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[Da bozze di stampa; vi sono correzioni di pugno di Don Orione.]


Il Canto della “Salve Regina”


Me ne stavo inginocchiato dinanzi alla Cappella della Vergine, che sorge nella maggiore navata, e, attraverso alla cancellata di legno nero, miravo fisso la piccola statua, dinanzi alla quale si prostrarono tanti milioni di devoti a ai piè della quale si depongono tanti voti e si versano tante lagrime. Intorno alla piccola statua il pallido lume delle lampade sempre ardenti;? di rubini, di diamanti, che vi abbaglia. Dietro a me stava inginocchiata una numerosa calca di pellegrini, venuti al mattino, e li udivo a bisbigliare le loro preghiere. Erano tutti uomini, e la loro fede e pietà era edificante e commovente. In quel luogo semi- oscuro, tranquillo, sacro solo alla preghiera, io avevo dimenticata ogni cosa, sentivo Dio presente, e m’era dolce tacere e starmene passivo, quasi immemore di me stesso. È questo, credo io, il /? più eloquente di ogni parola, quella tenebra di pensiero più lucida del sole a mezzogiorno, quella vita felice, che tutta si sente, perché più che non si sente.

Io ero là quieto quasi addormentato, eppure più che mai desto, senza un pensiero determinato, perché quasi naufrago in mezzo ad una folla di pensieri che confusamente si premevano gli uni sugli altri, allorché tutto ad un tratto una potente armonia dell’organo vicinissimo mi percorse l’orecchio ed io mi riscossi. Come persona che per forza è desta, in un subito, come baleno, attraversò la mia mente il pensiero: è il canto della Salve Regina! M’avevan detto che quella era l’ora ed io me n’ero scordato, benché vivissimo fosse il desiderio d’udirlo; tante volte ne avevo udito parlare e magnificare la bellezza! Mi raccolgo, tendo l’orecchio e ascolto.

L’organo, dopo alcune volate rapidissima a tutto ripieno, va smorzando man mano





















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il suono e quasi finisce in una voce sottile: mi sembra un uomo adulto, che va di gran passo e poi rallenta per dar mano ad alcuni bambini che non possono seguirlo. E i bambini vi erano: otto o dieci voci bianche, nette come un cristallo, duttili come molle cera, acute con un ago, si confondono, coll’organo, si rafforzano con esso, vanno e vengono con esso, velocissime.

Sono parecchie quelle voci, eppure si legano tra loro e si confondono sì perfettamente che direste essere una voce sola,simile a filo d’oro intrecciato in molti fili. Quella voce sola, dolce, sicura, mentre va errando sotto le volte del tempio e sembra seguirne tutte le curve, s’insinua nel cuore, ne ricerca, ne fruga tutte le fibre, ne fa oscillare tutte le corde, scuote soavemente l’anima e la trasporta in un altro mondo, il mondo delle armonie.

Direbbe Dante: E fece me a me uscir di mente.


- Salve Regina, Mater misericordiae: vita, dulcedo, et spes nostra, salve! - Non avrei mai pensato che in quelle parole sì semplici, tante volte pronunziate e udite, si nascondesse un tesoro di armonie e di affetti sì puri e sì santi, come quello che allora mi si svelava e sentiva gustando ora il suono, ora il canto, or l’uno or l’altro insieme.

Ricordavo Dante; Tale immagine appunto mi rendea

ciò ch’io udiva, qual prender si suole,

quando a cantar con organi si stea:

Ch’or si or no s’intendon le parole.


Succedeva un breve silenzio, poi cominciava l’organo coi suoi profondi, cupi lenti, come se uscissero dalla terra: e poi in un istante accoppiandosi a tutte insieme le voci del coro, bassin tenori e voci bianche, avvolte in un sol fascio, come nera nube portata sul dorso dell’uragano, si udivano le parole: Ad te clamamus, exulus filî Hevae, ad te suspiramus, gementes et flentes, ecc.




















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Erano gemiti, erano singhiozzi, erano gridi di dolore, di desolazione, ma confortate dalla rassegnazione e dalla speranza. Mi pareva di veder quelle voci somiglianti a quei razzi che di notte si lanciano verso il cielo e salgono, salgono, e poi si fermano e si sciolgono in una pioggia di minutissime faville e poi si spengono, accrescendo l’oscurità delle tenebre.

Io ero quasi impaurito e raddoppiavo l’attenzione. Ancora una pausa - e l’organo rompeva ancora il silenzio: le note erano gravi, flebili, e parevano evitare le voci ad accompagnarle, e tosto le accompagnavano e insieme si alzavano affaticate, affannate, gemebonde, cantando: - Eia ergo, Advocata nostra, ecc. Avreste detto che erano voci d’infelici, caduti in fondo ad un burrone, che sollevavano le mani chiedendo pietà e soccorso a chi dall’alto li contemplava bramoso di occorrerli.

Ah! quelle parole - illos tuos misericordes oculos ad nos converte - mi facevano vedere gli occhi della Gran Madre di Dio, degli uomini, risplendenti, dolcissimi e lacrimanti per pietà, fissi sopra di noi e rivolgentisi in cielo a Dio, al Padre della misericordia, imploranti perdono e sicuri di ottenerlo.

Sentivo allora tutta la sublimità dei versi di Dante:


Gli occhi da Dio diletti e venerati

... mi dimostraro

Quanto i devoti preghi le sono grati,

Indi nell’interno lume si drizzano

Nel qual non si può creder che s’invii

Per creatura l’occhio tanto chiaro.


Ero come inebriato di tanta armonia e solo mi spiaceva che     cosse vicino così il termine di quel canto sì soave,

Che la dolcezza ancor dentro mi suona.

Seguiva un’altra pausa, e poi l’organo riprendeva il suo impeto solenne irresistibile,



















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e trascinava seco le voci con tale arte, che mi pareva vedere una fitta e oscura nube, che  sotto i raggi del sole si sciogliesse e si lasciasse vedere il re della luce e della vita. - Et Jesum benedictum nobis, post hoc exilium, ostende! –

Il volto di Gesù mite, sereno, nell’interno sorriso della pace e della gioia, appariva in atto di versar sulla valle d’esilio e di lacrime la luce e l’ebrezza della sua vita stessa.

Ancora alcuni secondi di silenzio, e organo e voci, quasi raccogliessero insieme il loro supremo sforzo e muovessero all’ultimo assalto che doveva dare la vittoria, rompevano nell’ultimo grido dell’invocazione. - O Clemens, o Pia, o dulcis Virgo Maria!- Il cielo pareva finalmente dischiuso e l’umanità, raccolta sulle sue soglie, pareva entrarvi, grazie a Colei che ne è la porta.

Io rimasi là al mio luogo, sotto il fascino di quelle armonie e comprendendo come la Religione ne sia l’ispirazione più potente, l’anima mia si sollevava sino al Paradiso ai piedi della Madre celeste che tutti gli afflitti invocano a conforto e speranza di vita eterna.