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 +       Anime e Anime!

        Tortona, 1° Giugno 1920.


Ottima e Rev.da Madre Michel,


Chiedo viva scusa di non avere ancora risposto alle Sue tanto gradire lettere.

Don Carlo Dondero, Don De-Paoli, ai quali ho scritto ripetute volte, nonché Don Casa e Don Gabriele, ai quali pure ho scritto, Le avranno presentati i miei devoti rispetti, e Le avranno anche dato notizie di me e delle nostre cose di qui; in più di una lettera li ho incaricati di riferirLe ciò di qui che La Le potevano interessare.

Tuttavia ho sempre sentito pena di non averLe ancora scritto, e di frequente ho pregato per Lei, che Iddio La volesse confortare sempre nel Suo divino servizio.

La ringrazio dei voti che Lei fa al Signore pel XXV di mio Sacerdozio, e ne ringrazio anche la Pelizzari, che volle scrivermi. Prego, e sempre vorrò pregare, Nostro Signore di ricompensarLe delle Loro orazioni, e di prosperare le opere della Divina Sua Provvidenza, e di benedire ai passi di Lei, M. Rev.da Madre Michel.

Ringrazio pure di cuore Iddio di tutto quel po’ di bene che il nostro caro Don De - Paoli ha potuto compiere per le Sue Suore, e sono stato confortato che anche il Nunzio mi parlasse molto bene del suo lavoro.

Sua Eccell.za Rev.ma Mgr. Scapardini non so se ritornerà al Brasile; - ho sentito che lo promuoveranno ad una sede di maggiore importanza. Con Lui io ho parlato a lungo, in Roma, ed egli vorrebbe che Lei lasciasse in Brasile una Superiora che fosse atta a fare le sue veci, poiché mi è parso che pensasse che questo era che alle Suore mancava. Se appena la Pelizzari potesse fare questo sacrificio, di restare cioè in Brasile, mi pare sarebbe assai






















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buona cosa, essendo essa figlia fidata, di spirito e di testa.

Qui Mgr. Vescovo di Alessandria ha esaminate, in questo frattempo, tutte le Suore di Alessandria, e so che molte, pur troppo, non hanno parlato bene troppo onorevolmente della Pelizzari.

Essa, ritornando qui, verrebbe a crescere il mal umore tra le Suore, - e, quindi, sarei del parere che, appena, appena è possibile, restasse in Brasile, e, se anche la salute non le desse di essere alla testa, la metta ai fianchi di Suor Immacolata, che le serva come da Segretaria, ma, ripeto, possibilmente non la riporti in Alessandria, onde evitarle gravi dolori.

Il Vescovo fu pure a Roma a visitare la Casa della Madonna della Salve, e mi chiese in testa di chi era fosse. Ho risposto: in testa di un mio Sacerdote per desiderio della Michel, e anche perché io mi sono assunto con la Santa Sede il debito di 50 mila lire, che io feci con la S. Sede stessa, onde pagare lo stabile. Pare che non sia contento.

Ha parlato pure con le Suore, che mi dissero che non è contento del modo come sono. Io non c’ero quel giorno, perché avevo dovuto recarmi a Messina d’urgenza, dove Don Bariani si trovava già all’ultima sua giornata.

Vi ero stato già a Messina prima, due volte, e pareva che il mio malato andasse migliorando; invece Iddio volle che poi morisse; ma io pure vorrei fare la morte sua, che fu da santo, come da santo sacerdote egli sempre visse.

Ho detto a Mgr. Vescovo di Alessandria che stesse tranquillo che io tengo il suo testamento e che l’erede sarebbe Mgr. Capra.

Quanto alla Casa acquistata a Roma, ho dichiarato al Vescovo che essa è per Lei e per le Sue Suore, e non sono affatto alieno dal far rinunciare, anche sull’istante, alla proprietà di essa, che è in testa al Don Giuseppe Adaglio, come Lei sa, quando questo sia il Suo desiderio cioè di V. Signoria.

Debbo avvertire che il Contratto fu certamente un buon contratto, poiché già hanno esibito lire quattrocento mila, se vogliono venderla.




















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Che anzi, se Lei credesse davvero bene di venderla, me lo scriva subito, perché si potrà allora realizzare forse anche più di 400 mila lire, poiché l’Episcopato Svizzero ha deciso di acquistare un piccolo Seminario per i Chierici Svizzeri al Quartiere Appio, onde siano vicini al Seminario Laterano e ne possano frequentare le Scuole, e gli incaricati sarebbero ben disposti ad acquistare quel locale.

Mio parere però sarebbe di non vendere, ma anzi di fare di quella Casa di Roma il centro della loro vita religiosa; poi, quando avranno altre Case in Roma, più adatte, allora potranno anche venderla, se quella è troppo sulla strada.

Ella mi scrive di venire, ma, lo creda, al momento, non posso: ruinerei tante cose qui.

So che farei anche dispiacere allo stesso Santo Padre, togliermi dall’Italia alla vigilia della Consacrazione della Chiesa, che Egli ci ha dato a Roma.

Poi, non avessi potuto far altro che assistere il Maestro Negro, il Ch.co Viano e i miei due Sacerdoti che, in questo frattempo, mi sono morti qui, - io, anche solo per questo, dico la verità che benedico Iddio che mi abbia trattenuto qui.

Ma poi si è potuto fare anche molto e molto altro bene, con la grazia di Dio.

Ora mi pare che, avendo disposto che Don De Paoli si mettesse a lavorare con Don Dondero, e a fare vita di comunità, quale si addice a buon religioso, come egli è, - e, dato l’aiuto di Don Casa e di Don Gabriele, - Don Dondero già si troverà più sollevato e dal conforto fraterno e dal loro valido aiuto.

Date Tenute presenti le nostre reali condizioni qui, non mi è possibile, oggi, inviare subito altri Sacerdoti; e Chierici non conviene mandarne, ma devono formarsene costà, curando le vocazioni.

Lei mi scrive che, se non vengo subito, vi sarà un danno irreparabile. Ma quale? Io non capisco e La prego di spiegarsi meglio e ben chiaramente. In che consiste questo danno?





















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Ora li ho riuniti tutti insieme codesti quattro Sacerdoti, e mi pare di avere fatto tutto quello che potevo. Ma pensino che noi abbiamo qui delle Case senza un Sacerdote, come ad es. la Casa e la Chiesa di Messina, dove abbiamo circa 35 mila parrocchiani.

Provvisoriamente si trova colà, in congedo presso sua Madre, un Benedettino, e è lui che va a dire Messa lui nella nostra Chiesa, ma ci vuole altro! E bisognerà pure provvedere.

Spero di avere entro l’anno l’ordinazione al Sacerdozio di alcuni buoni Chierici, ma non si deve vorrà neanche pretendere che subito i primi che potrò avere ordinati, li possa mandare al Brasile. Noi abbiamo a Venezia tre Istituti e una Parrocchia nell’estuario, Caorle, e non abbiamo colà che 2 (due) Sacerdoti in tutto, Don Pensa e Don Ferretti, con più di 200 orfani e scuole interne elementari e professionali [xxx]. A Cassano Ionio ho per Direttore un Sacerdote cieco, perché non ne ho altri, il Don Curetti, ed ho un probandato con 30 orfani e scuole e va benissimo.

Non capisco come costà, essendo ora in 4, e con un bravo Chierico, possano insistere che mandi subito altri Sacerdoti, mentre c’è Noto senza Direttore, perché non ho un prete da mandarvi, e mentre qui si è stremati dalla fatica, siamo in pochissimi Sacerdoti.

Ho già detto e ripeto, in tutte le mie lettere, che, appena appena potrò mandare o condurre qualcun altro, subito lo farò.

Ma non mi pare che facciano bene a più oltre angosciarmi, quando si vede che qui, ad ogni mese, già me ne muore uno, e si sa che i preti non li posso mica fare a macchina, ma ci vuole la loro formazione e il suo tempo, richiesto dai Sacri Canoni; fu già un vero sacrificio mandarne due, mentre qui ho le più Case senza un Sacerdote.

Mi fa tanto pena di sentire che Don Dondero é malato, ma ora l’aiuto ce l’ha, sta a lui se vuol valersene.























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Io, da parte mia, ho scritto a Don De Paoli e a tutti gli altri che lo sollevino dal lavoro, che lo confortino, lo aiutino il più che è loro possibile.

Ho anche scritto a Don De Paoli che Dondero se vede che che D. Dondero, potesse fare il viaggio, e che ciò gli potesse ciò giovare, e vedesse in lui il desiderio di venire un po’ in Italia, ma venga il Dondero senz’altro, che sarà una grande gioja per noi tutti!

Ho scritto così perché non vorrei, facendo scrivendo diversamente, che egli avesse potuto (chi sa mai?) prendere la cosa in mala parte, poiché non so quasi più come trattarlo, e temo sempre che prenda le cose che gli dico in mala parte. Ad es. io, dopo il loro arrivo in America, non ho più avuto da lui una sola parola che mi dicesse almeno: sono giunti i due Sacerdoti! - Niente!

È vero, sarà malato, poveretto! e tutto è compatito, ma via! gli ho scritto tante buone lettere piene di affetto in Gesù Cristo, e neanche so se le ha ricevute.

Ora io La prego di dirmi un po’ Lei chiaro che cosa significhi questo contegno.

Non ne scrivo ai miei Sacerdoti, quasi per non sminuire davanti ad essi il Don Dondero, ma non vorrei che egli trattasse essi come tratta me, poiché questo suo modo non ajuta ajuterebbe, ma farebbe la loro vita penosa assai.

E, uno che si trova alla testa di un Istituto, e così lontano, non può tenere questo contegno, a meno fosse per malattia.

Aiutandomi la grazia del Signore, io non ho tralasciato di confortarlo nella carità, e così ho fatto con gli altri, per quanto ho potuto.

Codesti figli sono, e spero vorranno sempre essere, “il mio gaudio e la mia corona”, e mi auguro che tutti, con unanime spirito, procureranno di sempre operare il bene, a gloria di Dio e a salvezza delle anime.

Io, come ho scritto ai miei, non ho difficoltà poi alcuna che il Don De Paoli, ad intermittenze, ancora faccia del bene qua e là alle Sue Suore, ma la sua deve essere d’ora innanzi la vita del Religioso di Comunità.

Ella comprenderà, M. Rev.da Madre, che, fino a quando non mi sarà dato di conoscere chiara, ben chiara la situazione del nostro Istituto di Mar de Hespana, e fin che



















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non mi sarò convinto diversamente da certe idee che sono in me e che Lei già conosce, - sento che il Don De Paoli è necessario che resti a Mar de Hespanha, poiché mi pare tanto strano il contegno di quel Superiore, che il quale se così fa agisce per malattia, allora è necessario che Don De Paoli resti per sollevarlo, che, se lo facesse poi per altro spirito, allora la presenza del Don De Paoli si rende ancora più necessaria a Mar de Hespana, tanto più che pel momento, a me è assolutamente impossibile di venire.

Don Zanocchi mi dà notizie di Sua Sorella. Benché le attuali sue condizioni di salute non siano allarmanti, pure essa è sempre a letto e in piuttosto cattive condizioni.

In questi giorni cercherò di farle breve visita, e di confortarla nello spirito.

Ma, oggi, intendo confortare anche Lei, ottima e Rev.da Madre, assicurandola di tutto il mio appoggio per le Sue Suore e Istituti.

Tutto quello che sarà possibile fare per essi, con la divina grazia, io lo farò.

Io Come dissi, spero di venire presto, e, come scrissi a D. Dondero, vorrei avere l’ali; ma prevedo che ancora dovrò tardare di alcuni mesi: dovrò lavorare ancora parecchio, e soffrire di alcune morti qui. Ma non dobbiamo per questo cadere in abbattimento, come mi scrive Don De Paoli di sé e di Don Dondero: questo non sarebbe spirito di Dio.

Bisogna pregare, guardare al Crocifisso e poi benedire a Dio nelle angustie del cuore e nelle tribolazioni, come nella più grande consolazione.

Dobbiamo cercare non solo di lasciar tutto, ma sopra tutto di lasciare noi medesimi, questo è il più, e questo vorrà dire ai miei Sacerdoti, come a Suor Cristina.

Niuno sarà più ricco, né a Dio più vicino di noi, se sapremo separarci totalmente da noi, per vivere solo a Gesù Cristo e alla Sua Chiesa.

























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A questo ci ajuti la SS. Vergine, che è la nostra dolce Madre. La benedico con tutte le sue figliuole e con tutte le Opere della loro carità, e preghino per me sempre!

Se vedrà Mgr. Arcivescovo di Marianna gli dica che ho ricevuto la Sua lettera e che Lo ringrazio, - risponderò.

Le sono in Gesù Cristo e nella Madonna dev.mo servo


     Sac. Orione d. D. P.



P. S. In una sua lettera mi dice che Dondero non sa amministrare: voglia spiegarmi meglio nel Signore.