua voluta
spensieratezza letteraria, di ciò non preoccupavasi e
coinvolgeva una
quantità di persone nelle offese che intendeva rivolgere ad un dato
individu
sistemi
di filosofia o famiglie di letterati.
Da
questo periodo della
Dalla monelleria, il primo della vita letteraria del Papini, il prof.
Arcari passò a dipingercelo nella seconda fase della sua vita,
quando scontento di sé e del
mondo
di tutto trascorse dicendo male di tutti e di tutti arrivò perfino a
dichiarare
che
proclamare che a Firenze nulla v’era di buono, neppure l'Arno in
cui non vi si trovava tant'acqua a
sufficienza
che
bastasse a affogarvisi
per potersi ammazzare.
E
a
questo punto
qui l’oratore fece
fu
insuperabile nel
rilevare al
pubblico
che molto spesso nell'animo di colui che vagheggia l'idea di
togliersi la vita, questo dono di Dio, è radicato il desiderio di
dissolversi, di scomparire completamente ed il Papini pensava che pur
gettandosi in Arno non voleva correre il rischio di andare ad
impantanarsi.
In
tal modo il Papini dava a conoscere quanto il suo animo fosse
irrequieto e
malcontento
di tutto e così il conferenziere viene a parlare dell'ultima parte
fase della vita del grande scrittore che
non è
soddisfatto
trova la pace non nelle lettere non nella scienza non nella filosofia
di Hegel di Croce e di Gentile
e ce lo dipinge dapprima un fervente apostolo della dottrina di Hegel
e poi, poiché la filosofia lasciava vuoto il suo animo che aspirava
a qualche cosa di meglio, a qualche cosa di più consolante, si volge
alla sola cosa che gli restasse alla Religione e nel 1909 pubblicò
il suo libro
schiaffa
in faccia a Benedetto Croce e a Gentile l'articolo che fa epoca ove
mostra il vuoto del cuore umano
e la
p che seg
l'intelletto sino a che seguono immagini false di beni e non riposino
nella religione, in un bene che non è terreno.
Poi
abbiamo L’Uomo
Un
uomo
finito.
L’Oratore
arrivato
a questo punto della vita del Papini si domanda: come mai il Papini
ha impiegato ben dodici anni a convertirsi ed a darci la Storia del
Cristo comparsa soltanto nel 1921?
Ed
egli con parola calda ed affascinante dipinge al suo uditorio la
lotta che si svolge nell'animo dello scrittore e che termina col
trionfo radioso della Religione su
quel
sul cuore dell'artista.
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Così gradatamente e logicamente passando dall'uno all'altro periodo della vita del Papini, il Conferenziere riuscì a ricostruire dinanzi all'uditorio la figura dello scrittore, spiegando come dal più accanito anticlericalismo poté assurgere a tale altezza da darci quella Storia del Cristo che qualunque sia per essere la sua futura produzione letteraria resterà sempre il suo capolavoro.
L'uditorio
che ascoltò con la più grande attenzione la dotta e smagliante
conferenza seguendone con applausi i punti più salienti, fece una
calorosa dimostrazione
ovazione
di simpatia all'Oratore che in uno squarcio lirico terminò
inneggiando all'arte ed
alla Italia nostra
e alla fede.