V102T086 V102P114
[Minuta]
Sulla Mortificazione
Mortif. necessaria
perché
abbiamo a combattere modi
violente inclinazioni disordinate passioni superbi, collerici,
vendicativi, ambiziosi, interessati, sensuali, accidiosi
Eredità di Adamo
consideriamo il male come bene, lo amiamo, lo desideriamo. Bisogna quindi stare continuamente in guardia contro il proprio cuore, per osservarne tutti i movimenti, per prevenirli con la vigilanza e reprimerli con la mortificazione. Bisogna venir sempre alle prese con le proprie passioni; siamo perduti, se restiam vinti; siamo vinti, se non siamo vittoriosi; e non possiamo essere vittoriosi, se non combatteremo senza intermissione.
Necessaria per evitare i pericoli
La carne è nata per servire e vuol dominare; se da noi non è domata ci dominerà e ci metterà in perdizione.
La
mortif. è necess. perché abbiamo a soddisfare a obbligazioni penose
o indivisibili dalla qualità di cristiani, o inseparabili dal nostro
stato. Abbiamo una legge da osservare e c’intima di osservare i
nemici, di perdonare le ingiurie, di fuggire gli amici, se ci
allontanano da Dio, di svellare l’occhio e tagliare la mano che ci
scandalizza: e può eseguirsi tutto ciò senza farsi violenza? E non
è questa violenza la pratica di
ogni m
dell’essenziale mortificazione?
Vi sono voti da adempiere, regola da osservare, superiori a cui sottometterci, offici e impieghi da esercitare: si può fare tutto ciò senza mortificazione? Converrà moderare affetti, sacrificare riposo, rinunziare a inclinazioni, vincere noi stessi ecc. ecc. e si potrà senza mortificazione?
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Sulla Purità II cioè 2°
Pregi della Purità
La purità è una virtù che ci rende simili agli angeli, la loro purità è più felice, la nostra è più generosa, ché eglino non hanno carne da combattere, e noi ne abbiamo, e non possiamo conservare fra tanti nemici la nostra purità, se non col mezzo delle battaglie.
La verginità ci fa essere simili a Dio. Va, dice Sant’Ambrogio, a cercare in Dio stesso il suo modello. Il Padre Eterno è vergine. Volendo Iddio incarnarsi, volle nascere d’una vergine, Maria che non concepiva questo mistero, allorché le fu proposto d’essere Madre di Dio: Come può accordarsi, disse, codesta maternità colla verginità, che ho risoluto di conservare a qualunque costo? Quale pertanto dee essere il pregio di cotesta virtù, giacché Maria tanto illuminata la preferisce alla qualità stessa di Madre di Dio non volendo comperarla col dispendio della Verginità?
Volendo G. C. avere un favorito in terra, elesse tra tutti gli altri discepoli San Giov. E. perché era vergine. Il Salvatore che soffrì gli fossero suscitate le più atroci calunnie, e di essere trattato da seduttore, da empio, da bestemmiatore, fu tanto geloso dell’onore di sua purità, che non permise che ai suoi nemici il farvi la minima offesa.
Tenerezza di Dio verso le anime pure.
Iddio ha una tenerezza straordinaria verso le anime pure: ad esse con ispecialità si comunica, rivela i suoi segreti, fa parte dei suoi favori. G. C. fa molte grazie a Pietro: ha un gran riguardo verso il suo zelo, ma non v’è se non Giovanni che è puro, che è vergine, non v’è che Giovanni che riposi sul petto e sul cuore di Gesù, entri in quel divino santuario e ritrovi svelati i più particolari segreti.
Hanno grandi privilegi i Martiri, gli Apostoli, ma sembra non essere conceduto che alle persone vergini di seguitare per tutto l’Agnello e cantare a lui un cantico bianco e soavissimo.
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La verginità è il prezioso tesoro per la conservazione del quale tante anime generose hanno sacrificato il loro sangue e la loro vita.
La conservazione di questo tesoro è difficile, ma la perdita è irreparabile; si può ricuperare la grazia quando è perduta, ma non si può ricuperare la verginità.
Eppure non vi ha cosa più agevole che il perderla, e nel mondo è così esposto questo tesoro, e da tanti e così esposto che pare che cerchiamo di perderlo, e ci rechiamo anche a felicità una perdita che dovrebbe essere per noi il fondamento di un eterno dolore, perché è senza rimedio.
La purità merita ogni attenzione.
Se abbiamo un po’ di fede o di ragione non dobbiamo trascurare cosa alcuna per conservare la purità.
Se ella è un tesoro, dice San Paolo, lo portiamo in vasi fragili; basta inciampare per cadere, e cadendo rompere i vasi fragili, e rovinare il tesoro che entro rinchiudono. Qual sarebbe la cautela di un uomo carico di un tesoro fragile e prezioso, e sdrucciolevoli? La nostra deve essere forse minore, mentre siamo circondati da precipizii e da insidie tese dai nostri nemici alla nostra purità.
Gli
oggetti da noi veduti, discorsi da noi sentiti
uditi sono per
la maggior parte
tante insidie del demonio a noi tese; se non vegliamo del continuo
sopra noi stessi, se non osserviamo tutti i nostri passi, quanti
saranno i passi che faremo, tante saranno le vedute, che, facendoci
perdere la purità, ci faranno perdere la grazia, la nostra anima, il
nostro Dio.
Ah! tanti Santi si sono rinchiusi nelle grotte, tanti giovani si confinano giornalmente nei chiostri, tanti hanno sparso il loro sangue per la conservazione della loro purità; e noi non vorremo sacrificare la minore occasione un poco gradita, né prenderci la minore fatica per vegliare sui nostri sensi, per allontanarci da oggetti pericolosi o per evitare le compagnie che possono essere funeste alla nostra purità?
Poiché il Savio c’insegna che non possiamo avere la continenza, se Iddio non ce la concede, domandiamola continuamente a Dio.
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Della vocazione religiosa
La vocazione viene da Dio.
Il
pensiero di abbracciare uno stato di vita perfetta, nel quale l’uomo
deve rinunziare a tutto ciò che aveva nel mondo e ne poteva sperare,
il pensiero di abbracciare un genere di vita mortificato e contrario
alle proprie passioni, il pensiero di rinunziare alla propria volontà
libertà per voler dipendere in tutto dalla volontà altrui, e ciò
non per fini umani, ma per desiderio di servire meglio Iddio e porre
in sicuro la salute dell'anima, non può venire che da Dio autore
d’ogni bene.
Le circostanze della vocazione, le vie mirabili che condussero a seguirla, le forze somministrate per superare le difficoltà, le consolazioni provate nell’entrare nel noviziato, ci fanno conchiudere che non siamo stati noi ad eleggere, ma che fu Iddio che ci elesse per Sé.
Di qui nascono spontanei due affetti:
1° di riconoscenza verso un Dio che fu tanto misericordioso e liberale con noi a preferenza di tanti altri di noi più meritevoli;
2° di fiducia, che Colui che ci ha chiamati, ci darà anche la grazia di corrispondere alla nostra santa vocazione.
Beni che ci porta la vocazione.
Per essa siamo stati tratti fuori da un mondo perverso, dove facilmente avremmo potuto essere pervertiti dalle storte idee dominanti o trascinati dalle nostre passioni.
Qui invece siamo nel regno della luce, qui le nostre passioni sono come incatenate dai vincoli dei voti e dalle regole, dalla disciplina domestica e dalla vigilanza dei superiori. Siamo liberati dalla cura e sollecitudine delle cose temporali per poter attendere alle eterne.
Qui non abbiamo a provvedere il vitto, il vestito e le altre cose necessarie alla vita. La Provvidenza Divina ci pasce essa ci veste, essa ci fornisce non solo il necessario, non solo il conveniente, ma gli onesti sollievi ce li fornisce con abbondanza.
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Qui siamo sicuri di far sempre la volontà di Dio seguendo la voce dell’ubbidienza, la quale è voce di Dio. Di qui nasce la pace della coscienza e la tranquillità dell’animo.
In
questo genere di vita abbiamo un pegno di predestinazione perché sia
la promessa di G. C.: Chi abbandona tutto per amore di me, otterrà
il centuplo e la vita eterna.
Grandezza della vocazione.
Il fine cui dobbiamo tendere è la gloria maggiore di Dio nella propria perfezione e nell’adoperarci alla salute e perfezione dei prossimi.
È questo il fine per cui il Figliuolo di Dio si fece uomo, né può esservene altro più alto e più nobile che il cooperare con Gesù Cristo a questo fine medesimo. Per questo ci chiamiamo compagni di Gesù, perché siamo suoi cooperatori e ministri nell’opera della salute. (Compagni del P. per cooper. con Lui ad instaurare omnia in G. C.)
Dell’osservanza delle regole.
Le regole sono l’espressione della volontà di Dio.
Il vero e principale fondatore degli ordini religiosi è Dio medesimo; ed i Santi di cui si servì per tale opera, non furono che i suoi strumenti. Dio li trascelse, Dio li venne istruendo e formando per l’opera che Egli voleva da loro. “Egli ne ispirò loro l’idea, Egli li assisté in modo speciale quando tracciavano le costituzioni e le regole, sicché queste riuscissero conformi al tipo voluto da lui”.
S. Ignazio quando compose al lume di Dio impetrato con continue lagrime e preghiere quelle Costituzioni che sono un miracolo di celeste sapienza, sì che il pontef. Paolo III che le approvò, vi conobbe il dito di Dio, Digitus Dei est hic.
È dunque chiaro che le nostre Costituzioni le Regole esprimono per noi la volontà di Dio manifestataci per mezzo del suo servo Ignazio.
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Le regole sono l’esemplare che dobbiamo ricopiare in noi stessi per giungere alla perfezione propria del nostro stato.
Poiché infatti sono per noi l’espressione della volontà di Dio, e d’altro canto la perfezione consiste nel perfetto adempimento della divina volontà, è manifesto che solo colla perfetta osservanza di queste noi possiamo conseguire la perfezione propria del nostro stato.
Inoltre niuno può, non dico giungere alla perfezione, ma neppure alla salute, se non rendendosi con forme a n. Sig. Gesù Cristo, datoci dal padre come modello da imitare: quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui et sit ipse primogenitus in multis fratribus; onde consegue che tanto maggiore sarà la perfezione che l’uomo conseguirà, quanto più perfetta sarà l’imitazione di n. Sig. Gesù Cristo.
Ora Sant’Ignazio modellò le sue Costituzioni sulla vita di Gesù. Egli fece come il pittore... Così fece Ignazio: studiava n. Sig. Gesù Cristo, suo modello e nelle sue Costituzioni ne ritraeva la copia. Ne prese il disegno di tutta la vita che fu non solamente contemplativa, né solo attiva; ma mista; ne prese lo scopo, la maggior gloria di Dio nella perfezione propria e nello spendersi interamente a salute delle anime, ne prese le linee, e però volle che i suoi prima di uscire in campo alla vita pubblica passassero molti anni a prepararsi ed armarsi di virtù e scienza in una vita di ritiramento simile a quella di Nazaret: sopra l’esempio di Gesù Cristo modellò l’esterno portamento trasfuso nelle regole della modestia; il tratto coi prossimi; il modo di esercitare i ministeri compendiato nelle regole dei sacerdoti, dei predicatori e dei missionari; le virtù che debbono risplendere in chi annunzia il vangelo, le massime da seguire passate nelle costituzioni dal libro degli esercizî che le contiene in genere.
Adunque noi osservando le nostre Costituzioni e Regole confermiamo la nostra vita a quella di Cristo, e diventiamo tanto perfetti quanto più perfetta è l’osservanza di quelle. Con queste sole si santificò S. Giovanni Bergmans, la cui vita non ebbe altro di straordinario che la esattissima, perfetta e costante osservanza delle regole.
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Dall’osservanza delle regole saremo giudicati.
Le regole infatti costituiscono la legge dataci da Dio, e sebbene per se medesime le regole nostre non obblighino a peccato, nondimeno,quando si violino avvertitamente e senza una giusta ragione od epicheia, rarissimo è che ciò sia senza qualche peccato per ragione o della passione da cui ci lasciamo vincere o dall’accidia o della mala edificazione.
Ad ogni modo, tale violazione è sempre un’imperfezione, perché per essa preferiamo il gusto nostro alla volontà di Dio; e però, se Dio ci domanderà conto nel dì del giudizio di ogni parola oziosa, di ogni grazia a cui non abbiamo corrisposto, molto più ce la domanderà di ogni trasgressione delle regole, e così saremo privati almeno di quel cumulo di gloria che ci sarebbe stata data, se fossimo stati fedeli osservatori delle medesime.
Animiamoci adunque alla perfetta osservanza delle nostre regole; riflettiamo al passato, e, se troviamo di averne trasgredite alcune o di essere stati negligenti nell’osservarle, facciamo ora un serio proposito di ossevarle perfettamente in avvenire